‘Ndrangheta. I dettagli sulla confisca di beni da 217,5 milioni di euro a imprenditore Antonio Cuppari

Guardia di Finanza

Guardia di Finanza

Reggio Calabria. Militari del Comando Provinciale della Guardia di Finanza di Reggio Calabria e del Servizio Centrale Investigazione sulla Criminalità Organizzata (Scico) di Roma, coordinati dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Reggio Calabria, hanno eseguito nei confronti dell’imprenditore Antonio Cuppari, 52enne di Brancaleone, una misura di prevenzione sia personale (sorveglianza speciale di pubblica sicurezza della durata di 3 anni) che patrimoniale, disposta dalla Sezione Misure di Prevenzione del Tribunale di Reggio Calabria, confiscando in Calabria e nel Lazio 4 società commerciali, 137 fabbricati, 51 terreni, 26 veicoli e rapporti finanziari, per un valore complessivamente stimato pari a circa 217,5 milioni di euro.
Tra i beni immobili oggetto di confisca si annovera anche il noto complesso edilizio residenziale turistico “Gioiello del Mare” di Galati – frazione di Brancaleone.
Tale provvedimento rappresenta l’epilogo di una complessa e articolata attività investigativa svolta in sinergia dal Nucleo di Polizia Tributaria – Gico di Reggio Calabria, dallo Scico e dal Gruppo di Locri, che ha permesso di accertare un’ingiustificata discordanza tra il reddito dichiarato e il patrimonio direttamente o indirettamente a disposizione dell’imprenditore, risultato, altresì, appartenente alla locale di Africo.
In particolare, in esito alle indagini esperite nell’ambito dell’operazione “Metropolis”, conclusa nel 2013 dai Reparti della Guardia di Finanza, con l’esecuzione di provvedimenti restrittivi personali nei confronti di 20 soggetti, presunti responsabili di gravi reati – tra i quali quello di associazione per delinquere di stampo mafioso – sono stati delegati dalla locale Direzione Distrettuale Antimafia appositi accertamenti di carattere patrimoniale tesi all’individuazione dei beni mobili ed immobili riconducibili, tra gli altri, ad Antonio Cuppari, ai fini dell’applicazione di una misura di prevenzione. Cuppari, infatti, nell’ambito dell’operazione “Metropolis”, è stato tratto in arresto in esecuzione di ordinanza di custodia cautelare in carcere, perché gravemente indiziato – tra gli altri – del reato di cui all’art. 416-bis c.p., “…per aver preso parte dell’associazione mafiosa denominata ‘ndrangheta…”, con la specifica imputazione di aver “…con la dote del vangelo e ruolo di partecipe del locale operante in Africo Nuovo…” fornito “…un costante contributo all’operatività dell’associazione…” nel commettere delitti “…in materia di armi, esplosivi e munizionamento, contro il patrimonio, la vita, l’incolumità individuale… commercio di sostanze stupefacenti… estorsione, usure, furti, abusivo esercizio di attività finanziaria, riciclaggio, reimpiego di denaro di provenienza illecita in attività economiche…”.
Cuppari avrebbe utilizzato i proventi delle attività delittuose commesse dall’associazione “…per finanziare le attività economiche di cui gli associati intendevano assumere e/o mantenere il controllo” ossia “…nella costituzione della società “R.D.V. S.r.l.” titolare del permesso a costruire per il complesso il Gioiello del Mare e per la costruzione del complesso stesso” per le quali aveva impiegato somme di denaro provenienti da delitti di associazione mafiosa e traffico di stupefacenti.
L’approfondimento investigativo di carattere patrimoniale disposto dalla DDA ha permesso, attraverso la ricostruzione e l’analisi, nell’ultimo ventennio, di ogni singola transazione economica e finanziaria operata dall’imprenditore, dalle sue società e dal suo nucleo familiare, l’individuazione delle fonti illecite da cui sarebbe stata tratta una ricchezza decisamente sproporzionata in rapporto alla capacità reddituale dichiarata. Le indagini si sono concluse nel 2014 con l’applicazione – nell’ambito dell’operazione di polizia denominata “Mariage 2” – della misura ablativa del sequestro su beni mobili, immobili e societari, riconducibili, tra gli altri, anche a Cuppari, per un valore complessivo pari a 419 milioni euro.
Antonio Cuppari, da ultimo, nel 2016 è stato condannato alla pena di anni 10 di reclusione, con l’applicazione delle pene accessorie dell’interdizione perpetua dai pubblici uffici e dell’incapacità di contrattare con la Pubblica Amministrazione. In esito ai provvedimenti magistratuali, il Tribunale di Reggio Calabria – Sezione Misure di Prevenzione – ha ora disposto l’applicazione, nei confronti del Cuppari, tuttora agli arresti domiciliari, della misura di prevenzione personale della sorveglianza speciale di Pubblica Sicurezza per la durata di 3 anni. Le risultanze degli accertamenti eseguiti dalla Guardia di Finanza, infatti, indicano l’imprenditore quale soggetto dotato di pericolosità sociale, qualificata dall’appartenenza mafiosa, per la sua contiguità funzionale soggettiva con gli assetti organizzativi di univoca matrice mafiosa della cosca “Morabito”, egemone su Africo. Cuppari, già intraneo a quest’ultima, a partire dal 2006, “…senza alcuna pregressa esperienza…” e con modesti redditi dichiarati/percepiti dal medesimo e dalla moglie, appena sufficienti a coprire le spese di mantenimento del nucleo familiare, si era improvvisato imprenditore nel settore di nicchia della costruzione, costituendo la “R.D.V. S.r.l.” ed avviando il progetto per la realizzazione e successiva vendita a stranieri, di complessi immobiliari quali il “Gioiello del Mare”, con destinazione turistica e residenziale, investendo ingenti risorse economiche, in perfetta simbiosi e sinergia di intenti, con i progetti imprenditoriali delle consorterie criminali mafiose.
In merito alla “R.D.V. S.r.l.”, inoltre, le risultanze probatorie del processo “Metropolis” e quelle di carattere patrimoniale emerse nell’operazione “Mariage 2”, confermano la natura mafiosa dell’impresa avviata nel 2006 da Cuppari, il quale avrebbe condotto i suoi affari in totale dipendenza delle scelte, alleanze ed interessi del clan “Morabito” a cui avrebbe fatto riferimento e che deteneva di fatto la sua golden share, ossia una quota occulta di potere decisionale e di controllo sull’investimento del sodale al cui servizio avrebbe messo a disposizione in momenti nevralgici della vita dell’impresa (dall’avvio, all’affermazione e crescita sul mercato) gli strumenti tipici di cui disponeva l’organizzazione criminale ossia la violenza, l’assoggettamento e l’omertà, ma anche il prestigio per concludere gli affari più facilmente derivante dalla forza intimidatoria.
Pertanto, gli elementi fattuali posti a fondamento della proposta patrimoniale dalla Guardia di Finanza sono, secondo il Tribunale di Reggio Calabria, sufficienti per definire la “RDV S.r.l.” e le sue controllate quali “imprese mafiose”. Con l’odierno provvedimento, è stata disposta, altresì, la confisca dell’ingente patrimonio, stimato in 217,5 milioni di euro, risultato, all’esito degli accertamenti esperiti, riconducibile ad Antonio Cuppari:

L’amministrazione delle società sopra indicate sarà affidata all’Agenzia Nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata.

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