di Giovanni Verduci
Reggio Calabria. Anche Cosa Nostra ha una componente riservata. Un gruppo elitario di mafiosi, affiliati con i riti tradizionali, ma in grado di entrare in contatto con il mondo della politica e dell’economia senza creare polveroni. Una masso-mafia. Una rete di invisibili mutuata da quella calabrese che è stata portata alla luce dalla Direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria con l’inchiesta “Mammasantissima”. Le organizzazione criminali calabresi, che con gli spezzoni deviati della massoneria ci vanno a nozze da decenni, hanno fatto scuola ed al loro esempio la mafia siciliana ha guardato con estremo interesse per creare una struttura che fosse capace di entrare in contatto diretto con quelli che il pm Giuseppe Lombardo chiama gli “ambienti strategici” della società. Una rete capace di attrarre dentro le sue maglie gli “con gli apparati istituzionali, con la pubblica amministrazione, con i professionisti, con le imprese che contano, con il sistema bancario, finanziario e con tutto quello che ne deriva, anche – permettetemi di sottolineare, perché è un tassello indispensabile – con il sistema informativo. Con sistema informativo mi riferisco non al sistema mediatico, ma al sistema che fornisce informazioni non di seconda mano, ma di primissima mano, soprattutto quelle che riguardano l’attività investigativa”. Per dimostrare questa teoria i sostituti procuratori della Repubblica di Reggio Calabria, guidati da Federico Cafiero de Raho, si sono gettati anima e corpo in una lunga ricerca giudiziaria, hanno spulciato sentenze e vecchie inchieste, si sono messi al lavoro per far combaciare una serie infinita di elementi probatori radicati dentro vecchi atti di indagine. Un impegno di ricostruzione finalizzato, come sottolineato da Giuseppe Lombardo in sede di audizioni davanti alla Commissione parlamentare antimafia – “a dare ulteriori risposte su fatti di particolare gravità consumatisi in Calabria molti anni fa”. E qui la memoria corre d’obbligo all’assassinio del giudice Antonino Scopelliti, che potrebbe essere stato assassinato, fu ucciso a Piale il 9 agosto del 1991, da killer reggini su mandato di cosa nostra siciliana.
Sono stati ben 52 i diversi procedimenti analizzati che, alla fine, hanno messo in luce, attraverso le parole degli indagati o le dichiarazioni dei pentiti, l’esistenza di una struttura sovraordinata già dal 1996. Uno spunto determinante, poi, è giunto dalle parole di Antonino Fiume, pentito dell’ala destefaniana, che parlando della Lombardia e delle frizioni che si erano create nella gestione delle piazze della droga ha chiarito ai pm reggini che la mediazione fra ‘ndrangheta e cosa nostra è stata trovata e, soprattutto, ha spiegato che in Italia “il sistema delle mafie è una cosa sola”. Così, per chiarire meglio questo assunto i pubblici ministeri dell’Antimafia reggina hanno iniziato a sentire diversi collaboratori di giustizia siciliani. Dalle loro dichiarazioni emerge con chiarezza che anche in cosa nostra esisterebbe una doppia compartimentazione ed un livello riservato composto da Riina, Bagarella, Messina Denaro i fratelli Graviano e il defunto Antonino Gioè. Un livello di invisibili che, negli anni, avrebbe mantenuto stretti contatti con i pari grado calabresi, con i boss di famiglie di primo piano come quelle dei De Stefano, dei Piromalli e dei Nirta Pelle “La maggiore”. Sono Gaspare Spatuzza ma, soprattutto, Giovanni Brusca ad offrire una chiave più precisa agli inquirenti reggini. “U verru”, ora pentito ma prima boss e killer capace di far saltare in aria Giovanni Falcone e la sua scorta o sciogliere nell’acido il piccolo Giuseppe Di Matteo, in un interrogatorio dice: «io avevo un ruolo di grande peso all’interno di cosa nostra, però, se voi mi chiedete episodi specifici che collegano ’ndrangheta e cosa nostra, in questo momento non ne ricordo. Io ricordo soltanto una cosa: che già ai tempi di mio padre quando si parlava di ’ndrangheta non si parlava di ’ndrangheta, si parlava di De Stefano e sostanzialmente si diceva che esistevano rapporti di altissimo profilo tra Stefano Bontade e i fratelli De Stefano». Continuando a percorre la pista siciliana, poi, i magistrati reggini hanno deciso di rivolgere alcune domande anche ai pentiti direttamente collegati a Leoluca Bagarella. “Perché siamo arrivati ai collaboratori collegati a Leoluca Bagarella? Perché – spiega il pm Lombardo – avevamo delle indagini svolte in parte in Calabria, ma soprattutto in Sicilia nell’ambito dell’indagine Sistemi Criminali della seconda metà degli anni ’90 su Palermo, che ci spiegavano come una serie di progetti politici di matrice separatista avesse interessato soggetti che sapevamo essere parti della componente riservata, tra cui Paolo Romeo, e soggetti di vertice di cosa nostra”. E così sotto la lente d’ingrandimento della Distrettuale reggina sono finiti, prima: Tullio Cannella, ex imprenditore pentitosi dopo il suo arresto che ha aperto una finestra nuova sui rapporti politici intessuti fra cosa nostra e ‘ndrangheta in merito al progetto separatista. Poi, Gioacchino Pennino, ex uomo della Dc che ha ricostruito i suoi viaggi d’infanzia al fianco dello zio che ogni quindici giorni andava in Calabria per partecipare a riunioni segrete di un enorme comitato d’affari e che ha ricordato come fu Stefano Bontade a spiegargli che la rete di invisibili in Calabria era operativa da tempo e che in Sicilia, invece, era in fase di formazione nei primi anni novanta. E, infine, Antonino Calvaruso, l’autista di Leoluca Bagarella, che per primo dice chiaramente al pm che lo sta interrogando: “guardi che, se lei va a chiedere a cento collaboratori di giustizia che non erano all’interno del nucleo ristretto di cui si avvalevano questi soggetti – e ci fa i nomi: Riina, Bagarella, Matteo Messina Denaro, i fratelli Graviano e Antonino Gioè, che muore suicida nel carcere di Rebibbia nell’estate del 1993 – le diranno che i rapporti non ci sono, perché non è questo un rapporto che deve essere conosciuto dal livello medio-basso. Le dico invece io, che di Bagarella ero autista, che questo rapporto esiste e il tramite (perché il tramite è sempre ben individuato, non è casuale) con la componente riservata della ’ndrangheta e quindi tra le due componenti riservate per quanto riguarda noi sono i Graviano”.