di Fabio Papalia
Reggio Calabria. Giuseppe Cosimo Ruga, arrestato nell’ambito dell’operazione Confine 2, è accusato anche di essere il mandante dell’omicidio di suo fratello Andrea. La ricostruzione che gli investigatori fanno dell’omicidio inizia dall’evento delittuoso. Il 13 gennaio 2011, alle ore 13 circa, Rocco Ruga telefonò ai Carabinieri della Stazione di Monasterace Marina comunicando la morte di suo fratello Andrea, di 64 anni, chiedendo l’intervento di Carabinieri presso l’abitazione in via Giovanni Verga, luogo di rinvenimento del cadavere. Giunti sul posto indicato, i militari trovarono davanti all’abitazione della vittima, la sua autovettura, una minicar Ligier modello 162 GL. La piccola automobile era stata lasciata in mezzo al piazzale, probabilmente in maniera frettolosa, con la portiera ancora aperta e il freno a mano non inserito. Gli specialisti del Servizio investigazioni scientifiche trovarono tracce di un urto sul profilo inferiore della portiera. Tracce che facevano pensare a un impatto con un’altra autovettura. Dentro l’auto e sullo schienale, tracce di sangue. Il cadavere di Andrea Ruga, invece, era riverso in terra, supino, con la testa rivolta verso la porta d’ingresso dell’abitazione.
Già una prima ricostruzione aveva consentito agli investigatori di ipotizzare che la morte non fosse intervenuta per cause naturali, ma per l’azione violenta di una o più persone. L’autopsia fugò ogni dubbio: la morte era stata provocata da “asfissia meccanica violenta”, ossia era stato soffocato da qualcuno con un oggetto morbido, come un cuscino, o a mani nude, con il palmo premuto su bocca e naso.
Restava da accertare movente e mandante. Gli investigatori avevano capito già che qualcosa non tornava, nessuno poteva essere così sprovveduto da andare ad attentare alla vita di Andrea Ruga fin sotto casa sua, il delitto andava letto da un’altra angolazione. Insomma i Carabinieri non credevano a un omicidio tra opposte fazioni. Un omicidio anomalo, così veniva interpretato, cui nel tempo non era seguita alcuna “risposta”, nessun omicidio altrettanto eccellente era stato consumato che potesse essere visto come una vendetta volta a indebolire la contrapposta compagine.
In soccorso agli inquirenti sono giunte poi le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia. Gianni Cretarola, in particolare, ha raccontato agli investigatori di avere saputo, per averglielo detto Massimiliano Sestito, che Cosimo Ruga avrebbe ucciso il fratello Andrea, perché non condivideva un’alleanza da lui intessuta con altre famiglie durante la sua prigionia. Gli inquirenti ritengono Cretarola un collaboratore giustizia di “indubbio spessore”, perché ha consentito di disarticolare importanti cellule di ‘ndrangheta nel territorio romano.