Condannato per l’omicidio del cognato aveva venduto la casa alla moglie: il Tribunale revoca l’atto

di Fabio Papalia

Reggio Calabria. Condannato dal Gup e in Appello per l’omicidio del cognato, aveva venduto la metà della propria abitazione alla moglie, ma i parenti della vittima, che si erano costituiti parte civile e nei cui confronti l’uomo è stato condannato a risarcire il danno, rappresentati e difesi dall’avvocato Salvatore Postorino, hanno fatto annullare l’atto di compravendita.
Il Tribunale di Reggio Calabria, seconda sezione civile, in composizione monocratica, con sentenza del giudice Francesca Rosaria Plutino, ha accolto la domanda di revocatoria ordinaria dell’atto di cessione di un appartamento e un’autorimessa stipulato tra Giuseppe Antonio Schepisi e sua moglie, dichiarando l’inefficacia dell’atto nei confronti dei familiari di Vincenzo Calarco, per l’omicidio del quale Schepisi è stato condannato in primo e secondo grado.
L’omicidio avvenne la mattina di venerdì 26 novembre 2010. Fu lo stesso Schepisi, all’epoca del delitto 35enne rappresentante di bevande incensurato, a costituirsi ai Carabinieri della Compagnia cittadina, consegnando ai militari la pistola, un revolver cal. 357 magnum, con la quale riferì che aveva appena freddato suo cognato, in casa di quest’ultimo, un appartamento in via Ferruccio 146. Gli investigatori trovarono sul letto matrimoniale il corpo della vittima, Vincenzo Calarco, 37enne finanziere in congedo, che era stato colpito a morte da 4 proiettili nella regione toracico-addominale. Non vennero mai chiariti fino in fondo i motivi del delitto, che Schepisi disse riconducibili a dissidi familiari e recenti litigi.
Schepisi si procurò le chiavi di casa di Calarco prendendole all’insaputa di lei dalla borsa di sua sorella, andò armato di pistola, e al termine di una colluttazione, sempre secondo il suo racconto, lo freddò con 4 colpi. Quattordici anni e due mesi di reclusione, fu la condanna di primo grado, nel marzo 2012, al termine di un processo celebrato col rito abbreviato, confermata anche in Appello, a novembre 2012.
Senonché il 23 febbraio 2012, prima della condanna di primo grado, all’interno dell’istituto carcerario, per il tramite di un notaio, Schepisi ha stipulato un atto di compravendita, trasferendo alla moglie i diritti immobiliari consistenti nella metà indivisa della piena proprietà sui beni immobili (un appartamento e l’adiacente autorimessa) siti in città. I parenti di Vincenzo Calarco, Giuseppe Calarco, Assunta Pintus, Annamaria Calarco e Pietro Calarco, rispettivamente genitori e fratelli della vittima, assistiti dall’avvocato Salvatore Postorino, hanno proposto ricorso al Tribunale chiedendo l’inefficacia dell’atto di compravendita. Secondo i familiari di Calarco l’atto di compravendita sarebbe stato voluto da Schepisi per eludere il credito risarcitorio da loro vantato in quanto costituitisi parte civile nel processo penale, che ha visto l’imputato dichiarato colpevole di omicidio e condannato al risarcimento del danno patito dalle parti civili, da determinarsi in sede civile, e al pagamento di una provvisionale di 25 mila euro.
Il giudice Plutino, con sentenza n. 1804/2016 pubblicata oggi, ha accolto in toto le richieste dell’avvocato Postorino e per l’effetto ha dichiarato l’atto di trasferimento dei beni effettuato da Schepisi alla moglie inefficace nei confronti dei signori Calarco e Pintus, condannando inoltre marito e moglie al pagamento delle spese legali.

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