Operazione Beta: le mani di “cosa nostra” su Messina. Carabinieri e Ros eseguono 30 misure cautelari. Cointeressenze della ‘ndrangheta

Carabinieri, Messina

Carabinieri, Messina

Questa mattina, nelle provincie di Messina, Catania, Siracusa, Milano e Torino, i Carabinieri del ROS e del Comando Provinciale di Messina, con il supporto dei Comandi Provinciali territorialmente competenti, dello Squadrone Eliportato Carabinieri Cacciatori di Sicilia e del Nucleo Cinofili, hanno dato esecuzione ad un’ordinanza di custodia cautelare emessa dal G.I.P. del Tribunale di Messina su richiesta dei magistrati della locale D.D.A. – il procuratore aggiunto Sebastiano Ardita, e i sostituti Liliana Todaro, Maria Pellegrino e Antonio Carchietti – nei confronti di 30 soggetti, gravemente indiziati, a vario titolo, di associazione di tipo mafioso, concorso esterno in associazione di tipo mafioso, estorsione, corruzione, trasferimento fraudolento di valori, turbata libertà degli incanti, esercizio abusivo dell’attività di giochi e scommesse, riciclaggio, reati in materia di armi ed altro.
Per 10 degli indagati il gip ha disposto, su richiesta della medesima autorità giudiziaria, la misura degli arresti domiciliari. L’aspetto che rende unica questa investigazione è il disvelamento di una “Entità” criminale partorita da Cosa nostra catanese – in quanto gestita da soggetti appartenenti alla famiglia di sangue (Francesco Romeo e Vincenzo Romeo, il cognato ed il nipote del boss Nitto Santapaola, perché rispettivamente marito e figlio della sorella Concetta Santapaola) – ma volutamente distante dalle bande armate e collocata all’interno dell’economia reale e delle relazioni socioeconomiche, con agganci in ogni settore della società che conta. Si tratta di una entità capace di teorizzare – come emerge nelle intercettazioni – l’abbandono delle forme criminali violente e del rituale mafioso per gestire società di servizi, controllare in modo diretto appalti su scala nazionale (emergono interessi sulla autostrada SA-RC ed Expo), gestire il gioco illegale e le scommesse della massima serie calcistica, operare attraverso la corruzione e il clientelismo il controllo sull’attività di enti pubblici, attivare informatori e complici presso uffici pubblici (anche presso organi di polizia e uffici della procura). Una struttura criminale che ha sostituito i manager ai padrini e che opera per il profitto col “concorso esterno” delle squadre che sparano: così rovesciando il tradizionale rapporto dei ruoli tra società bene e società violenta rispetto al conseguimento degli scopi associativi mafiosi. Essa dunque, come emerge dalle investigazioni, risulta essere sovraordinata alle bande armate presenti a Messina, i cui esponenti, ogni qualvolta si imbattono negli interessi della predetta associazione si arrestano, obbedendo. Risulta inoltre singolare la sostituzione del pizzo con altre forme di intervento economico, grazie anche a società che forniscono servizi alle imprese (come le cooperative nel settore dalle forniture alimentari) ovvero gestiscono in subappalto la fornitura di prodotti parasanitari per conto delle ASL.
L’indagine coinvolge esponenti della società che conta: professionisti, l’ex presidente dei costruttori di Messina, imprenditori, titolari di società, funzionari del Comune: tutti connessi da un disegno di gestione di interessi economici illeciti contrassegnati da riservatezza e reciproca affidabilità. Le indagini, avviate nel 2013, hanno consentito di riscontrare quanto già riferito da alcuni collaboratori di giustizia, documentando, per la prima volta, l’operatività nel capoluogo peloritano di una cellula di cosa nostra catanese, diretta emanazione della più nota famiglia mafiosa dei Santapaola e sovraordinata rispetto ai clan che tradizionalmente operano nei quartieri cittadini. Grazie alle attività investigative (ed in particolare ai servizi tecnici), sono state, quindi, ricostruite le dinamiche associative del sodalizio ed il presunto ruolo di vertice rivestito da Vincenzo Romeo, sotto la supervisione del padre, Francesco, e con la collaborazione dei fratelli, Pasquale Romeo, Benedetto Romeo e Gianluca Romeo.
I rapporti con l’articolazione territoriale di cosa nostra catanese, basati anche su legami parentali , sono risultati solidi e perfettamente funzionali alle esigenze dell’associazione, come quando, dopo il sequestro per un valore di oltre 10 milioni di euro (il provvedimento ha riguardato la ditta “Geotrans s.r.l.”, operante nel settore dei trasporti e della logistica) eseguito il 18.03.2014 dal Ros (unitamente alla Dia e all’Arma territoriale nell’ambito dell’indagine “Caronte”.) nei confronti dei fratelli ERCOLANO Vincenzo e Cosima PALMA, eredi di ERCOLANO Giuseppe, quest’ultimo presunto esponente di vertice della famiglia di Catania, Vincenzo Romeo ha dovuto farsi carico del finanziamento economico dei sodali catanesi, colpiti del provvedimento ablativo, vivendo quel frangente come una messa alla prova delle proprie capacità di gestione economico-criminali. L’attività investigativa ha restituito l’immagine di un’entità criminale ancorata alle tradizioni mafiose ma, al tempo stesso, moderna e capace di agire in maniera quasi silente, limitando al massimo il ricorso ai tradizionali “reati di visibilità”, tipici dell’associazione mafiosa, e di proiettare i propri interessi in diversi settori dell’imprenditoria, che non si è limitata a sfruttare parassitariamente, ma che ha pesantemente infiltrato e finanziato. Il tutto grazie ad una non comune capacità di interlocuzione con professionisti ed ambienti istituzionali, in un percorso trasversale in cui il ricorso alla violenza è rimasto sullo sfondo, limitato ai momenti di particolare criticità e nei rapporti con i clan di quartiere.

L’attività investigativa ha permesso di ricostruire gli interessi del sodalizio in alcuni importanti settori, in particolare:

L’indagine ha, inoltre, evidenziato l’interesse dei sodali verso i più rilevanti appalti pubblici e privati del capoluogo messinese, realizzato anche tramite l’imposizione di forniture e manodopera. Un episodio, in particolare, ha messo in luce le ingerenze della compagine criminale nella procedura di acquisto di immobili, da adibire ad alloggi popolari, deliberato dal comune di Messina – dopo un episodio di corruzione – ai fini del risanamento dell’area cittadina denominata “Fondo Fucile” ed ha fatto emergere l’inquietante rapporto collusivo con alcuni esponenti dell’Ufficio Urbanistica dell’amministrazione locale, funzionale all’aggiudicazione dell’appalto, al quale non si è data esecuzione per rinuncia degli stessi indagati che, in corso d’opera, hanno ritenuto economicamente più vantaggioso alienare gli immobili sul libero mercato.
Gli elementi raccolti nel corso dell’indagine hanno condotto alla contestazione del reato di concorso esterno in associazione mafiosa a carico dell’avv. Andrea Lo Castro, che avrebbe messo a disposizione del sodalizio le proprie competenze professionali per consentire il riciclaggio di denaro proveniente da reati, la falsa intestazione di beni e l’elaborazione di strategie per la sottrazione, in frode ai creditori, della garanzia patrimoniale sulle obbligazioni, prestandosi in prima persona anche a fungere da prestanome per l’intestazione di beni.
Dalle intercettazioni è emersa, inoltre, la disponibilità di armi in capo al gruppo e l’esistenza di collusioni con esponenti delle istituzioni finalizzati ad ottenere notizie su eventuali indagini in corso.

Exit mobile version