Reggio Calabria. «Ricordo ancora i tanti “giusti” e “giudici improvvisati” che in quell’occasione, invece, di aprire una sistematica rete di riflessioni e confronti hanno preferito criticare e puntare il dito verso quei “carnefici” che in qualche modo in questa triste storia risultano essere, forse, “vittime”. Vittime di questa comunità, che non è riuscita veramente ad ascoltarli; sentire dentro i loro racconti tutta la paura, e il dolore, di non essere amati, di non valere niente, di sentirsi ricoperti di cose, di attenzioni, di premure, ma non di bene, di gratuità».
Leggiamo basite e indignate le dichiarazioni di Zavettieri, sedicente membro della commissione alle politiche giovanili della Città Metropolitana, secondo il quale i carnefici della ragazzina di 13 anni, sottoposta a stupri e violenza di branco per 3 anni prima che la storia venisse fuori, si possono considerare quasi, le “vere” vittime di questo aberrante episodio avvenuto un anno fa nel paese di Melito Porto Salvo.
“Caro” Zavettieri, forse dimentica che queste “vittime”, per cui lei ha espresso motivazioni “socialmente giustificative”, hanno violentato una ragazzina per tre anni di seguito, a turno o tutti insieme, andavano a prenderla anche all’uscita della scuola media per abusare di lei? Le parole hanno peso e significato preciso e dietro queste sue dichiarazioni, dietro questa solidarietà condizionata “da uomo”, dietro questa incapacità di distinguere nettamente la vittima dai colpevoli c’è una nuova e insopportabile offesa non solo per la ragazzina a cui siamo vicine e che per lei è diventata un “fantasma”, ma per le donne tutte.
Il voler cercare a tutti i costi la giustificazione sociale del disagio che sminuisca il comportamento di questi carnefici, è per noi inaccettabile. Ciò che traspare dietro queste affermazioni è la stessa cultura del “se l’è cercata” che porta a trovare a tutti i costi una giustificazione alla violenza ad allo stupro così come in quella triste occasione abbiamo sentito, velatamente ma non tanto, venir fuori dalle dichiarazioni a “caldo” di alcuni abitanti di Melito come da quelli di S. Martino di Taurianova nel caso di Anna Maria Scarfò. È la stessa cultura maschilista e sessista che cerca di ribaltare quel che accade, di sottrarre o attribuire una “morale”, che trasforma la donna in imputata che deve difendersi, dimostrando di non essere lei “una poco di buono”, per non sentirsi dire “se l’è cercata”!
“Caro” consigliere Zavettieri: lo stupro è stupro. Come tale, chi lo commette va condannato senza se e senza ma, e non cercando presunte motivazioni di disagio sociale che contribuiscano a “lavarne” le coscienze. Se queste sono le posizioni di “riflessione e ascolto” che esprime e propone come componente della “Commissione giovanile della città metropolitana”, da cui peraltro ci aspettiamo quanto meno una presa di distanza (ci vorrebbe troppo coraggio per prendere una più netta posizione sulle sue dimissioni), possiamo affermare, senza dubbio di smentita, che questa città sui diritti delle donne ha fatto un passo indietro e con essa la sua intera comunità.
NonUnaDiMeno Reggio Calabria (Collettiva AutonoMIA, Csoa A.Cartella, Il Cuore di Medea Onlus, le singole componenti del gruppo)
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