Reggio Calabria. Il riconoscimento del CSM alla sperimentazione avviata da alcuni anni a Reggio Calabria dal Tribunale per i Minorenni, che ha permesso a circa 40 minori appartenenti a famiglie di ndrangheta di potere fare un’esperienza di vita alternativa, era il segnale che si attendeva per rendere questa metodologia d’intervento strutturale ed organica. Un bilancio di questa esperienza è stato tracciato nell’incontro promosso dal Centro Comunitario Agape di Reggio Calabria, associazione fondata da Don Italo Calabrò che da anni opera per la tutela e l’accoglienza dei minori in condizioni di disagio sociale e dalla Camera Minorile composta da un gruppo di avvocati che stanno collaborano con il Tribunale per i Minorenni svolgendo il ruolo di tutori o curatori per minori i cui genitori appartenenti a clan hanno avuto la revoca o la limitazione della patria potestà. L’intervento del procuratore delle repubblica c/o il Tribunale dei Minorenni di Reggio Giuseppina Latella, protagonista assieme al Presidente Roberto di Bella di questa sperimentazione, ha offerto una panoramica chiara sul lavoro svolto che ha evidenziato come su questi temi molti sono intervenuti in maniera superficiale, denunciando presunte “deportazioni” ed interventi a tappeto sulle famiglie mafiose senza conoscere le procedure e le motivazioni che hanno portato alla scelta dell’allontanamento dei minori dal loro nucleo familiare.
Una strada invece imboccata non in modo automatico, per la solo appartenenza ad un clan, ma solo di fronte a condotte gravi e documentate ( ad esempio per mezzo di intercettazioni e rapporti delle forze dell’ordine) pregiudizievoli della crescita del minore e nel suo interesse. Una metodologia rigorosa che viene preceduta dall’ascolto dei genitori e dei minori da operatori specializzati, con la garanzia di un accompagnamento psicologico e sociale ed anche della continuità delle relazioni con i genitori anche quelli che vivono la detenzione. Spesso emerge in questa fase soprattutto da parte delle madri il consenso al progetto di recupero, ma anche qualche genitore condannato con il 416 bis ha ringraziato il Tribunale per l’intervento avviato. L’indicatore più importante della validità di questa procedura è la ritrovata serenità psicologica ed affettiva di minori che per anni hanno vissuto il dramma delle continue perquisizioni, degli arresti, della interruzione traumatica dei rapporti affettivi.
Di grande valenza per i più piccoli è l’esperienza di accoglienza vissuta in famiglie affidatarie che non hanno avuto remore ad aprirsi a questa povertà educativa. Il Magistrato ha lanciato l’appello per un maggiore coinvolgimento degli Enti Locali e dell’associazionismo per allargare la rete di soggetti che possano garantire anche dopo in conseguimento della maggiore età la continuazione del progetto pedagogico di accompagnamento.
Gli avvocati Giuseppe Marino e Pasquale Cananei della Camera Minorile, partendo dalle loro esperienze di curatori, hanno indicato tra le criticità da affrontare la carenza di operatori specializzati su questi temi, la mancanza di coordinamento tra i servizi, la necessità di ridurre al minimo gli allontanamenti in regioni del centro nord privilegiando le soluzioni in ambito locale e regionale. Dall’esperienza fatta emerge ancora l’importanza del ruolo delle donne che rappresentano la carta decisiva da giocare per aumentare il numero dei minori da coinvolgere ed avviare una vera e propria rivoluzione delle coscienze.
Per Enrico Inter donato psicologo di Addio Pizzo di Messina e per la pedagogista Carmela Fotia della coop Don Italo Calabrò, che hanno seguito diverse situazioni di minori, la sperimentazione ora deve fare uno scatto in avanti, non si può continuare a basarsi solo sul volontariato ma servono scelte ed investimenti di risorse da parte del Governo e della Regione Calabria che privilegino le risorse che sono presenti nel territorio. Un servizio di monitoraggio della sperimentazione e di avvio di attività formative per preparare operatori specializzati è stato offerto dal prof. Carzo del dipartimento di Sociologia dell’università di Messina.
Concludendo i lavori il presidente del centro Comunitario Agape ha ribadito che serve un cambio di impostazione da parte del parlamento e del Governo nel contrasto alle mafie che finora si è espresso unicamente con la repressione dei reati pur necessaria senza capire l’importanza degli investimenti in educazione ed in politiche sociali. Ha proposto come provocazione che nelle periferie e nei paesi ad alta densità mafiosa accanto ad ogni caserma dei carabinieri sorga un centro di aggregazione giovanile, che gli stessi soldi che vengono spesi per forze dell’ordine e Magistratura si utilizzino per assumere assistenti sociali, educatori, per una scuola a tempio pieno, per attivare spazi per fare sport e per vivere un tempo libero che non riempito da spaccio, furti, vandalismo. Per questi motivi la legge che il CSM ha chiesto al Parlamento dopo l’esperimento di Reggio Calabria deve anche su queste urgenze deve dare risposte.
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