Reggio Calabria. All’esito dell’udienza di convalida celebrata presso i locali del Cedir, il gip di Reggio Calabria, Caterina Catalano, dopo avere convalidato l’arresto, avvenuto in flagranza di reato che prevede l’obbligo del provvedimento cautelare, ed avere ascoltato l’avv. Giuseppe Nardo (nella foto in alto), che è intervenuto in difesa dei tre indagati, Antonino Megale di 69 anni, Bruno Megale (figlio) e Giovanni De Carlo (genero), entrambi del 1974, e tutti di Cardeto, anche se domiciliati in San Sperato di Reggio Calabria, ha disposto l’immediata scarcerazione dei due giovani cognati e l’applicazione degli arresti domiciliari per il solo Antonino Megale.
Questi, nel corso degli interrogatori, è l’unico che si è attribuito la paternità esclusiva delle armi, che, a sua detta, avrebbe rinvenuto per caso un paio di mesi fa nelle vicinanze della sua abitazione. Gli altri due, invece, hanno negato decisamente di avere qualcosa da spartire con le armi contraffatte rinvenute nel seminterrato del fabbricato da loro abitato.
In effetti, ha sottolineato l’avvocato Nardo, per quanto è risultato dal verbale di sopralluogo dei Carabinieri che hanno operato la perquisizione e sequestrato le armi, in assenza di elementi che non siano ricavati da una inammissibile presunzione, il seminterrato dove sono state rinvenute le armi non può dirsi con certezza di uso comune da parte di tutti e tre gli occupanti del fabbricato.
In questa situazione, al giudice non è rimasto altro che – per come perorato dall’avv. Nardo – prendere atto della inidoneità degli elementi forniti a sostenere l’ipotesi dell’uso promiscuo dello scantinato e dunque dell’impossibilità di attribuire la responsabilità a tutti indistintamente gli indagati in concorso, dovendosi limitarla al solo Antonino Megale.
Subito dopo il deposito del provvedimento di scarcerazione gli indagati hanno lasciato il carcere di Arghillà, dove si trovavano reclusi da venerdì scorso.