Reggio Calabria. «Mot senza tutele assistenziali e sanitarie e disarmati», è il grido d’allarme lanciato dall’avvocato Concetta Romeo, vice procuratore onorario presso la Procura di Reggio Calabria, che è intervenuta all’inaugurazione dell’anno giudiziario quale rappresentante di Feder.M.O.T., la Federazione magistrati onorari di Tribunale. Di seguito il testo integrale del suo discorso:
I magistrati onorari italiani hanno iniziato l’anno giudiziario 2018 con due notizie inquietanti.
La prima proviene dal Supremo Collegio, che ha negato le ordinarie tutele assistenziali e assicurative a un giudice che ha contratto durante il servizio una malattia grave come la tubercolosi, in occasione di una convalida di espulsione, solo perché appartenente alla magistratura onoraria.
La seconda viene dal Ministero della Giustizia, che ha ritenuto di rimarcare per l’ennesima volta la ritenuta estraneità della magistratura onoraria all’ordine giudiziario, disponendo, in autotutela, il ritiro delle tessere identificative detenute da oltre venti anni dai magistrati onorari, le quali li abilitano, al pari dei magistrati di ruolo, al porto di un arma senza licenza.
Da oggi, chiunque potrà infettare un magistrato onorario senza che a questi sia riconosciuta una tutela assicurativa o sparargli direttamente, confidando che non disponga di quell’arma da fuoco di cui il Ministero consentirà da domani il porto ai soli magistrati di ruolo e stipendiati.
Invero, chi non dispone di una retribuzione dignitosa difficilmente dispone delle risorse per acquistare un’arma di difesa personale.
Ma vietare addirittura il porto senza licenza, ammesso per i magistrati di ruolo, costituisce una discriminazione senza alcuna utilità pratica, se non quella di impedire la privata difesa a persone che corrono i medesimi pericoli di qualsiasi altro magistrato.
Il nostro auspicio per il 2018 è che questo clima di “caccia grossa” ai magistrati onorari, lasci il posto ad una riforma seria della categoria, sotto l’iniziativa di un Parlamento finalmente eletto con una legge elettorale costituzionalmente legittima.
Le recenti riforme di facciata che hanno condotto la giustizia ordinaria a un passo dal default, sono anche esse in odore di incostituzionalità e giunte al vaglio della Corte di Giustizia.
La Costituzione, sempre più negletta e calpestata, sara’ dunque rimessa, si auspica, al centro dell’intera vita politica, cosicché non debba mai più accadere che un Ministro della giustizia subordini una riforma indispensabile, quale il rafforzamento della magistratura onoraria, al parere politico di una Associazione magistrati, ente privato autorevole, ma non contemplato tra gli organi di rilevanza costituzionale.
Che l’ANM tale parere lo abbia reso, opponendosi a una riqualificazione e forte della categoria, è cronaca da cui partire per svolgere alcune considerazioni critiche sui motivi che stanno conducendo allo stallo la giustizia italiana.
L’attuale assetto organizzativo condanna i magistrati di ruolo a seguire anche il contenzioso bagattellare e seriale, quando nelle corti d’appello settentrionali, che pure sono tra le meno inefficienti, si prescrivono gli stupri contro i minori.
Il tutto per la pretesa dell’ANM, avallata dal Ministro Orlando, di demandare l’intero contenzioso ordinario civile e penale, nei tre gradi di giudizio, a soli 9.000 magistrati, incluse le partorienti e gli ammalati, senza riconoscere una stabile funzione complementare ai magistrati onorari, cui si vieta il lavoro a tempo pieno.
In un Paese normale si sarebbe investito su una funzione di supporto che sgravi il lavoro dei magistrati di ruolo o si sarebbe provveduto ad ampliare la consistenza numerica dei magistrati di ruolo.
In Italia nessuna di queste due ipotesi sembra percorribile.
La priorità non è impedire le prescrizioni dei reati e l’eccessiva durata dei processi, ma impedire una riqualificazione della magistratura onoraria che faccia ombra a quella di ruolo, preoccupazione irrazionale che richiederebbe una analisi psico-sociale più che politica.
Su un piano razionale, invece, si può solo osservare che la riforma Orlando, privandola di quella onoraria, condanna la magistratura di ruolo alla inefficienza e, al tempo stesso al nanismo istituzionale, sociale e politico.
Ne sono consapevoli quelle migliaia di magistrati che stanno cambiando le proprie preferenze di voto nelle elezioni distrettuali della propria associazione, in acclarata critica all’attuale governance di ANM, incapace di cavalcare e sostenere riforme che guardino un po’ più in là del vicino di casa, ossia un po’ oltre il magistrato onorario e le sue ambizioni per niente velleitarie di ottenere una previdenza, un retribuzione dignitosa e l’accompagnamento alla pensione, dopo venti anni di lavoro svolto senza la titolarità di diritti che, normalmente, distinguono un lavoratore regolare da uno in nero.
A tale epilogo si perviene per peccato di superbia; per non aver ascoltato il monito dei capi degli uffici, favorevoli a una riforma meno punitiva e più equa, inascoltati, al pari del Consiglio di Stato, sia dal Ministro Orlando sia – ed è ciò che più ci rammarica e sconcerta – dalla Giunta dell’ANM.
Del magistrato onorario ci si ricorda solo quando egli sciopera; ecco allora che lo stesso dirigente ministeriale firmatario del ritiro delle tessere identificative, chiede di monitorare l’adesione al prossimo sciopero, il primo del 2018.
Seguendo questo approccio convulso e disorganizzato si è persa l’opportunità di attuare nel 2017 quello che ora dovrà essere affrontato dal nuovo Parlamento, di iniziativa propria o, forse, d’ordine della Corte di Giustizia: una riforma che accordi ai magistrati onorari un ruolo stabile, seppure gregario, nell’esercizio della giurisdizione, con la garanzia di diritti economici e guarentigie, il cui riconoscimento, risalente all’età di Giolitti, è oggi negato solo a questa categoria, pure così strategica per la salvaguardia di quella tutela giurisdizionale che è caposaldo indefettibile dello Stato di diritto.