Uccise la moglie. In Corte d’Assise d’Appello pena ridotta di un terzo: da 15 a 10 anni

Aula Corte di Assise di Appello Reggio Calabria

Aula Corte di Assise di Appello Reggio Calabria

di Fabio Papalia

Reggio Calabria. Significativo sconto di pena in Corte d’Assise d’Appello per Salvatore Morabito, l’uomo di 68 anni che due anni fa a Molochio ha ucciso la moglie, Anna Maria Luci di 55 anni, con un colpo di fucile: la condanna gli è stata ridotta di oltre un terzo, dai 15 anni e 8 mesi inflitti in primo grado, stamattina ha ottenuto una pena di 10 anni di reclusione. Una vittoria netta per i difensori dell’imputato, gli avvocati Armando Veneto e Andrea Morabito, che hanno visto accolta dalla prima sezione della Corte d’Assise d’Appello, presidente Roberto Lucisano, a latere Giuliana Campagna, la richiesta di ritenere prevalenti le attenuanti generiche sull’aggravante dell’uxoricidio (mentre non è stata accolta la richiesta di riconoscere l’attenuante della provocazione).
Tema della decisione, infatti, non era se l’imputato avesse ucciso la moglie, delitto che Morabito confessò immediatamente, ma l’entità della pena.

La ricostruzione del delitto
Il 22 febbraio 2016, intorno alle ore 13, a Molochio si consumò il dramma nell’abitazione dei coniugi Morabito-Luci, genitori di tre figli. Lui 66 anni, titolare di un distributore di benzina, lei 55 anni.
I vicini sentono un’esplosione di arma da fuoco, si precipitano sul pianerottolo, vedono la donna riversa in terra vicino all’uscio di casa, lui senza dire una parola scavalca il corpo della moglie, non risponde alle loro domande, si reca immediatamente alla locale stazione dei Carabinieri per costituirsi. Non trova nessuno, perché nel frattempo i militari sono accorsi sul luogo del delitto allertati dai vicini, li attende davanti alla porta della caserma. Quando arrivano i Carabinieri si consegna spontaneamente, ammette di averle sparato al termine di una lite con un colpo di fucile, legalmente detenuto, e racconta una vita di litigi subiti passivamente, fino a due giorni prima del delitto, quando la moglie gli ha puntato contro minacciandolo un secondo fucile, anche quello legalmente detenuto, che la donna gli aveva sottratto e che non gli aveva più voluto riconsegnare.
I Carabinieri intervenuti sulla scena del delitto sequestrano immediatamente in casa l’arma del delitto, una doppietta marca “Franchi”, mentre il secondo fucile sarà ritrovato solo dopo in seguito ad accurata perquisizione, sotto il materasso di un divano letto, in una stanza la cui porta è scardinata, perché la donna – racconta ancora l’uomo – l’aveva chiusa a chiave.
Insomma l’uomo racconta ai Carabinieri di avere agito in preda a un raptus, che temeva che la donna volesse utilizzare il fucile sottratto per uccidere lui o sua sorella, quella cognata con cui sua moglie non andava d’accordo.
I tre figli, sentiti dai Carabinieri, confermano che il padre è sempre stato di carattere bonario, raccontano dei continui litigi scatenati dalla madre, per futili motivi: «Lei voleva avere sempre l’ultima parola». I tre fratelli raccontano dei tentativi del padre, che ha chiesto anche ai suoi figli di parlare con la madre per farsi restituire il fucile, invano. La determinazione della donna, che non risponde neanche alla figlia che le chiedeva di restituire il fucile.

La condanna in primo grado
Nel luglio scorso il gup di Palmi, Dionisio Pantano, ha condannato Salvatore Morabito alla pena di 15 anni e 8 mesi di reclusione per l’omicidio. Accogliendo solo parzialmente le richieste dell’accusa, che aveva invocato una condanna a 20 anni di reclusione, il massimo irrogabile con il rito abbreviato, il gup ha concesso all’imputato, incensurato, le circostanze attenuanti generiche, ritenute equivalenti all’aggravante contestata, ovvero l’uxoricidio, l’avere ucciso la propria moglie.

Il processo di secondo grado
Proveniente da un processo di primo grado celebrato con rito abbreviato, anche il processo di secondo grado si è svolto con le forme del rito abbreviato, ma la difesa ha chiesto che l’udienza si svolgesse pubblicamente.
Il sostituto pg Francesco Monaco ha chiesto la conferma della condanna, sostenendo che fossero da rigettare sia la richiesta di riconoscere l’attenuante della provocazione, sia la prevalenza delle attenuanti sulle aggravanti. «Ci sono elementi che ci dicono che i rapporti tra i due non erano rapporti di convivenza felice, e questo ce lo dicono i figli – ha detto l’accusa –  i fatti sono tali da giustificare una separazione con addebito, non l’omicidio».

La difesa, invece, ha chiesto di riconoscere l’attenuante della provocazione, e inoltre di riconoscere le attenuanti generiche prevalenti sulla circostanza aggravante (e non equivalenti come nella condanna di primo grado).
«L’imputato – ha affermato nelle sue conclusioni l’avvocato Andrea Morabito – si presenta con la sola richiesta di vedere riconosciuta le reali motivazioni che due anni fa in un momento d’ira lo hanno portato a rivolgere l’arma contro la moglie». Il difensore ha ricordato l’episodio dei salami appesi in garage: il marito li teneva appesi al soffitto del garage, e si accorse che di tanto in tanto ne mancava qualcuno, quindi li tolse tutti da lì ma al suo posto trovò alcuni dei salami che erano stati sottratti e un biglietto vergato dalla moglie, in dialetto: “riempiti la pancia”.
Anche l’avvocato Armando Veneto ha ripercorso alcuni momenti significativi che hanno contribuito a mandare in frantumi il rapporto coniugale, ricordando l’opposizione che la moglie – per motivi economici – fece al marito allorquando lui volle riportare in Italia le ceneri del padre, morto tanti anni prima in Australia. La tesi difensiva ha puntato soprattutto alla prevalenza delle attenuanti: «Come può il rapporto coniugale pareggiare il conto con le attenuanti generiche, quando proprio la vittima ha causato la rottura del rapporto di coniugio?».
Dopo circa mezz’ora di camera di consiglio la Corte d’Assise d’Appello composta dai due magistrati e dai giudici popolari, ha emesso sentenza: ritenute le circostanze attenuanti generiche prevalenti sull’aggravante contestata, condanna Salvatore Morabito a 10 anni di reclusione.

Exit mobile version