Firenze. La procura di Firenze ha chiesto al gip Mario Profeta il giudizio immediato per quattro somali accusati di associazione a delinquere transnazionale finalizzata al traffico di materiali di armamento: nel caso concreto si tratta dell’esportazione, non autorizzata, in Somalia di ex mezzi militari regolarmente dismessi dalle Forze Armate italiane. Nell’ottobre 2017 i quattro somali furono arrestati in carcere. Insieme ad altri furono coinvolti in un’inchiesta della Polstrada, con un totale di 15 indagati, coordinata dal pm Giuseppina Mione che ora ha notificato a tutti la conclusione delle indagini.
I quattro somali, tutti nati a Mogadiscio, vivono in Italia e sono Farah Salah, 38 anni, e Abderahman Mehdi, 37 anni, entrambi residenti a Montopoli Val d’Arno (Pisa); Issa Mohammed, 34 anni, residente a Pontedera (Pisa); Omar Ahmed, 37 anni, residente a Signa. Il primo è in carcere a Sollicciano, il secondo e il terzo a Pisa, il quarto a Trapani.
Secondo l’accusa, operando soprattutto in Toscana, Campania e Calabria, i quattro somali cercavano mezzi militari dismessi (camion da trasporto truppe e materiali tipo Iveco Acm o Fiat Tm) e non più usati dall’Esercito Italiano, ma non demilitarizzati cioè privati degli armamenti tipo ‘luci di guerra’, vernici antiriflesso, pneumatici antiproiettile, postazioni per fucilieri e mitraglieri, strumenti ad uso bellico. Poi insieme alla loro ‘rete’ provvedevano a farli arrivare, o interi o tagliati a pezzi, in Somalia, Paese verso cui vige l’embargo totale di Onu e Ue. Alla Somalia è vietato fornire, vendere, trasferire armamenti, compresi veicoli a uso militare.
Le spedizioni avvenivano per container dal porto di Anversa (Belgio), mentre i pagamenti erano fatti attraverso il sistema fiduciario arabo Hawala, che è illegale e non riconosciuto dalle normative. Il commercio dei veicoli militari veniva gestito in Somalia da persone sul posto, tali Haji e Zakeria. Il denaro per gli acquisti partiva tutto dalla Somalia. Altro paese da cui sono passati i mezzi sono gli Emirati Arabi Uniti. Una volta in Somalia, i camion venivano riassemblati e quindi venduti a chi li aveva ordinati. Gli altri indagati sono italiani. Sono trasportatori, demolitori, spedizionieri che, sempre secondo l’accusa, costituivano la rete logistica necessaria per movimentare questi materiali e anche emettere fatture false per ‘pezzi di ricambio’ con cui eludere i controlli doganali.
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