Roma. La quinta sezione penale della Corte di Cassazione, Maria Vessichelli presidente, relatore grazia Miccoli, all’udienza del 18 dicembre 2017 (con sentenza le cui motivazioni sono state rese note lo scorso 20 aprile) ha annullato con rinvio alla Corte d’Appello di Reggio Calabria il decreto impugnato limitatamente alla misura di prevenzione personale da applicare a Pasquale Rappoccio. Rappoccio – già Presidente e proprietario della squadra di pallavolo femminile reggina “Medinex”, militante nella massima serie (A1), nonché socio della “Piero Viola”, prestigiosa società sportiva che ha vantato decenni di presenza nel massimo campionato di basket italiano – aveva proposto ricorso contro il decreto dell’11 novembre 2016 della Corte di Appello di Reggio Calabria, che in parziale riforma della pronuncia del Tribunale di Reggio Calabria (qui la notizia della confisca), aveva rideterminato in 2 anni e 6 mesi la durata della misura di sorveglianza speciale di pubblica sicurezza con obbligo di soggiorno. Con lo stesso decreto era stata revocata la confisca e il sequestro di alcuni beni, confermando la confisca di tutti gli altri beni mobili e immobili indicati nel primo decreto. Rappoccio ha proposto ricorso sia in merito alla misura personale, che a quella patrimoniale; in merito a quest’ultima insieme a Rappoccio hanno proposto ricorso anche i suoi familiari, terzi interessati. La Corte di Cassazione ha annullato con rinvio il decreto limitatamente alla misura personale, rigettando nel resto il ricorso di Rappoccio e dichiarando inammissibili i ricorsi dei terzi interessati. Quanto ai motivi dell’annullamento, vertono sulla mancanza di motivazione sul requisito dell’attualità della pericolosità sociale.
Fabio Papalia
La Corte d’Appello – scrivono i giudici di Cassazione nelle motivazioni – ha confermato l’applicazione della suddetta misura personale nei confronti di Pasquale Rappoccio ritenendo sussistente la pericolosità sociale semplice del prevenuto dal 2005 e la pericolosità sociale qualificata dall’anno 2009. Secondo le argomentazioni sviluppate dalla Corte di appello di Reggio Calabria, «la pluralità degli indici sintomatici protrattisi nel tempo e via via aggravatisi, trasformando una pericolosità sociale semplice in una pericolosità sociale qualificata, offrono questa volta alla luce dei concreti comportamenti che si sono esaminati, la dimostrazione di una svolta nella vita imprenditoriale del proposto che, partendo da un sistema di illecita partecipazione a contratti di pubbliche forniture a tutto vantaggio della società di cui il Rappoccio era amministratore, si è evoluto assumendo cointeressenze imprenditoriali con capitali e uomini di ‘ndrangheta».
In particolare – prosegue la Cassazione – gli elementi valutati dalla Corte territoriale e posti a fondamento del giudizio di pericolosità sociale – sia semplice che qualificata – del proposto sono costituiti dalle risultanze di tre procedimenti penali pendenti nei confronti del Rappoccio:– in ordine alla pericolosità sociale semplice viene valorizzato il procedimento penale n. 3434/2008 RGNR DDA, nel quale il proposto è stato rinviato a giudizio per una serie di reati dai quali emerge – secondo le argomentazioni della Corte territoriale – il modus operandi dell’imprenditore Rappoccio, amministratore della Medinex S.r.l., caratterizzato dalla violazione dei principi che regolano la partecipazione alle pubbliche forniture, al fine di procurare alla propria impresa, proprio grazie ai distorti meccanismi descritti negli stessi capi di imputazione, vantaggi e lucro privilegiati. Si tratta di una serie di condotte che hanno abbracciato l’arco di tempo ricompreso tra luglio 2005 e aprile 2006;
– la sussistenza della pericolosità sociale qualificata viene desunta dalle risultanze dei procedimenti c.d. “‘Ndrangheta Banking” e “Reggio Nord“, nell’ambito dei quali il Rappoccio è imputato, in concorso, dei delitti di usura e illecita concessione di finanziamenti (processo “Ndrangheta Banking”) e di intestazione fittizia (processo “Reggio Nord”), tutti aggravati ai sensi dell’art. 7 D.L. 13 maggio 1991, n. 152, conv. dalla legge 12 luglio 1991, n. 203. Le contestazioni (per le quali, in ordine al secondo dei suddetti processi, l’imputato ha riportato condanna, seppur non definitiva) attestano il connubio, negli anni 2009 e 2010, fra l’imprenditoria del Rappoccio ed il capitale mafioso della cosca Pesce, nel processo “Ndrangheta Banking”, e il capitale mafioso della cosca Condello, nel processo “Reggio Nord”.
Le vicende delineate in questi procedimenti, raffigurano il Rappoccio quale imprenditore che si mette al servizio del le suddette cosche, curando gli interessi patrimoniali delle stesse relativamente alla fase – essenziale per la sopravvivenza di qualsivoglia consorteria mafiosa – della “ripulitura” degli ingenti capitali mafiosi, derivanti da attività illecite, consentendone, così, il reinvestimento nei circuiti dell’economia legale.
Secondo le valutazioni operate dalla Corte di appello di Reggio Calabria, infine, tale condizione del proposto assume i caratteri della “appartenenza” (alle predette consorterie mafiose), intesa come contiguità agli interessi criminali e condivisione degli stessi, da cui emerge un evidente quadro di pericolosità sociale qualificata.Circoscritto, quindi, il periodo di pericolosità sociale del prevenuto dal 2005 al 2010, la Corte territoriale (cioè la Corte d’Appello ndr) – continua la motivazione della Cassazione – ha confermato, riducendone la durata, la misura della sorveglianza speciale di p.s. applicata dal Tribunale di Reggio Calabria nei confronti di Pasquale Rappoccio, in ossequio alla giurisprudenza di legittimità che esclude la necessità di attualizzare il giudizio di pericolosità sociale nei confronti di appartenenti ad associazioni mafiose in assenza di elementi da cui desumere il recesso dal sodalizio.
In altri termini, in punto di “attualità” della suddetta pericolosità il decreto opera un richiamo al principio ermeneutico, fondato su massime di esperienza, che ne ritiene la persistenza nell’indiziato di appartenere ad associazione mafiosa, in conseguenza della stabilità del vincolo associativo, dato che si presume – essendo la stessa stabilità, sulla base di dati di natura empirica e sociologica, una caratteristica costitutiva delle organizzazioni criminali – fino a quando non vi sia una dimostrazione di scioglimento della compagine o di risoluzione del legame del singolo, evenienze che la Corte ha sottolineato non essere state dimostrate, né dedotte dall’interessato.Articolata in questi termini – prosegue la Cassazione – la motivazione fornita dalla Corte territoriale (cioè la Corte d’Appello ndr) si pone in contrasto con il principio di recente stabilito dalle Sezioni Unite di questa Corte, le quali hanno affermato la necessità di accertare il requisito dell’attualità della pericolosità del proposto anche nei confronti di indiziati di appartenere ad associazioni di tipo mafioso, evidenziando che solo nel caso in cui sussistano elementi sintomatici di una “partecipazione” del prevenuto al sodalizio mafioso è possibile applicare la presunzione semplice relativa alla stabilità del vincolo associativo (e, dunque, all’attualità della pericolosità sociale) purché la sua validità sia verificata alla luce degli specifici elementi di fatto desumibili dal caso concreto e la stessa non sia posta quale unico fondamento dell’accertamento di attualità della pericolosità (Sez. U, n. 111 del 30/11/2017, Gattuso, Rv. 271511).
La decisione in esame ha in particolare escluso che dalla sola individuazione di appartenenza all’associazione mafiosa, pur se riferibile a compagini storiche, possa automaticamente discendere l’attualità della pericolosità, a prescindere da ogni analisi rapportata ai tempi dell’intervento di prevenzione, poiché le massime d’esperienza circa la stabilità del vincolo e le modalità di risoluzione, desunte dall’esame sociologico e storico del fenomeno mafioso, devono coniugarsi con un doppio ordine di verifiche sulla natura giuridica dell’accertamento di appartenenza e circa l’apporto riconosciuto al gruppo dal singolo.
L’applicazione della massima di esperienza desumibile dalla tendenziale stabilità del vincolo può, dunque, trovare applicazione solo attraverso la previa analisi specifica dei suoi presupposti di validità nel caso oggetto della proposta e non può da sola genericamente sostenere l’accertamento di attualità.
Così delineato il requisito dell’attualità, quale presupposto applicativo delle misure di prevenzione nei confronti dei soggetti indiziati di appartenere ad organizzazioni di stampo mafioso, deve necessariamente riconoscersi l’omessa motivazione del decreto impugnato in ordine al suddetto requisito.
In tale provvedimento, la Corte territoriale ha precisato (pagine 163 e 164) che, alla luce dei fatti per i quali pendono a carico del proposto i predetti procedimenti penali, il Rappoccio è da considerarsi quale soggetto “appartenente”, e non “partecipe”, alle consorterie mafiose sopra indicate, pur non organicamente inserito nel contesto criminale associativo, si rende artefice di un contributo finalizzato alla e/o al rafforzamento dell’associazione e/o al perseguimento degli interessi di questa.
Ne consegue, quindi, che in applicazione della suindicata pronunzia delle Sezioni Unite, nel caso in esame non vi è spazio alcuno – quanto ai presupposti applicativi delle misure di prevenzione personali, soprattutto con riferimento all’onere motivazionale del giudice – per l’operatività della presunzione semplice dell’attualità della pericolosità sociale; condizione di pericolosità debitamente documentata – sia dal Tribunale che dalla Corte di appello di Reggio Calabria – esclusivamente con riferimento al periodo di tempo che va dal 2005 al 2010.
Le doglianze difensive sono, quindi, fondate nel punto in cui censurano il provvedimento impugnato per la radicale mancanza di motivazione sul requisito dell’attualità della pericolosità (per effetto della sua esplicitazione solo attraverso il richiamo alla presunzione di stabilità del vincolo associativo, che, invece, è possibile desumere solo dall’analisi attinente alla specifica natura dell’accertata appartenenza).
Si sostiene correttamente la necessità che su tale aspetto il giudice debba fornire un adeguato sostegno in fatto, con l’espressa individuazione di quegli elementi da cui desumere la persistenza del vincolo che lega il proposto alla consorteria mafiosa di appartenenza, da cui discende appunto l’attuale pericolosità di quest’ultimo. La stessa esplicitazione dell’esame logico in ordine alla natura e al peso specifico della ritenuta personale contiguità del proposto alle predette consorterie mafiose – qualificata nei termini di “appartenenza” – impone al giudice, in vista della imprescindibile attualizzazione degli elementi di pericolosità, di analizzare quanto avvenuto tra i fatti posti a sostegno della sussistente pericolosità sociale del prevenuto e l’epoca della proposta. Onere motivazionale, quest’ultimo, a cui soccorre la presunzione semplice di attualità della pericolosità sociale esclusivamente nei casi di contiguità intesa come appartenenza.
Né, infine, dal complesso del provvedimento oggetto di impugnazione risulta neppure logicamente evincibile, a prescindere dal richiamo testuale svolto in punto di analisi di attualità, un’argomentazione congruente sul predetto dato dell’attualizzazione. Si impone dunque l’annullamento del decreto impugnato, con rinvio per nuovo esame sul punto alla Corte di appello di Reggio Calabria.