Operazione De Bello Gallico: tutti i dettagli, video, nomi e foto dei 4 fermati

Da sinistra Bombardieri, Grassi, Rattà

Da sinistra Bombardieri, Grassi, Rattà

Reggio Calabria. Alle prime ore della mattinata odierna, investigatori della Squadra Mobile della Questura di Reggio Calabria, con il supporto degli equipaggi del Reparto Prevenzione Crimine “Calabria”, su ordine della Direzione Distrettuale Antimafia della Procura della Repubblica di Reggio Calabria diretta dal procuratore Giovanni Bombardieri, hanno dato esecuzione al decreto di fermo di indiziato di delitto n. 1775 /18 R.G.N.R. D.D.A. emesso, in data 03.07.2018, nei confronti dei seguenti soggetti, ritenuti responsabili, a vario titolo, di omicidio e tentato omicidio pluriaggravati anche dal metodo mafioso, associazione mafiosa, detenzione e porto in luogo pubblico di armi da fuoco clandestine, danneggiamento aggravato mediante esplosione di colpi di arma da fuoco, furto aggravato e detenzione illegale di segni distintivi e oggetti in uso ai Corpi di Polizia:

  1. Paolo Chindemi, nato a Reggio Calabria il 04.01.1990, ivi residente;
  2. Mario Chindemi nato a Gallico il 31.07.1968 ivi residente;
  3. Santo Pellegrino, nato a Reggio Calabria il 20.04.1986, ivi residente;
  4. Ettore Corrado Bilardi, nato a Reggio Calabria il 08.05.1952, ivi residente.

Il provvedimento di fermo d’indiziato di delitto compendia le risultanze di una complessa ed articolata attività di indagine – coordinata dai sostituti procuratori della D.D.A. di Reggio Calabria Walter Ignazitto e Diego Capece Minutolo – condotta dalla Squadra Mobile di Reggio Calabria per far luce sul proditorio agguato che, lo scorso 16 marzo, mediante l’esplosione di alcuni colpi di arma da fuoco, portò alla barbara uccisione di Fortunata Fortugno (conosciuta come Donatella) e al grave ferimento di Demetrio Logiudice, in uno spazio adiacente al Torrente di Gallico di questo centro cittadino dove la coppia (entrambi sposati) si era appartata a bordo di un fuoristrada.

La ricostruzione del delitto
La sera del 16 marzo scorso, alle ore 22.35 circa, erano giunti al pronto soccorso dell’ospedale cittadino un uomo e una donna attinti da colpi d’arma da fuoco. La donna identificata in Fortunata Fortugno classe 1970, era giunta cadavere, l’uomo invece, identificato in Demetrio Logiudice, era ferito alla spalla.
Circa la dinamica dell’azione delittuosa, nel corso dei primi accertamenti svolti dalla Sezione omicidi diretta dal commissario capo Sandra Manfrè, della Squadra Mobile diretta dal primo dirigente Francesco Rattà – sotto le direttive della locale Procura della Repubblica – si è appreso che la coppia stava seduta sul sedile posteriore del fuoristrada dell’uomo, in una zona isolata prossima al torrente Gallico dell’omonimo quartiere di Reggio Calabria, quando è sopraggiunta, a velocità moderata, un’autovettura dalla quale è sceso un uomo che ha esploso dai due ai quattro colpi di arma da fuoco, una pistola revolver. Un colpo ha attinto mortalmente la donna alla testa e un altro ha ferito l’uomo alla spalla.
Ancorché gravemente ferito, Logiudice è riuscito ugualmente a mettere in moto l’autovettura e ad allontanarsi repentinamente dal luogo dell’agguato mentre il killer esplodeva contro il mezzo altri colpi di arma da fuoco. La corsa disperata verso l’ospedale non è riuscita tuttavia a salvare la vita alla donna che è giunta cadavere al pronto soccorso.

Il vero obiettivo del killer era Demetrio Logiudice
Le informazioni fornite nel corso delle audizioni dal Logiudice, sopravvissuto all’agguato ed unico testimone del delitto, non hanno consentito di individuare l’esecutore materiale dell’omicidio o i mandanti che lo avevano deliberato, né l’ambito criminale in cui esso era maturato che, fin da subito, in ragione delle modalità esecutive tipicamente mafiose e della personalità dell’uomo, vittima dell’agguato, con precedenti di polizia per associazione mafiosa, non poteva non essere riconducibile a contesti di criminalità organizzata.
Prendeva così gradualmente e fondatamente piede l’ipotesi che il vero obiettivo del killer fosse Logiudice.
Parimenti non risolutive erano risultate le informazioni assunte da altri soggetti che potenzialmente potevano essere in grado di riferire circostanze utili alla ricostruzione dei fatti, con particolare riferimento alla vita privata delle vittime.
Neanche i dati acquisiti dall’analisi dei tabulati del traffico telefonico generato dalle utenze cellulari in uso alla vittime erano utili per far luce sul complicato delitto.

Telecamere di video sorveglianza passate al setaccio dagli investigatori
In assenza di elementi tecnici e testimoniali conducenti all’immediata soluzione del caso, è stata posta in essere dagli investigatori della Sezione Reati contro la Persona della Squadra Mobile reggina, un’imponente attività di acquisizione delle immagini riprese da circa settanta impianti di video sorveglianza pubblica e privata presenti nei luoghi prossimi e meno prossimi a quello in cui era stato perpetrato l’efferato delitto.
L’accurata analisi dell’impressionante mole di immagini acquisite nei giorni immediatamente successivi al duplice delitto dagli impianti di video sorveglianza – per un totale di diverse centinaia di ore di filmati passati letteralmente sotto lente dagli inquirenti – e i riscontri ottenuti dai servizi di osservazione e controllo del territorio, consentivano agli investigatori della Sezione Omicidi della Squadra Mobile non solo di ricostruire le fasi dell’incontro delle vittime, ma anche di individuare in un’Audi A3 Sportback, in uso esclusivo a Paolo Chindemi, l’autovettura utilizzata dal killer la sera del 16 marzo per compiere prima il sopralluogo e subito dopo l’agguato in cui Fortunata Fortugno fu colpita a morte e Demetrio Logiudice fu gravemente ferito.
Più nello specifico, gli esiti della disamina certosina delle immagini estrapolate dai sistemi di videosorveglianza, hanno permesso di ricostruire – con riferimento ai movimenti dell’autovettura delle vittime e di quella del killer – la fase dell’appuntamento dei due amanti, la fase del sopralluogo, dell’agguato e della fuga dell’attentatore, nonché quella della corsa verso l’ospedale del soggetto ferito a bordo della macchina con la donna esanime.
Molteplici attività tecniche di intercettazione ambientale locale e veicolare disposte dalla D.D.A. di Reggio Calabria consentivano agli investigatori della Squadra Mobile di raccogliere ulteriori e pregnanti elementi che, in combinazione con quelli già acquisiti dagli impianti di video sorveglianza con riferimento al mezzo utilizzato dal killer per compiere l’agguato, andavano a comporre un quadro indiziario grave, preciso e concordante a carico di Paolo Chindemi, quale esecutore materiale dell’efferato delitto.

Un mese prima l’omicidio del padre Pasquale Chindemi. Le conversazioni intercettate
Paolo Chindemi è figlio di Pasquale Chindemi nato a Reggio Calabria il 13.02.1965, assassinato a Gallico, in un agguato, il 15 febbraio 2018. Nel corso di una conversazione ambientale captata in macchina, gli indagati – fra i quali Paolo Chindemi – facevano riferimento alla circostanza che la donna si stava voltando per guardare indietro quando è stata colpita, al fatto che la stessa sia morta per colpa dell’uomo con cui era in macchina, al quale aveva sostanzialmente fatto da scudo, salvandogli la vita.  In un’altra conversazione ambientale, Paolo Chindemi riferiva (confessava secondo gli inquirenti) di aver commesso un omicidio.

Un gruppo mafioso emergente voleva prendersi Gallico
L’inchiesta sul duplice fatto di sangue ha portato altresì alla luce l’esistenza di un emergente gruppo mafioso, aderente alla ‘ndrangheta, dedito alla consumazione di delitti contro la persona e il patrimonio composto da Paolo Chindemi, Mario Chindemi, Santo Pellegrino ed Ettore Corrado Bilardi detto “Pietro”.
Le conversazioni captate nel corso delle articolate attività tecniche hanno dimostrato che lo scopo fondamentale della consorteria facente capo ai Chindemi era quello di affermare la propria leadership criminale, conquistando spazi sempre più ampi nel territorio di Gallico, anche con l’uso delle armi, pianificando azioni volte ad assumere il controllo delle attività estorsive in danno di imprenditori e commercianti del luogo e ad eliminare esponenti delle fazioni contrapposte.
Le indagini hanno consentito di far luce anche su un atto intimidatorio posto in essere dal gruppo Chindemi, lo scorso 23 maggio, mediante l’esplosione di alcuni colpi di fucile contro le serrande di due garage di un condominio di cinque piani a Gallico. Obiettivo dell’intimidazione sarebbe un ex amministratore pubblico, oggi sotto processo, ma sulla sua identità gli inquirenti hanno mantenuto il riserbo.

L’arsenale sequestrato dalla Polizia: pettorine della Dia
Lo scorso 19 giugno, durante una perlustrazione notturna di alcuni luoghi isolati, utilizzati dai Chindemi come basi logistiche per le attività delittuose del gruppo, gli investigatori della Squadra Mobile hanno rinvenuto e sequestrato una pistola semiautomatica calibro 7.65 mm, marca “J.P. Sauer&SohnSuhl”, modello “1913”, con matricola, completa di caricatore e 10 cartucce marca “G.F.L.” dello stesso calibro; un revolver, con tamburo a 6 camere di cartuccia, calibro 38 SP, privo di marca e matricola, completa di 6 cartucce marca “G.F.L.” dello stesso calibro; quattro casacche (“c.d. fratini o pettorine”) in tessuto di colore blu, riportante su entrambi i lati la dicitura “DIA Direzione Investigativa Antimafia”; un giubbotto antiproiettile, di colore blu, privo di qualsiasi contrassegno identificativo; tre passamontagna tipo “mefisto” e una batteria 12V 7Ah marca “YAMADA” alla quale era applicato, con nastro adesivo isolante, un ricevitore marca “ATECNICA” mod. D Multi 2 CH.

Oltre alla detenzione e porto illegale in luogo pubblico delle armi sequestrate, sono stati contestati, a vario titolo, agli indagati gli stessi delitti anche in relazione ad altre pistole e fucili ai quali facevano riferimento durante le intercettazioni ambientali o che sono stati ripresi dalle telecamere puntate dai poliziotti, con l’autorizzazione della Procura della Repubblica, su alcuni siti adibiti a basi logistiche della consorteria.
Nel corso delle indagini, gli operatori della Squadra Mobile sono riusciti anche ad individuare e sequestrare alcuni motoveicoli che gli indagati – costituendo un gruppo di fuoco – avevano rubato per compiere azioni delittuose.

Il genero del boss storico della ‘ndrangheta reggina don Mico Tripodo: Ettore Corrado Bilardi
Milita nel gruppo Chindemi, un pregiudicato di elevato spessore criminale qual è Ettore Corrado Bilardi, già condannato a lunghi anni di reclusione per omicidio, genero del boss storico della ‘ndrangheta di Reggio Calabria don Mico (Domenico) Tripodo, assassinato nel 1977 all’interno del carcere di Poggioreale su mandato dei De Stefano, nonché cognato di Venanzio Tripodo, genero di Sebastiano Romeo, patriarca della storica famiglia di ‘ndrangheta di San Luca (RC) intesa “I Stacchi”.

Gli appartenenti al gruppo Chindemi – attraverso l’opera di qualificata mediazione del Bilardi – hanno intessuto relazioni con esponenti di affermate cosche della ‘ndrangheta operanti nei mandamenti tirrenico e ionico della provincia di Reggio Calabria.
Il sodalizio criminale esercita sul territorio di Gallico una concreta capacità di intimidazione riscontrabile dagli atti intimidatori posti in essere dagli associati Paolo Chindemi, Mario Chindemi, Ettore Corrado Bilardi e Santo Pellegrino, nella prospettiva di creare assoggettamento nelle vittime e nell’intera comunità sociale, facendo costante ricorso all’uso delle armi illegalmente detenute (alcune sequestrate nel corso delle indagini) e ad atti intimidatori anche cruenti, per accrescere il prestigio criminale dell’associazione che tende ad accreditarsi come
temibile ed effettivo centro di potere criminale da cui promana una diffusa intimidazione, che vuole mantenersi inalterata dopo l’uccisione di Pasquale Chindemi, padre di Paolo.

I reati contestati:
– Paolo Chindemi risponde del delitto di omicidio e tentato omicidio pluriaggravato anche dalle modalità mafiose (omicidio ai danni di Fortunata Fortugno e tentato omicidio ai danni di Demetrio Logiudice) e di detenzione e porto della pistola utilizzata per commetterlo;
– Paolo Chindemi, Mario Chindemi, Santo Pellegrino, Ettore Corrado Bilardi detto “Pietro”, sono accusati di associazione mafiosa; detenzione e porto in luogo pubblico di armi da fuoco (pistole, revolver e fucili, clandestini e comuni da sparo) aggravati dalla modalità mafiose; detenzione illegale di segni distintivi e oggetti in uso ai Corpi di Polizia (quattro casacche della DIA e un giubbotto antiproiettile) aggravati dalle modalità mafiose; furto di motocicli aggravato anche dalle modalità mafiose.

Sussistendo la gravità indiziaria in ordine ai reati contestati e il concreto pericolo che potessero darsi alla fuga, sulla base delle risultanze acquisite nel corso delle indagini, la Direzione Distrettuale Antimafia di Reggio Calabria ha disposto, in via d’urgenza, il fermo degli indagati che è stato eseguito, nel corso della notte, dagli investigatori della Squadra Mobile della Questura di Reggio Calabria.
Dopo le formalità di rito in Questura, i fermati sono stati condotti presso la Casa Circondariale di Reggio Calabria a disposizione dell’autorità giudiziaria.


https://youtu.be/oemnOBumRJg


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