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Home Reggio Calabria Cronaca

Caso Fallara, le motivazioni della Cassazione: «Giuseppe Scopelliti ideatore delle falsificazioni»

by newz
20 Luglio 2018
in Cronaca, Primo Piano
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Caso Fallara. Giuseppe Scopelliti in Appello condannato a 5 anni, sconto di pena anche ai tre revisori dei conti
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Roma. Era proprio Giuseppe Scopelliti «l’ideatore delle falsificazioni» delle delibere del Comune di Reggio Calabria, avvalendosi «dell’accondiscendenza» di Orsola Fallara, «supina esecutrice degli ordini del sindaco, in cambio di incarichi tanto remunerativi quanto illegittimi». Non si discostano di un millimetro dalla sentenza d’appello le motivazioni della Corte di Cassazione (quinta sezione penale, Maurizio Fumo presidente, Rossella Catena relatore), che spiega così la pena inflitta all’ex governatore della Calabria, condannato ad aprile scorso in via definitiva a quattro anni e sette mesi per gli ammanchi nei bilanci del Comune di Reggio Calabria dal 2008 al 2010, periodo in cui era sindaco della città. Accusato di abuso d’ufficio e falso in atto pubblico, l’ex sindaco ha ottenuto solo uno sconto di cinque mesi rispetto alla precedente condanna, per via della prescrizione del reato di abuso d’ufficio, non riuscendo ad evitare il carcere, previsto per le pene superiori a quattro anni.

L’inchiesta nacque dopo un esposto di due consiglieri di minoranza, Demetrio Naccari Carlizzi e Sebi Romeo, che portò ad accertamenti da parte del ministero della Finanze grazie ai quali vennero scoperti un disavanzo di circa 170 milioni di euro e l’autoliquidazione di alcune parcelle da parte dell’ex dirigente dell’ufficio finanza del Comune di Reggio, Orsola Fallara, poi morta nel 2010 dopo aver ingerito dell’acido muriatico.
«Ideatore e ispiratore». Secondo le 80 pagine scritte dai giudici del Palazzaccio, Giuseppe Scopelliti sarebbe stato «ideatore ed ispiratore dei delitti» commessi «in concorso con la Fallara», mantenendo una «condotta attiva», in sinergia costante con la dirigente: una circostanza dimostrata, spiegano i giudici, dal «concreto sostegno prestato alla Fallara, anche in vicende da cui palese emergeva l’illegalità della condotta» della donna. Una illegalità della quale l’allora sindaco era informato, essendo «a conoscenza delle alterazioni del bilancio da questa commesse», ma nonostante ciò «non è stato in grado di spiegare perché non avesse subito rimosso la Fallara».

I giudici parlano di «una condotta complessa e polimorfa», attraverso la quale l’ex sindaco ha consentito «la perpetrazione di pratiche illegittime» da parte della Fallara, omettendo di esercitare i poteri che gli spettavano quale sindaco, «pur essendo assolutamente a conoscenza delle condizioni di dissesto economico del Comune», addirittura «tutelando senza riserve né remore» e «ricompensando la Fallara attraverso illegittime prebende, per l’attività illegale dalla medesima svolta». Scopelliti avrebbe dunque volontariamente omesso di esercitare i suoi poteri di controllo, con lo scopo di realizzare un più complesso «disegno criminoso», ovvero «mantenere la sua linea politica ed il consenso a ciò funzionale». Un elemento che la precedente sentenza pone a chiusura nel tessuto motivazionale, spiega la Cassazione, ma ugualmente «illuminante».

Escluso il «ruolo di extraneus». Scopelliti non poteva essere considerato estraneo alle condotte della Fallara, avendo «consapevolmente» sottoscritto le delibere di incarico in favore della dirigente, «in spregio alle norme di legge ed in violazione delle regole e dei criteri adottati dall’ente per la difesa in giudizio». Atti che dimostrano «la volontà di procurare intenzionalmente» un ingiusto vantaggio patrimoniale «al destinatario dell’atto stesso».
Nel corso del dibattimento sono stati analizzati, in particolare, l’alterazione per importi macroscopici dei bilanci del Comune di Reggio Calabria, le proteste da parte degli imprenditori e dei creditori del Comune, i rilievi continui e specifici della Corte dei Conti sulla gestione dell’ente, le lamentele dei consiglieri di minoranza e dei dipendenti delle società partecipate e del Comune. Inoltre, significative sono state le testimonianze, tra le quali quella della dirigente del settore Avvocatura civica del Comune, «la quale aveva ricordato come i seri problemi di carattere economico e finanziario del Comune di Reggio Calabria fossero una realtà ben nota al sindaco Scopelliti». C’è poi la deposizione di Giuseppe Raffa, consigliere comunale dal 2002 al 2008, vice sindaco nel 2009 e, infine, sindaco facente funzioni dal 15 maggio 2010 fino all’aprile 2011, che ha evidenziato come egli stesso avesse messo il sindaco Scopelliti al corrente delle distrazioni delle somme destinate alle spese vincolate.

Le irregolarità nei bilanci. Ma la vicenda riguarda anche le «gravissime irregolarità» compiute nella redazione e gestione dei bilanci del Comune di Reggio Calabria, perpetrate dal 2006 al 2010. Tra queste «l’illegittima contabilizzazione», nel capitolo 19030 del bilancio – relativo alle partite di giro, nella voce “altri servizi per conto terzi” – «di spese che avrebbero dovuto essere correttamente imputate a differenti capitoli del bilancio; in tal modo – si legge in sentenza – si faceva falsamente apparire come ogni erogazione fosse giustificata da una corrispondente, legittima entrata, laddove, al contrario, venivano indicati accertamenti per crediti inesistenti, con l’effetto di rappresentare il bilancio in pareggio e, nel contempo, effettuando pagamenti e spese privi di copertura». Nei quattro anni in questione ci sarebbe stato un anomalo incremento dei “servizi per conto terzi”, in precedenza pari al 5-10 per cento del volume complessivo, ma lievitato in quegli anni al 40 per cento del totale. Le spese attribuite in maniera «anomala» nel capitolo di spesa relativo tali servizi, non passando nei capitoli di bilancio di rispettiva competenza, «non venivano autorizzate e restavano prive di effettiva copertura finanziaria». Modus operandi coronato da un altro «artificio contabile», ovvero far corrispondere poste attive fittizie ad effettivi impegni di spesa. «Poste prive di titolo giuridico – affermano i giudici – ed indicate numericamente solo per far risultare il bilancio in pareggio, iscrivendo un accertamento rappresentativo di crediti verso terzi in realtà inesistenti». Vicende che lo stesso Scopelliti ha ammesso nel corso del proprio esame dibattimentale. Tali irregolarità e falsificazioni, inoltre, erano state rilevate già dal 2006 la Corte dei Conti, che aveva chiesto chiarimenti, «il tutto sistematicamente ignorato dal sindaco Scopelliti».

La dirigente. Orsola Fallara, per anni, ha beneficiato di incarichi pagati profumatamente, a lei direttamente conferiti dal Scopelliti, prescindendo dal controllo dell’Ufficio legale e dell’Ufficio di Gabinetto, a differenza di quanto avveniva per gli altri incarichi. E anche dopo aver lasciato la fascia da sindaco, Scopelliti ha «continuato a dimostrare propensione alla distrazione di somme di denaro per scopi difformi da quelli per cui erano stanziate, ad esempio quando egli aveva rappresentato, nel corso di una riunione, la possibilità di estinguere i debiti del Comune mediante somme a destinazione vincolata per il risanamento dei torrenti».
Fallara veniva remunerata in maniera autonoma per specifici incarichi, al di fuori dell’attività lavorativa, nonostante ciò non fosse possibile per legge. Come nella vicenda dell’organizzazione dell’Ufficio legale e dallo staff del sindaco Scopelliti, dal 2005/2006, con professionisti esterni individuati con una procedura di evidenza pubblica, ma che non avevano accesso «del tutto inspiegabilmente», al contenzioso tributario, «gestito dalla Fallara, alla quale, dal maggio 2008, erano stati conferiti dal sindaco Scopelliti incarichi di difesa dell’ente come se si trattasse di un professionista esterno». Ciò violando sia il principio di onnicomprensività della retribuzione sia quello dell’obbligo di esclusività. In cambio di questi indebiti emolumenti, la Fallara aveva, per anni, «piegato le finanze del Comune verso gli obiettivi del sindaco, in spregio di ogni regola o protocollo, ed anche in ciò appoggiata» da Scopelliti. E che questi fosse assolutamente consapevole della totale anomalia della situazione «appare evidente – secondo la sentenza impugnata – dalla inattendibilità della tesi difensiva, accuratamente analizzata, anche alla luce del fatto che le ordinanze di incarico alla Fallara venissero sottoscritte direttamente dal sindaco, senza passare né dall’Ufficio legale né dall’Ufficio di gabinetto».

Per i giudici, dunque, sarebbe bastata «una minima cura ed attenzione nella gestione della res publica» per indurre l’ex sindaco ad assumere decisioni diverse da quelle adottate, «con conseguente risparmio per le finanze pubbliche». Comportamenti, i suoi, che «costituiscono chiari sintomi di grave noncuranza e di palese deviazione dai doveri della funzione pubblica esercitata», talmente gravi da non meritare le circostanze attenuanti.

Simona Musco

Tags: caso fallaracondannacorte di cassazioneDemetrio Naccari Carlizzigiuseppe raffaGiuseppe ScopellitiMaurizio FumomotivazioniOrsola FallaraRossella CatenaSebi Romeo
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