Processo Ricatto: entro fine anno la sentenza di primo grado
Reggio Calabria. Pene per complessivi 80 anni e mezzo sono state invocate dalla pubblica accusa per la violenza di gruppo ai danni di una tredicenne di Melito Porto Salvo. Il pubblico ministero Francesco Ponzetta ha avanzato le richieste della Procura al termine della requisitoria nel processo Ricatto, celebrato in primo grado e a porte chiuse dinnanzi al collegio presieduto da Silvia Capone, scaturito dall’omonima operazione dei Carabinieri del Comando provinciale, che nel settembre 2016 svelarono una squallida storia di stupro di gruppo ai danni della ragazzina, all’epoca dei fatti ancora tredicenne. La sentenza è attesa entro fine anno.
Sette degli otto imputati furono arrestati e condotti in carcere con l’accusa a vario titolo di violenza sessuale di gruppo aggravata, atti sessuali con minorenne, detenzione di materiale pedopornografico, violenza privata, atti persecutori, lesioni personali aggravate e di favoreggiamento personale (reato contestato all’ottavo indagato raggiunto da obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria). Un nono indagato, minorenne all’epoca dei fatti, fu raggiunto dalla misura cautelare della custodia cautelare in una comunità.
Le pene richieste dalla pubblica accusa:
Davide Schimizzi, 16 anni e 6 mesi; Giovanni Iamonte, 15 anni; Michele Nucera, 12 anni; Antonio Verduci, 10 anni e 10 mesi; Pasquale Principato, 8 anni; Lorenzo Tripodi, 8 anni; Daniele Benedetto, 7 anni; Domenico Mario Pitasi, 3 anni e 2 mesi (per lui l’accusa è solo di favoreggiamento personale).
La ricostruzione emersa dalle indagini
L’incubo per la ragazzina aveva preso forma nell’estate del 2013, quando nella ricostruzione delle indagini aveva intrecciato una relazione sentimentale con Schimizzi, che lei riteneva il suo fidanzatino, ma che secondo l’accusa presto l’aveva sopraffatta, costretta ad avere rapporti sessuali dapprima con colui che riteneva di amare e successivamente, in un crescendo degli orrori, con un numero sempre più ampio di suoi amici. Tra la fine del 2013 e gli inizi del 2015, gli arrestati avrebbero più volte abusato sessualmente, anche in gruppo, della giovane ragazza che, nei primi episodi patiti, non aveva ancora compiuto i 14 anni.
La giovane vittima sarebbe stata minacciata sia della divulgazione di alcune sue foto intime che di rivelare le “proprie nefandezze” ai suoi genitori, nonché, implicitamente, dal fatto che Giovanni Iamonte è figlio di Remingo ritenuto capo dell’omonima cosca di ‘ndrangheta, operante a Melito Porto Salvo.
Il gruppo si sarebbe, inoltre, reso protagonista di una vera e propria spedizione punitiva, al fine di allontanarlo e “riappropriarsi” della ragazza, con un violento pestaggio nei confronti di un giovane, con il quale la vittima aveva intrapreso una normale relazione sentimentale.