Reggio Calabria. “Quante strade deve percorrere un uomo prima di essere chiamato uomo? La risposta sta soffiando nel vento”. Il senso dell’agire dell’uomo, del suo impegno e della sua miseria, è racchiuso nell’inciso di questa canzone anni ’60 del menestrello di Duluth. È proprio “Blowin’ in the wind”, manifesto generazionale del premio Nobel per la Letteratura Bob Dylan, il titolo scelto per lo spettacolo-evento andato in scena nella serata di venerdì al Cineteatro metropolitano di Reggio Calabria ed organizzato, in occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario, dalla Corte d’Appello, insieme alle associazioni Rete Civitas e L’Amaca. Il racconto dei diritti umani tra musica e storytelling (scritto da Antonio Calabrò e interpretato dagli attori de L’Amaca) ha portato il pubblico in un viaggio fino ai giorni nostri tra le pieghe della storia, rievocando gli uomini e le donne che sono stati grandi nel pensiero e quelli che lo sono stati nell’azione come nel pensiero. “Ricordare questi personaggi mi emoziona particolarmente perché fanno parte della mia infanzia, della mia adolescenza e quindi della mia formazione culturale”, ha affermato sul palco del Cineteatro il presidente della Corte d’appello di Reggio Luciano Gerardis. “Questo momento artistico rappresenta un modo diverso di raccontare i diritti umani”. Discorsi, libri e trattati di epoche diverse che hanno lasciato una impronta indelebile nella lotta per i diritti civili sono stati declamati in scena, legati dalla narrazione di Calabrò e scanditi dalla musica di Sebastian Trunfio (percussioni) Walter Brancatisano (voce e chitarra), Roberto Modafferi (violino), Alessandra Vadalà ed Elvira Costarella (voce). “Con la scrittura l’umanità è uscita dalle tenebre e con il codice delle leggi è nata la civiltà”, spiega Calabrò, invitando di volta in volta sul palco i personaggi storici. Si passa così dai valori del mondo greco antico decantati nel “Discorso agli Ateniesi” di Pericle (Dario Zema) all’Umanesimo e all’età moderna delle grandi scoperte, quando Bartolomé Las Casas, un vescovo cattolico spagnolo, in difesa dei diritti degli oppressi nativi americani, diede valore al principio per cui tutti gli uomini sono uguali. La narrazione si snoda, arrivando all’illuminismo, quando la nuova concezione sulla ragione fece emergere con Cesare Beccaria (Damiano Sofo) la stigmatizzazione della pena di morte in “Dei delitti e delle pene” e l’attivismo femminista nella “Dichiarazione dei diritti della donna e della cittadina” di Olympe de Gouges (Anna Rita Fadda), secondo cui “nessuno deve essere perseguitato per le sue opinioni, anche fondamentali: la donna che ha il diritto di salire sul patibolo, deve avere ugualmente il diritto di salire sulla Tribuna”. Dalla Rivoluzione francese al movimento inglese delle suffraggette impegnate per l’uguaglianza e il diritto elettorale delle donne, in un cortocircuito temporale dove Nancy Astor (Rosanna Palumbo), prima donna eletta a sedere attivamente in un seggio parlamentare, recita la poesia “Donne mie” di Dacia Maraini. Dall’Europa al Nuovo Mondo, con la Dichiarazione di indipendenza (“Tutti gli uomini sono creati uguali”), l’abolizione della schiavitù e Abramo Lincoln (Federico Pugliese) e la sua “idea di un governo del popolo, dal popolo, per il popolo” pronunciata nel discorso di Gettysburg. Poi, il buio, il bagno di sangue delle due guerre mondiali, il fascismo e il nazismo, la vergogna indicibile dei campi di concentramento e l’occupazione tedesca alla quale Piero Calamandrei dedicò versi sprezzanti in difesa della libertà: “(…) ai nostri posti ci ritroverai, morti e vivi collo stesso impegno, popolo serrato intorno al monumento che si chiama ora e sempre Resistenza”. La nonviolenza di Gandhi e la forza trainante di Eleonore Roosvelt (Daniela De Blasio) a sostegno della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani (“Noi crediamo che il destino dei diritti umani è nelle mani di tutti i cittadini in tutte le nostre comunità”). E, ancora, i Kennedy, la lungimiranza di Bob e il carisma di JF (Nanni Barbaro) che nel suo discorso di insediamento affermò: “Noi pagheremo qualsiasi prezzo, sopporteremo qualsiasi peso, (…) per assicurare la sopravvivenza e il successo della libertà”. The Times are a-changin, in altre parole. La marcia su Washington del ’63 e le parole di Martin Luther King (Nino Cervettini) sono ancora vive: “I have a dream. Io ho un sogno, che i miei quattro figli piccoli vivranno un giorno in una nazione nella quale non saranno giudicati per il colore della loro pelle, ma per il loro carattere”. Come è vivo l’esempio e l’abnegazione nella lotta alla mafia dei giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino e di tutti gli uomini e le donne vittime delle mafie, perché – evidenzia Calabrò – “vivere in una terra senza organizzazioni criminali è un diritto civile”. Tutti essere umani che – pagando spesso con la vita – hanno compiuto lo sforzo di immaginare. Immaginare un mondo migliore, come John Lennon che insieme a Yoko Ono fece una battaglia comunicativa per il pacifismo e la pace, poi tradotta nella celebre Imagine (“Puoi dire che sono un sognatore, ma non sono il solo”). “Abbiamo il dovere di riconoscere la barbarie e – afferma Calabrò sulle note di Imagine – di denunciarla laddove si fa viva. La lotta per i diritti umani è una lotta costante che non conosce fine” e che ha bisogno di idee e tensioni morali che restano. Perché, come disse Martin Luther King, l’arco della morale universale è lungo, ma tende verso la giustizia.