Reggio Calabria. Alle prime ore della mattinata odierna, a conclusione di complesse ed articolate indagini coordinate dalla Direzione Distrettuale Antimafia della Procura della Repubblica di Reggio Calabria, diretta dal procuratore Giovanni Bombardieri, gli investigatori della Squadra Mobile reggina, diretta dal primo dirigente Francesco Rattà, hanno dato esecuzione ad un’ordinanza di custodia cautelare in carcere, emessa dal G.I.P. presso il locale Tribunale, nei confronti dei seguenti sette soggetti, indagati per sequestro di persona e tentata estorsione in concorso, aggravati dal metodo mafioso:
I NOMI DEI 7 ARRESTATI:
1. BELFIORE Francesco, nato a Reggio Calabria il 31.07.1973;
2. POLIMENI Massimiliano, nato a Reggio Calabria il 6.10.1993;
3. SCARAMUZZINO Carmelo Bruno, nato il 9.03.2000 a Melito di Porto Salvo (RC);
4. SURACE Giuseppe, nato a Reggio Calabria il 24.10.1981;
5. SURACE Pietro, nato a Reggio Calabria il 16.08.1955;
6. SURACE Bruno, nato a Reggio Calabria il 6.08.1958;
7. SURACE Domenico Natale, nato a Reggio Calabria il 19.11.1980.
Sequestrato la notte del 30 dicembre
L’attività investigativa condotta dalla Squadra Mobile – sotto le direttive dei sostituti procuratori della Repubblica Roberto Placido Di Palma e Angelo Gaglioti – ha consentito di fare piena luce su una grave vicenda estorsiva, aggravata dal sequestro di persona, avvenuta a Reggio Calabria nella notte tra il 30 ed il 31 dicembre scorso.
Invero, alle ore 20.00 circa del 30 dicembre 2018, la titolare di una pizzeria ha comunicato alla Sala Operativa della Questura che il compagno era stato poco prima costretto da alcuni individui a salire su un’autovettura, a bordo della quale era stato portato via per ignota destinazione.
Scattato l’allarme, sono state fatte convergere immediatamente sul luogo del delitto le Volanti ed alcuni equipaggi della Squadra Mobile che hanno avviato immediatamente le indagini per sequestro di persona, sotto il coordinamento della Procura della Repubblica.
Da un debito di 50 euro per lo stipendio ne pretendono 500
Le conseguenti attività investigative – effettuate mediante l’audizione di testimoni e con l’ausilio di intercettazioni telefoniche ed ambientali, analisi dei tabulati dei traffici telefonici delle utenze di interesse investigativo e delle immagini estrapolate dai sistemi di video sorveglianza presenti nelle aree circostanti al luogo del delitto – hanno consentito di ricostruire l’esatta dinamica del sequestro di persona e di comprendere come esso fosse finalizzato al compimento di un diverso ed autonomo delitto di estorsione consistente nella richiesta di una somma di denaro (500 euro) quale parte residua pretesa, ma non dovuta, da uno dei sette soggetti (Giuseppe Surace) che aveva lavorato come pizzaiolo alle dipendenze della donna che aveva denunciato il sequestro di persona del convivente.
Giunto alla pizzeria assieme alla compagna e ai figli minori della donna la sera dello scorso dicembre, l’uomo veniva affrontato da Francesco Belfiore, Massimiliano Polimeni e Bruno Scaramuzzino che, afferrandolo per le braccia, lo costringevano a salire sull’autovettura del Belfiore con la quale si dileguavano.
Durante il tragitto, la vittima – a cui sarebbero state rivolte minacce di morte dal Belfiore – è stata condotta a Pellaro, contro la propria volontà, presso l’abitazione di Giuseppe Surace, Pietro, Bruno e Domenico Natale [Giuseppe Surace e Domenico Natale Surace sono fratelli, Pietro è il padre degli stessi e Bruno lo zio].
Presso l’abitazione dei Surace, al soggetto sequestrato sarebbe stata avanzata una richiesta estorsiva di 500 euro per dirimere una controversia legata alla posizione lavorativa di Giuseppe Surace. Quest’ultimo aveva lavorato presso la pizzeria della compagna della vittima per circa un mese, tra agosto e settembre del 2018. L’accordo tra le parti prevedeva, come corrispettivo del lavoro svolto, il pagamento di 800 euro. Il datore di lavoro gli aveva già corrisposto 750 euro, sicché la somma residua dovuta era di 50 euro e non 500 che costituiva, invece, una richiesta di natura chiaramente estorsiva.
Dal momento che l’uomo vittima di sequestro di persona e della pretesa estorsiva aveva dimenticato il portafogli in macchina, quando era stato prelevato con la forza, i sequestratori ed in particolare Belfiore, Polimeni e – per un tratto anche – Scaramuzzino, lo avrebbero ricondotto presso la pizzeria per prendere il portafogli e prelevare i 500 euro da consegnare ai Surace presso la loro abitazione. L’azione estorsiva non sarebbe stata tuttavia portata a compimento per cause indipendenti dalla volontà degli estorsori ed in particolare perché presso l’esercizio commerciale erano nel frattempo confluiti gli equipaggi delle Volanti e della Squadra Mobile allertati dalla compagna del soggetto sequestrato.
L’aggravante della modalità mafiosa
Agli indagati è stata contestata l’aggravante delle modalità mafiose, consistite nell’avere (Francesco Belfiore) rivolto alla vittima la minaccia di sparargli in testa e nell’essersi qualificato come “capo di San Cristoforo”, da intendersi quale referente delle cosche di ‘ndrangheta che esercitano l’influenza su quella parte della città di Reggio Calabria, in ragione della sua parentela con un soggetto (che è suo cugino) gravato da precedenti di polizia per associazione di stampo mafioso, in quanto ritenuto legato ad una potente cosca di ‘ndrangheta operante in questo centro (cosca Libri).
In ordine al delitto di sequestro di persona è stata contestata l’aggravante di aver agito per realizzare il secondo delitto di tentata estorsione e in ordine a quest’ultimo reato è stata contestata l’aggravante di aver commesso il fatto in più persone riunite ed in numero superiore a cinque, ponendo la persona offesa in stato di incapacità di agire ed agendo in modo tale da ostacolare la privata difesa.