Siderno (Reggio Calabria). L’ex sindaco di Siderno Riccardo Ritorto è stato assolto dalla Corte d’Appello di Reggio Calabria dall’accusa di corruzione elettorale. La posizione di Ritorto, indagato nell’inchiesta “Falsa Politica”, era stata stralciata e fatta confluire nell’inchiesta “Morsa sugli appalti”, nell’ambito della quale, ad aprile 2017, l’ex sindaco era stato condannato a tre anni. Secondo l’accusa, per ottenere a proprio vantaggio il sostegno elettorale di Commisso e per garantirsi il suo appoggio, avrebbe persuaso il rivale politico Cosimo Cherubino a non candidarsi e a non ostacolarlo nella contesa elettorale, promettendo allo stesso, tramite Carmelo Muià, ucciso lo scorso anno a Siderno, «utilità di vario tipo, consistenti nella disponibilità, una volta eletto, a soddisfare gli interessi dell’associazione mafiosa (“oh Mino vedi che io sono a disposizione e capiscimi tutto …(ine.)… per voi, per il Mastro”… vedi che io sono disponibile fino alla morte, però Mino vedi che a te lo dico, vedi che il Co’ deve ragionare … il Cherubino deve ragionare, che io vado per sindaco e vinco lo stesso, se le cose vanno giuste, però lui si brucia se fa quelle parole”)». Con l’aggravante di aver commesso il fatto con la finalità di agevolare l’attività dell’associazione a delinquere denominata cosca Commisso.
Per la Corte d’Appello reggina, che oggi ha dato lettura del dispositivo della sentenza, il fatto non sussiste. Così come per Antonio Cordì, anch’egli assolto in Appello, che per l’accusa avrebbe fatto da intermediario per Commisso e Domenico Prochilo con alcuni imprenditori locresi, impegnati nell’appalto per i lavori di messa in sicurezza della scuola media statale “Corrado Alvaro” di Siderno. Secondo la Dda, compito di Cordì – in primo grado condannato a 4 anni – era quello di «contattare tali imprenditori affinché versassero ai Commisso – famiglia egemone del luogo ove i lavori dovevano essere eseguiti – somme a titolo estorsivo».
Confermata, invece, nel resto la sentenza di primo grado per gli altri imputati che avevano scelto il rito abbreviato: 15 anni per Mario Ursini, accusato di associazione mafiosa, 12 per Tommaso Rocco Caracciolo, sei per Nicola Nesci. I tre sono stati condannati anche al pagamento delle spese processuali nei confronti della Regione Calabria, costituita parte civile, e nei confronti della Città Metropolitana di Reggio Calabria, nonché dei Comuni di Gioiosa Jonica e Antonimina.
L’inchiesta “Morsa sugli appalti”, che a settembre del 2014 ha portato a ventisette arresti, ha squarciato il velo sulla regola degli appalti nella Locride, dove per lavorare è necessario versare una tangente compresa tra il 3 e il 5 per cento alle ‘ndrine. «In tutti gli appalti monitorati – aveva spiegato nel corso della conferenza stampa il procuratore di Reggio Calabria, Federico Cafiero De Raho – c’è sempre la pressione estorsiva della ‘ndrangheta. Ed è una regola che nell’alto jonio reggino è priva di eccezioni: per ogni appalto, l’affidatario deve accordarsi con la cosca e pagare la percentuale prevista». Dall’inchiesta sono emersi i contorni di un codice d’onore della ‘ndrangheta che non ammette deroghe: il capo locale considera il paese casa propria, controlla tutto e per il potere è disposto a qualsiasi rischio.
L’inchiesta “Falsa Politica”, invece, aveva fatto luce sui movimenti politici relativi alla formazione delle liste in vista delle amministrative del 2011 a Siderno, quando, secondo l’accusa, la cosca Commisso avrebbe candidato ed ottenuto la vittoria di Ritorto, considerato dalla Dda reggina «figura fondamentale – si legge nell’ordinanza firmata dal Gip Silvana Grasso – nelle strategie politiche del Mastro, Giuseppe Commisso. È lui che viene scelto per sostituire quell’Alessandro Figliomeni, reo di aver privilegiato i propri interessi personali piuttosto che quelli della cosca». Un concetto che gli inquirenti spiegano attraverso le parole dello stesso boss Commisso: «Ritorto lo vogliono mettere, praticamente quella persona che entra come sindaco se non si comporta bene i busca […] qui si deve comportare giusto» e non come, appunto, Figliomeni, che «si crede che è il padrone di tutto». L’intervento della cosca nelle elezioni, spiegava il Gip, è chiaro: favorire la struttura ‘ndranghetista territoriale del locale di Siderno, che intende proiettare anche sul piano politico la propria egemonia, senza essere, però, visibile all’esterno. Una tesi che, però, non ha superato il vaglio della Corte d’Appello.
Simona Musco