Immaginate di trovarvi in Molise quest’estate, per un breve soggiorno a gustare le ottime mozzarelle di Venafro oppure a fare il bagno nella zona di Termoli ed improvvisamente avere bisogno di un medico. Potreste trovare di fronte a voi un medico militare. O a Firenze essere visitati da un neolaureato senza alcun percorso di specializzazione. Oppure da un ottuagenario luminare richiamato in corsia. Non è detto, ma è molto probabile che tutto ciò possa verificarsi in tempi brevi.
Da una prima superficiale interpretazione si potrebbe pensare che vi sia una carenza cronica di personale medico in Italia. In realtà dati alla mano, il nostro Paese è ad oggi (dati 2016) in linea con gli altri sistemi europei: il numero di medici generalisti per 100mila abitanti è inferiore a quello registrato in altri grandi paesi europei come Germania e Francia, ma rimane sensibilmente superiore a quello osservato nel Regno Unito ed in Spagna ad esempio. Di converso per quanto riguarda i medici specialisti l’Italia risulta tra i paesi a più alta densità di Europa, insieme alla Germania.
Analizzando ad ampio spettro la situazione del nostro personale sanitario è necessario tenere conto di più fattori: ricambio generazionale, basso numero di borse di specializzazioni disponibili, distribuzione sul territorio, rischi professionali.
Nel 2018 la Federazione medici di medicina generale (Fimmg) lanciò un allarme: per effetto dei pensionamenti, nei prossimi 5 anni, verranno a mancare circa 45000 medici, tra medici di famiglia e medici del SSN. In realtà l’Italia non è carente di personale o di competenze in ambito sanitario, anzi ci permettiamo il lusso di esportare i nostri medici in paesi come la Gran Bretagna, ma anche in questo settore si paga una pessima programmazione sotto il profilo di politica del lavoro, previdenziale e della gestione delle risorse. Se è vero che va rimodulato il numero chiuso nelle università è inconfutabile che bisogna anche aggiornare i salari pubblici.
Nella distribuzione del personale sul territorio vi sono delle evidenti carenze di programmazione pertanto troviamo regioni come Veneto, Lombardia e Piemonte dove la media è di 350 medici per 100 mila individui, mentre Lazio Sicilia e Sardegna hanno una media di 450. In Lombardia è recente la notizia di medici stranieri reclutati per le unità di Pronto Intervento.
Proprio le unità di pronto soccorso e medicina d’urgenza sono quelle più disagiate e quelle meno ambite. A Parma nel 2018 andò a vuoto il bando di concorso ed in Veneto l’ultimo bando per 81 posti per i reparti di medicina d’urgenza ha trovato solo 3 candidati assunti. E qui si apre un discorso ancora più complesso, quello dei rischi professionali dovuti ad errori sanitari o alle possibili aggressioni in servizio
Da un’analisi della Commissione parlamentare d’inchiesta sugli errori sanitari, sono stati stimati in 10 miliardi di euro i costi annuali della medicina negativa o difensiva, pari allo 0,75% del Pil. Esami a volte inutili, che ingolfano le liste di attesa e che creano situazioni nelle quali si consiglia di non operare i pazienti ad alto rischio o di praticare se il caso è grave soluzioni alternative all’operazione, per paura di una eventuale denuncia. Antonio Magi, presidente di Omceo Roma riferiva in un intervista al “Corriere”: «In 20 anni di violenze agli operatori sanitari il clima in cui si consumano è cambiato. C’è un’ostilità crescente alimentata anche da organizzazioni che offrono al cittadino assistenza legale in cause contro i medici e richiesta di risarcimento».
Altro capitolo è quello che vede le violenze e le aggressioni in corsia, un tema sempre più sentito anche per l’incremento della casistica. I medici richiedono con forza il ripristino dei posti di polizia all’interno delle strutture sanitarie. Stando ai dati Inail, i luoghi più colpiti dalla violenza sono i pronto soccorso (456 aggressioni). Senza dimenticare lo stupro avvenuta alla dottoressa di guardia medica a Trecastagni (CT), ultimo di una lunga serie.
In questo clima si assiste sempre di più alla “fuga” dei camici bianchi, ed è quanto di più anti economico il nostro paese possa fare. In primis perché la nostra scuola di medicina è riconosciuta tra le migliori a livello mondiale, in secondo luogo perché la formazione completa di un camice bianco nel suo percorso formativo completo (11 anni) ci costa circa 150.000 euro. Nell’ultimo sondaggio il 71% dei medici under 40 intervistati sta valutando o ha già deciso che per la propria specializzazione andrà all’estero dove trova una situazione più favorevole sotto il profilo economico.
Ed a rimetterci sarà sempre il cittadino.
Salvatore De Blasio