Reggio Calabria. Nuova conferma da parte della Corte di Cassazione del sequestro preventivo disposto a dicembre 2018 dal Tribunale di Reggio Calabria nei confronti di P.T. e I.I., ex manager di un noto bookmaker. È quanto si legge nei provvedimenti della Corte pubblicati oggi, due settimane dopo quello che aveva confermato la confisca di 39 milioni da parte del Tribunale di Catania, sempre nell’ambito dell’operazione “Galassia”.
Il ricorso dei due ex manager stavolta è stato presentato contro «l’applicazione della misura reale del sequestro preventivo – fino alla concorrenza di oltre 60 milioni di euro – dei conti correnti, dei prodotti finanziari e di altre utilità» detenute dai due indagati. P.T. e I.I. erano stati coinvolti nell’operazione contro le infiltrazioni mafiose nelle scommesse online: le indagini, riporta Agipronews, condotte dalle forze dell’ordine, otto mesi fa, avevano portato a decine di arresti e al sequestro di beni per circa 70 milioni di euro, in Italia e all’estero, oltre a un corposo numero di agenzie di scommesse e internet point. L’accusa mossa ai due ex dirigenti è di aver fatto parte «con ruolo direttivo di un’associazione per delinquere costituita da più di dieci persone allo scopo di commettere, attraverso la gestione di un noto bookmaker, una pluralità di delitti in materia di esercizio abusivo di attività di gioco e scommesse, di dichiarazione infedele dei redditi e dell’iva, di truffa aggravata ai danni dello Stato, di riciclaggio, auto riciclaggio e reimpiego di proventi di delitto».
I ricorsi sono stati dichiarati inammissibili dalla Cassazione: le indagini effettuate fino a oggi, si legge, «dimostrano inequivocabilmente» che P.T. e I.I. erano due «dei principali promotori e dirigenti della complessa organizzazione dedita alla raccolta illegale di puntate su giochi e scommesse»; un’attività realizzata «attraverso canali e strutture facenti capo al sistema concessorio garantita dai punti commerciali diffusi sul territorio e, in specie, nella provincia di Reggio Calabria». In tale contesto entrambi gli indagati avevano «una posizione di vertice» e devono essere considerati «pienamente responsabili» dei reati commessi.