Bruno Falcomatà, il medico del pronto soccorso del Grande ospedale metropolitano finito agli arresti domiciliari nell’ambito dell’operazione Assicurato, risponde al gip e respinge le accuse contestate dalla Procura della Repubblica. Il professionista, assistito dall’avvocato Alba Nucera, stamattina ha reso interrogatorio di garanzia, dinnanzi al gip Stefania Rachele. Il pubblico ministero non ha presenziato. Il medico è coinvolto nell’inchiesta condotta dalla Guardia di Finanza di Reggio Calabria su alcune truffe assicurative.
La versione fornita al gip dal medico Bruno Falcomatà
In circa tre quarti d’ora il dottore Bruno Falcomatà ha risposto a tutte le domande del gip sostenendo la propria estraneità ai fatti contestati e fornendo dei chiarimenti sulla sua posizione. In particolare in relazione al capo a dell’accusa il medico ha spiegato di avere redatto il certificato del pronto soccorso avendo letto un referto cartaceo che gli è stato consegnato a mano poiché gli era stato riferito un malfunzionamento del sistema informatico radiologico Ris-Pacs. Anche in relazione a capo f che gli viene contestato, il dirigente medico ha spiegato di essersi limitato a un esame obiettivo senza predisporre esame radiologico.
Truffe assicurative: ecco come funzionano e come sono state scoperte
Quatto in tutto agli arresti domiciliari, i due presunti ideatori Francesco Cilione, e Vincenzo Benedetto (difeso dagli avvocati Giovanni Tavilla e Valeria Iaria, si è avvalso della facoltà di non rispondere) e poi l’infermiere Nicola Gullì (difeso dagli avvocati Francesco Calabrese e Giuseppe Alvaro, e per delega dall’avvocato Alba Nucera, si è avvalso della facoltà di non rispondere) e il medico del Gom.
Le accuse a vario titolo e in concorso tra loro dei reati di falsità in atti pubblici, accesso abusivo a sistemi informatici, violenza privata, costrizione alla commissione di reati, fraudolento danneggiamento di beni assicurati e mutilazione fraudolenta della propria persona. Le indagini della Guardia di Finanza sono state coordinate dal Procuratore Aggiunto della Procura della Repubblica di Reggio Calabria, Gerardo Dominijanni, dirette dal Sostituto Procuratore della Repubblica, Giovanni Gullo e condotte dalla Compagnia della Guardia di Finanza di Reggio Calabria.
L’inchiesta è nata casualmente, quando durante una perquisizione le fiamme gialle hanno rinvenuto un estratto conto di una carta Postepay Evolution nella disponibilità di un soggetto, il quale, ha tentato invano di distruggere il documento insospettendo i militari. Così la Finanza ha scoperto che un giovane sarebbe stato indotto da due degli indagati a fornire propri documenti per l’accensione di una polizza assicurativa contro gli infortuni a suo nome.
L’indagine ha accertato la produzione di una serie di documenti e certificazioni sanitarie false, utili per l’apertura del sinistro, concluso con l’erogazione di oltre 54mila euro. Tale somma di denaro, secondo l’accusa, pur essendo destinata al soggetto indotto ad agire, è finita nelle tasche degli artefici della truffa assicurativa.
Indagati 2 vigili urbani della Polizia municipale di Reggio Calabria
Tra gli indagati a piede libero figurano anche due vigili urbani in servizio presso la Polizia municipale di Reggio Calabria. Si tratta di una seconda truffa scoperta dalla Guardia di Finanza, scoperta in seguito alla denuncia di un ignaro cittadino, che si è visto citato dinanzi al giudice di pace da parte di uno degli indagati per una richiesta di risarcimento di danni non patrimoniali connessa a un presunto incidente stradale.
Indagato a piede libero consigliere comunale di Reggio Calabria, il neurochirurgo Giuseppe D’Ascoli
Oltre al medico del pronto soccorso figura tra gli indagati anche un altro medico del Grande ospedale metropolitano, si tratta del dottore Giuseppe D’Ascoli, consigliere comunale di Reggio Calabria in seno a Forza Italia (coinvolto nell’indagine solo nella qualità di medico, e non anche di amministratore locale). Nel suo caso il gip non ha concesso gli arresti domiciliari chiesti dalla Procura. D’Ascoli, sentito inizialmente dalla Guardia di Finanza come persona informata sui fatti e poi indagato, ha riconosciuto la paternità dei tre referti medici attraverso i quali è stato monitorato il decorso della rottura delle vertebre del presunto paziente.
Il neurochirurgo ha dichiarato di non ricordare lo specifico paziente ma di avere agito comunque secondo la prassi ospedaliera consolidata, di non avere provveduto a verificare l’identità del paziente che si era presentato al suo cospetto né di avere verificato se il referto che gli veniva posto in visione era stato validato al sistema Ris, né di aver visionato le immagini radiologiche sul sistema Pacs. Dunque si è limitato a visionare i referti radiologici, tra l’altro a firma di un sanitario da lui conosciuto e di cui si fidava, che poi però si sono rivelati falsi. Secondo il gip sia per D’Ascoli che per un medico legale cosentino, anch’egli indagato a piede libero, “non vi è un quadro indiziario connotato da gravità tale da fondare un provvedimento di natura cautelare“.
Fabio Papalia