Arrestato Gianluca Callipo: sindaco di Pizzo e presidente Anci Calabria
Questa mattina i carabinieri del R.O.S. ed il Comando Provinciale Carabinieri di Vibo Valentia, con il supporto dei Comandi Provinciali territorialmente competenti, di personale del G.I.S, del 1° Reggimento Paracadutisti Tuscania, del NAS, del TPC, dei quattro Squadroni Eliportati Cacciatori e dell’8° Elinucleo CC hanno dato esecuzione ad una ordinanza di custodia cautelare emessa dal G.I.P. del Tribunale di Catanzaro, su richiesta della locale Procura Distrettuale Antimafia diretta dal procuratore capo Nicola Gratteri, nei confronti di 334 indagati, ritenuti responsabili, a vario titolo, di associazione di tipo mafioso, omicidio, estorsione, usura, fittizia intestazione di beni, riciclaggio, detenzione di armi, traffico di stupefacenti, truffe, turbativa d’asta, traffico di influenze e corruzione. Dei 334 indagati sottoposti alla misura cautelare, 260 sono stati ristretti in carcere, 70 agli arresti domiciliari e 4 sottoposti al divieto di dimora.
I provvedimenti cautelari sono stati eseguiti in Calabria e in varie province della Lombardia, Piemonte, Veneto, Liguria, Emilia Romagna, Toscana, Lazio, Sicilia, Puglia, Campania, Basilicata, nonché in Svizzera, Germania e Bulgaria.
Nella medesima giornata si è data esecuzione anche a un decreto di sequestro preventivo di beni mobili e immobili per un valore complessivo di circa 15 milioni di euro.
I provvedimenti scaturiscono da un’articolata attività investigativa condotta dal Raggruppamento e dal Comando Provinciale di Vibo Valentia in direzione del contesto ‘ndranghetistico vibonese, con il coordinamento della Direzione Distrettuale Antimafia di Catanzaro.
Le indagini hanno consentito di ricostruire con completezza gli assetti di tutte le strutture di ‘ndrangheta dell’area vibonese e fornito un’ulteriore conferma dell’unitarietà della ‘ndrangheta, al cui interno le strutture territoriali (locali/ ‘ndrine) godono di un’ampia autonomia operativa, seppur nella comunanza delle regole e nel riconoscimento dell’autorità del Crimine di Polsi.

Infatti, le risultanze della Scott-Rinascita hanno documentato:
- l’esistenza di strutture quali società, locali e ‘ndrine, in grado di controllare il territorio di riferimento e di gestirvi capillarmente ogni attività lecita o illecita;
- lo sviluppo di dialettiche inerenti alle regole associative, nello specifico, sulla legittimità della concessione di doti ad affiliati detenuti e sui connessi adempimenti formali;
- l’utilizzo di tradizionali ritualità per l’affiliazione e per il conferimento delle doti della società maggiore, attestato dal sequestro di alcuni pizzini riportanti le copiate;
- l’operatività di una struttura provinciale – il crimine della provincia di Vibo Valentia – con compiti di coordinamento delle articolazioni territoriali e di collegamento con la provincia di Reggio Calabria e il crimine di Polsi, quale vertice assoluto della ‘ndrangheta unitaria.
- A capo della citata struttura si sono alternati, negli anni, esponenti della cosca Mancuso, quali Giuseppe Mancuso (cl.1949), Pantaleone Mancuso (cl.1961) e, da ultimo, Luigi Mancuso (cl. 1954), che proprio in tale ruolo di vertice ha governato gli assetti mafiosi della provincia, riuscendo anche a ricomporre le fibrillazioni registrate negli anni tra le varie consorterie.
Oltre ad acclarare l’esistenza del crimine della provincia di Vibo Valentia, le investigazioni hanno consentito di censire l’esistenza della:
- locale di Limbadi, egemonizzata dalla già menzionata cosca Mancuso, avente quale capo Luigi Mancuso che, anche durante la sua detenzione, impartiva le disposizioni o comminava agli altri sodali le sanzioni, curava i rapporti con le altre articolazioni vibonesi, dirimeva i contrasti interni ed esterni e curava, talora anche personalmente, la conduzione delle varie attività criminali. I principali collaboratori del Luigi Mancuso sono stati individuati in Pasquale Gallone, Giovanni Giamborino e nella coppia Gaetano Molino-Gianfranco Ferrante;
- locale di Vibo Valentia città, la quale riunisce le ‘ndrine dei:
* “Lo Bianco-Barba”, che ha tra i suoi elementi apicali Paolino Lo Bianco, Filippo Catania, Antonio Lo Bianco, Vincenzo Barba e Raffaele Franzè, inseriti nella società maggiore di Vibo Valentia. Gli ultimi due fungevano anche da contabili della ‘ndrina;
* “Camillò-Pardea Ranisi”, operante nei quartieri cittadini di Cancello Rosso e di San Leoluca, capeggiata fino al maggio 2016 da Andrea Mantella, poi divenuto collaboratore di Giustizia;
* “Pugliese Cassarola”, al cui vertice è risultato Rosario Pugliese detto Saro; - locale di Filandari e Ionadi, capeggiata da Leone e Giuseppe Soriano, dell’omonima cosca;
- locale di Mileto, sotto l’egida della cosca Pititto-Prostamo-Iannello-Mesiano. Un suo componente, Giuseppe Mangone, curava il collegamento con la locale di Limbadi e si occupava della compravendita e gestione di terreni;
- locale di Piscopio di Vibo Valentia, diretta da Salvatore Giuseppe Galati che annovererebbe tra gli affiliati anche l’esponente politico Pietro Giamborino, che avrebbe anche mantenuto i rapporti con membri di altre articolazioni della ‘ndrangheta (segnatamente i “Fiarè”, i “Razionale” ed i “Gasparro”) e curato le relazioni con settori della pubblica amministrazione e delle professioni per la risoluzione dei problemi dell’organizzazione;
- locale di San Gregorio d’Ippona, guidata dalle cosche “Fiarè-Razionale-Gasparro”.
Elementi apicali sono risultati Saverio Razionale e Gregorio Gasparro, il primo anche con compiti di gestione economico-finanziaria della struttura. Saverio Razionale è anche ritenuto presunto componente del crimine dell’intera area vibonese, in stretto rapporto con esponenti di primo piano di altre articolazioni della ‘ndrangheta, compresi Luigi Mancuso e Giuseppe Antonio Accorinti, nonché con colletti bianchi, quale l’avv. Giancarlo Pittelli, massone ed ex-parlamentare; - locale di Stefanaconi, capeggiata da Salvatore Patania, presunto elemento dell’omonima cosca, in rapporti stabili con i “Lo Bianco-Barba” di Vibo Valentia;
- locale di Sant’Onofrio, diretta dal capo società Pasquale Bonavota, dell’omonima cosca, coadiuvato da Domenico e Nicola Bonavota, nonché da Domenico Cugliari. Le indagini hanno anche documentato un summit, avvenuto nel maggio 2017, finalizzato a ricomporre pregressi dissidi tra i “Bonavota” ed i “Mancuso”, con conseguente riavvicinamento alla società di Sant’Onofrio al crimine vibonese. In tale circostanza, gli affiliati hanno discusso anche sulle doti e sulle cariche e sulle procedure di formalizzazione di una locale.
Nella sfera d’influenza santonofriese sono state ricondotte anche la ‘ndrina di Pizzo e quella di Filogaso e Maierato, diretta da Salvatore Francesco Mazzotta che tra l’altro gestiva, anche direttamente, le attività imprenditoriali d’interesse, intestate a prestanome e manteneva rapporti con l’amministrazione comunale di Pizzo, convogliando i pacchetti di voti sui candidati vicini alla ‘ndrina;
- locale di Zungri, sotto l’influenza delle cosche “Accorinti-Barbieri-Bonavena” e diretta dal citato Giuseppe Antonio Accorinti, presunto esponente apicale anche a livello provinciale. Subordinate all’articolazione zungrese sono risultate le ‘ndrine di Briatico Cessaniti e Vibo Marina;
- ‘ndrina di Tropea, attiva anche a Ricadi, ove è stato accertato il ruolo di co-dirigenza esercitato da Antonio La Rosa e Francesco La Rosa in costante collegamento con la consorteria dei “Mancuso” di Limbadi.
I rapporti della cosca Mancuso con la cosca De Stefano di Reggio Calabria e la cosca Piromalli di Gioia Tauro
In merito alla cosca Mancuso, oltre al ruolo di polo di riferimento dell’ampia rete delle strutture ‘ndranghetiste vibonesi, è chiaramente emersa anche la sua rilevanza a livello extraprovinciale, dimostrata sia dagli attuali e strutturati rapporti, finalizzati al mutuo soccorso ed allo scambio di favori criminali, instaurati, tra gli altri, con i De Stefano di Reggio Calabria e i Piromalli di Gioia Tauro, sia dai rapporti intrattenuti con esponenti di cosa nostra, databili all’epoca pre-stragista.
Per quanto concerne la pluralità di condotte delittuose individuate nel corso delle indagini, è stato accertato in particolare:
- l’ormai consolidata capacità di infiltrazione nell’imprenditoria, operata con meccanismi sempre più sofisticati, grazie al contributo di professionisti collusi e dimostrata dalle numerose fittizie intestazioni documentate dalle indagini e da svariate operazioni di riciclaggio svolte nella provincia vibonese (acquisto di strutture turistico-alberghiere, bar, ristoranti, imprese operanti nel settore alimentare e della distribuzione, e con investimenti nel settore immobiliare svolti da soggetti prestanome, nonché con la partecipazione ad aste pubbliche per l’acquisto di terreni, immobili, autovetture di pregio, tramite terzi soggetti), a Roma (creazione di una rete di negozi operanti nel settore calzaturiero e l’apertura di una fabbrica, attraverso un circuito societario facente capo a società di diritto britannico controllate da articolazioni dell’associazione), a San Giovanni Rotondo (acquisto di una struttura turistico-alberghiera in società con imprenditori lombardi in difficoltà economiche), all’estero (Regno Unito) tramite la creazione di reti societarie, necessarie a simulare operazioni commerciali per ripulire il denaro di provenienza delittuosa, successivamente investito in imprese operanti nel territorio italiano;
- l’accaparramento di terreni rurali nella provincia vibonese ottenuto con modalità estorsive;
- la sistemica pressione estorsiva svolta nei confronti dei commercianti e degli imprenditori, costretti, in cambio della protezione, a garantire la consueta messa a posto ammontante, di massima, al 3% del valore dei lavori svolti, l’assunzione di personale segnalato dalle cosche e l’imposizione di forniture;
- l’usura svolta in modo massivo nei confronti di commercianti ed imprenditori in difficoltà;
- il traffico di sostante stupefacenti;
- la commissione di danneggiamenti perpetrati tramite incendi ed esplosioni di colpi d’arma da fuoco;
- il controllo mafioso dei servizi funerari;
- la consumazione, nel periodo 1996-2017, dei seguenti 4 omicidi e di 3 tentati omicidi:
* omicidi di Antonio Lo Giudice e di Roberto Soriano, uccisi a Filandari (VV) il 6.8.1996 ad opera degli indagati Saverio Razionale e Giuseppe Antonio Accorinti, in concorso con altre persone non identificate. Il duplice omicidio sarebbe stato deciso da Razionale in risposta ad un tentativo di omicidio subito ad opera del Soriano, derivante da dissidi insorti tra lo stesso Razionale e Giuseppe Mancuso, detto Mbrogghia;
* omicidio di Nicola Lo Bianco, ucciso a Vibo Valentia, in data prossima al 3.05.1997, ad opera dell’indagato Gianfranco Ferrante, in concorso con altre persone non meglio identificate. Il movente sarebbe da ricondursi a dissidi in ordine al narcotraffico;
* omicidio di Alfredo Cracolici, esponente apicale dell’omonima ‘ndrina, inteso Lele Palermo, avvenuto a Vallelunga (VV) il 8.2.2002, ad opera di Antonio Ierulo e Domenico Bonavota, in una strategia espansionistica della cosca Bonavota.
* tentato omicidio di Antonio Franzè e Carmelo Pugliese, avvenuti a Vibo Valentia, rispettivamente il 27 ed il 28 settembre 2017, ad opera dell’indagato Domenico Macrì, detto Mommo. Entrambi gli episodi sono stati ricondotti ad uno scontro interno alla locale di Vibo Valentia città tra esponenti delle ‘ndrine dei Ranisi e dei Cassarola, alimentato dal tentativo di MACRÌ (appartenente ai Ranisi), di assurgere ad un ruolo verticistico;
* tentato omicidio di Alessandro Sicari, avvenuto a Vibo Valentia il 21.01.2018 ad opera degli indagati Domenico Macrì e Marco Ferraro che volevano punire la vittima, anch’ella legata allo stesso contesto criminale, per la sottrazione di una pistola.
Infine, a dimostrazione dell’elevato livello di pericolosità dell’associazione, oltre al sequestro – in più occasioni – di numerose armi comuni e da guerra (complessivamente sono state sequestrate 11 tra pistole e revolver, 12 tra fucili, carabine e mitragliatori, nonché abbondante munizionamento di vario calibro), è emersa la costante ricerca di contatti con esponenti politici, massoni, influenti professionisti, rappresentanti delle istituzioni e dell’imprenditoria, finalizzati al perseguimento degli illeciti fini sociali, in taluni casi conseguiti.
Divieto di dimora in Calabria per Nicola Adamo
Particolarmente significative, al riguardo, sono risultate le posizioni di:
- Giancarlo Pittelli (destinatario di provvedimento di custodia cautelare in carcere), avvocato catanzarese, già Parlamentare della Repubblica, iscritto al G.O.I., che – ritenuto presunto partecipante all’associazione mafiosa – avrebbe messo sistematicamente a disposizione dei criminali il proprio rilevante patrimonio di conoscenze e di rapporti privilegiati con esponenti di primo piano a livello politico-istituzionale, del mondo imprenditoriale e delle professioni, anche per acquisire informazioni coperte dal segreto d’ufficio e per garantirne lo sviluppo nel settore imprenditoriale. Le indagini hanno documentato i rapporti diretti tra Pittelli e Luigi Mancuso;
- Pietro Giamborino (destinatario di provvedimento di custodia cautelare in carcere – per altre imputazioni è anche destinatario di misura cautelare degli arresti domiciliari), già consigliere della Regione Calabria, ritenuto presunto formalmente affiliato alla locale di Piscopio, il quale avrebbe intessuto legami con alcuni dei più importanti appartenenti alla ‘ndrangheta vibonese per garantirsi voti ed appoggi necessari alla sua ascesa politica, divenendo – di fatto – uno stabile collegamento dell’associazione con la politica calabrese, funzionale alla concessione illecita di appalti pubblici e di posti di lavoro per affiliati o soggetti comunque contigui alla consorteria.
In tale ambito, è stata ricostruita anche la vicenda che ha portato alla contestazione del reato di traffico d’influenze a carico del predetto Giamborino, nonché di Nicola Adamo (già consigliere della Regione Calabria, destinatario della misura cautelare del divieto di dimora in Calabria), Giuseppe Capizzi (amministratore unico del “Consorzio progettisti e costruttori” – destinatario della misura cautelare del divieto di dimora in Calabria) e Filippo Valia (destinatario della misura cautelare del divieto di dimora in Calabria); - Francesco Stilo (destinatario di provvedimento di custodia cautelare in carcere), avvocato lametino, che avrebbe fornito all’organizzazione criminale uno stabile contributo, reperendo notizie coperte dal segreto istruttorio e garantendo il flusso di notizie proveniente da esponenti di vertice detenuti;
- Gianluca Callipo (destinatario di provvedimento di custodia cautelare in carcere), all’epoca dei fatti Sindaco del Comune di Pizzo Calabro, il quale, proprio in relazione al suo ruolo politico ed amministrativo, avrebbe tenuto condotte amministrative illecite e favorevoli al sodalizio, garantendo ad alcuni indagati benefici nella gestione di attività imprenditoriali;
- Filippo Nesci (destinatario della misura cautelare degli arresti domiciliari), Dirigente del Settore Urbanistica del Comune di Vibo Valentia e Comandante della Polizia Municipale del capoluogo, ritenuto presunto responsabile di episodi di corruzione in favore di esponenti dell’associazione;
- Enrico Caria (destinatario di provvedimento di custodia cautelare in carcere), all’epoca dei fatti Comandante della Polizia Locale di Pizzo (VV), in concorso tra gli altri con Gianluca Callipo, avrebbe agito nell’interesse dei “Mazzotta”, egemoni sul territorio, adottando condotte perlopiù omissive.