Lo sapeva dal 28 settembre 2019, quando gli specialisti del Ris di Messina si sono presentati alla sua cella (dove è detenuto per altra causa) e gli hanno chiesto se acconsentisse a farsi prelevare un campione biologico da comparare con le tracce lasciate sul selciato da un assassino una sera d’aprile nel 1988. Sapeva che è una questione di tempo: c’erano voluti 32 anni prima che gli inquirenti risolvessero l’omicidio Cartisano; sarebbero passate poche settimane prima che si ripresentassero con un’ordinanza del giudice; da oggi il tempo della sua permanenza in cella potrebbe dilatarsi.
Quando ha rifiutato la prova del Dna sapeva che i Carabinieri erano ancora sulle tracce dell’assassino, da 32 anni. Non hanno mai smesso di inseguire il killer fuggito subito dopo l’omicidio di Giuseppe Cartisano, ucciso a Reggio Calabria all’interno del bar Malavenda a piazza De Nava, e scampato al conflitto a fuoco ingaggiato con i militari di una gazzella della Radiomobile lungo la via di fuga.
I Carabinieri intervenuti la sera del 22 aprile 1988 sul luogo del delitto rinvennero, lungo la via di fuga dei killer, consistenti tracce di sangue. In particolare vennero individuate 6 tracce ematiche, alcune delle quali molto evidenti, sulla strada in via Demetrio Tripepi, per un tratto lungo circa 45 metri in direzione nord dal punto in cui era caduto, ucciso nel conflitto a fuoco dai Carabinieri, Luciano Pellicanò. Era il sangue che il secondo killer, colpito a una gamba dal piombo delle pistole d’ordinanza dei bravi militari dell’Arma, aveva perso copiosamente. Nonostante la ferita quel secondo killer era riuscito a fuggire a piedi per una quarantina di metri, per poi essere prelevato e messo in salvo da complici rimasti finora ignoti. Così come era rimasta ignota fino ad oggi l’identità del secondo killer.
Il 13 maggio del 1988 la Procura dispose le analisi del sangue repertato da una di quelle macchie lasciate lungo la fuga, ma lo stato dell’arte delle conoscenze tecnico-scientifiche dell’epoca permisero al medico incaricato degli accertamenti, il dottore Aldo Barbaro, soltanto di confermare che si trattava effettivamente di sangue umano, appartenente al gruppo sanguigno A.
Senonché dopo che diversi collaboratori di giustizia a distanza di anni hanno fatto il nome di Vincenzino Zappia indicandolo come il killer che componeva quel gruppo di fuoco, la svolta alle indagini è arrivata il 15 luglio 2019, quando il pubblico ministero ha disposto di utilizzare quei reperti, le tracce di sangue ancora conservate, per estrapolarne il Dna, delegando gli accertamenti agli specialisti del Ris di Messina.
Adesso non restava che prelevare anche il Dna di Vincenzino Zappia per compararlo e avere la prova che fosse effettivamente lui uno dei due killer che uccisero Giuseppe Cartisano. Zappia, però, non ha prestato il consenso al prelievo di un campione biologico da comparare. Un rifiuto che è servito a poco: il giudice per le indagini preliminari, infatti, il 9 ottobre 2019 ha autorizzato l’acquisizione coattiva di un campione, che è stato prelevato il 15 ottobre 2019 presso la casa circondariale de L’Aquila. La comparazione ha fornito agli inquirenti la conferma definitiva e inequivocabile circa l’identità del killer fuggito dal luogo del delitto di sangue 32 anni fa. Un segreto che il sangue ha custodito per tutto questo tempo.
Fabio Papalia