Quando Konrad Adenauer pronunciò, o quantomeno gli venne attribuita la frase, “ Viviamo tutti sotto lo stesso cielo, ma non tutti abbiamo il medesimo orizzonte” il mondo usciva dalla tragedia della seconda guerra mondiale e serviva oltre ad una essenziale pluralità di idee, un forte pragmatismo comune nel superare le difficoltà della ricostruzione.
Il sogno europeo di Adenauer, De Gaulle, De Gasperi ha contribuito a creare una società multietnica ove le persone si muovono liberamente, studiano, si formano, cercano e creano opportunità lavorative all’estero. Si promuovono eccellenze dando un forte contributo allo scambio di opinioni e di idee, allontanando le individualità nazionali a favore di uno spirito corporativo europeo.
Tutto questo fino a due settimane fa.
Accade, per esempio che Angelo Zilio, professore all’ Università di Lione, sia stato additato come un untore, solo perché italiano. Angelo, laureato in International Business presso l’Università di Torino, ha conseguito un Master in International Marketing presso l’Università di Berlino, un MBA presso l’ESCP Europe di Parigi e un dottorato di ricerca presso l’Università di Lione. Ha lavorato per 8 anni come responsabile delle esportazioni in diversi paesi e da sei anni è professore di marketing, management e strategia presso l’Università di Saint Etienne (succursale dell’Università Jean Monnet di Lione). Ama definirsi, a ragione, figlio dell’Europa, e con i suoi due figli e la compagna vive in Francia, dove, suo malgrado, ha saggiato quanto sottili siano i fili che legano l’Unione Europea.
Abbiamo avuto una chiacchierata dieci giorni fa, quando ancora parlare italiano scatenava il “Dagli all’untore” e ci ha raccontato la sua esperienza in questa intervista.
Come è stata gestita la situazione in Francia?
In Francia sono state prese delle misure un po’ tardive, sebbene, parlando con il mio medico di base, mi diceva che lui non aveva mai visto tante polmoniti come quest’anno. Per quanto mi riguarda mi sono messo in auto-quarantena a casa appena ho avuto qualche sintomo di influenza, ma ho preferito ritirare i bambini ancora prima della dichiarata chiusura delle scuole. A mio parere si è tardato un po’ a prendere delle misure draconiane perché probabilmente la politica pensava di poter completare le elezioni. Ed è già di suo una contraddizione per un paese che si erge come Democratico. Perché che Democrazia è quella che da un lato invita gli anziani a stare a casa e poi non sospende le elezioni municipali? ( Difatti si registrò un astensione record e il 16 Marzo Macron parlò alla nazione bloccando le consultazioni elettorali)
Come hai vissuto questo periodo e quale è stato il tuo punto di vista dall’esterno?
Devo dire che se, relativamente alla salute, io e la mia famiglia stiamo bene, personalmente a livello psicologico sto malissimo. Ed ho un duplice motivo per star male: in primis perché devo assistere impassibile a quello che sta accadendo in Italia, e sto vedendo che la nazione è un po’ in ginocchio. Negli altri paesi la situazione è simile, ma hanno preferito anteporre gli interessi economici alla salute pubblica. In secundis perché da Italiano all’estero ci vedono come degli untori, degli appestati. Pensa che i primi giorni la gente qui a Lione quando mi sentiva parlare italiano con i miei figli, nel supermercato, all’Ikea o in altri luoghi pubblici scappava letteralmente via allontanandosi da me e dai miei bambini. Sono state scene ed atti umilianti. Anche perché questo virus, a differenza di quello che si possa pensare non ha confini, non ha barriere, specie in un mondo promiscuo e globalizzato. In Italia, il tutto è scoppiato in un piccolo paesino ed ha colpito poi allargandosi, pertanto può capitare in ogni posto ed a chiunque, questa è una cosa che ancora qui non l’hanno capita.
Sta venendo meno il concetto di globalizzazione?
Questo virus sta smascherando i limiti della globalizzazione e quindi il fatto di delocalizzare ad ogni costo aumentando solo dei movimenti inutili. Sta inoltre mettendo a nudo un’ Unione uropea che forse non è mai esistita. A livello personale ho visto molta più solidarietà, da amici della sud Corea, Cina, Nuova Zelanda, Stati Uniti, piuttosto che dagli Europei. Dagli Europei, paradossalmente dai miei amici, e ne ho tanti in giro, non ho mai ricevuto un messaggio né di conforto, né meramente informativo e questa è la cosa che mi ha reso più triste. Perché io mi sento un figlio dell’Europa. Mi sono formato in Europa, ho creduto nell’Europa, ho creduto che l’Europa potesse diventare quasi uno Stato federale un po’ come sul modello degli Stati Uniti e purtroppo questo virus, ha messo nudo le criticità .
Gli eventi traumatici da sempre mettono in moto processi di trasformazione della realtà sociale
Si sa che gli eventi forti mettono a nudo questi processi, io ho sempre creduto che nelle difficoltà si rafforzasse un concetto unitario. Invece il tutto è accaduto molto più velocemente di quello che pensavo, evidenziando però quello che l’Europa non è, cioè quasi un’unica nazione. Si è rivelato invece un continente egoistico, o meglio un continente egoista, unito da meri numeri fatti da burocrati e questa è una cosa che mi ha dato una pugnalata alle spalle. Quindi quel castello europeo che mi ero costruito e nel quale avevo sempre creduto, improvvisamente è venuto meno, portando con sé nel crollo tutte le certezze che negli anni avevo fatte mie e che ora non esistono più. Perché vivendo all’estero si soffre già per le proprie famiglie, per i propri cari lontani, ma se in più bisogna subire umiliazioni da parte di alcuni allora è tutto vano.
Parli di umiliazioni, sono concetti forti.
Personalmente è accaduto che a scuola dei miei figli gli insegnanti non volessero più parlare con me. Comprendi che è umiliante. Non ti nascondo che quando passerà questa tempesta potrei anche valutare di lasciare il paese che mi ha ospitato per sei anni.
In Italia, invece si sta riscoprendo la solidarietà. Cosa ne pensi?
Guarda a seguito dell’emergenza mi hanno annullato un viaggio che avrei dovuto effettuare in Russia ed hanno annullato anche il visto per gli Stati Uniti ed è saltato quindi il successivo viaggio. In tutto questo però ho voluto vedere un segnale positivo e di solidarietà e lo farò, in forma anonima, quanto prima. Questo periodo di disagio, per come la vedo io dall’estero, farà riscoprire una comunità, quella italiana, che non vedevamo. Oggi paradossalmente a causa di questo virus ci sentiamo tutti un po’più italiani.
Quali sono secondo te le prospettive da economista?
Stiamo tornando a rivalutare le cose che prima davamo un po’ per scontate, gli affetti, la libertà, la disciplina, capire anche che il comportamento di un individuo può inficiare ed avere un impatto anche sulla sull’intera comunità. Questo aspetto potrebbe, con le dovute eccezioni purtroppo, servire a disciplinare gli italiani. Un po’ come quanto accaduto per la seconda guerra mondiale.
Alcuni danni che non si vedranno a livello materiale si vedranno comunque a livello virtuale, soprattutto per quanto riguarda l’economia e la finanza. Questo potrebbe spingere tutti gli italiani a ripartire da zero, fare un po’ tabula rasa di quello che si era costruito ovviamente tenendo buoni quei principi, quei valori e quelle certezze economiche che abbiamo costruito nel tempo per passare in una società più moderna, veloce e sostenibile. Tutto ciò se nel breve termine potrebbe apparire disastroso, in futuro potrebbe essere positivo ed avrà anche delle conseguenze anche a livello europeo, perché si sta scoprendo che l’Europa è molto molto più labile di quello che pensavamo. Anche agli occhi dei sostenitori più convinti ed incalliti come lo ero io fino a poco tempo fa.
I tuoi progetti a livello personale invece?
A livello personale ti posso dire che io cercherò come ho sempre fatto, ma adesso con maggiore forza e vigore di sostenere il mio paese. E lo farò con due progetti che partiranno più o meno in estate, al termine della tempesta. Ho intenzione di aprire un ufficio di consulenza per aiutare le start-up ma anche le aziende per ristrutturarle e lanciarle sui mercati esteri e per formare nuovi manager. Questa iniziativa partirà da Taranto. Sto scrivendo anche un libro, che adesso avrà giocoforza una buona accelerata e si chiamerà “La forza di uno startupper” per dare un impulso a tutti coloro che vogliono creare delle nuove imprese.
Per concludere, cosa hai visto di buono in questo momento di difficoltà?
L’Italia. Preferisco di gran lunga l’approccio italiano che ha messo in primo piano la salute pubblica rispetto all’interesse economico. Io mi auguro che la gente, una volta per tutte, capisca che lo stato siamo tutti noi, che gli sforzi comuni, la disciplina, la coesione sociale non possono che essere un bene imprescindibile.
Salvatore De Blasio