Caso Ripepi, Massimo Canale: «L’etica non coincide mai con il diritto»

La riflessione su Facebook dell’ex consigliere comunale che fu accusato di “satanismo” dal pastore/politico

Massimo Ripepi predica ai fedeli

Massimo Ripepi predica ai fedeli

Reggio Calabria – Il caso Ripepi continua a tenere banco in città e ad alimentare le tensioni tra maggioranza e minoranza. Una voce trasversale si alza dal social network e proviene dal profilo di Massimo Canale, avvocato penalista ed ex consigliere comunale. Massimo Canale non è l’avvocato di Massimo Ripepi e anzi la sua attività politica in Consiglio  comunale è sempre stata agli antipodi rispetto a quella del pastore/politico.

Oggi Massimo Canale offre una riflessione sulla vicenda da un punto di vista giuridico che, proprio perché proviene da un politico di area ideologica contrapposta a quella di Ripepi, val la pena di essere letta. Ora pur senza entrare nel merito della vicenda, che non vede indagato Ripepi, ci troviamo assolutamente d’accordo con Massimo Canale quando afferma che «l’etica non coincide mai con il diritto, guai se fosse così in uno stato laico» e quando invita a «distinguere l’ambito giuridico da quello morale». Ciò vale sempre e comunque.

Una inesattezza rileviamo, sulla qualità di “ministro di culto”, poiché fu lo stesso Ripepi anni fa a dichiarare di essere “pastore ma non ministro di culto”, un dettaglio evidentemente non a conoscenza di Massimo Canale (Ripepi era stato effettivamente ministro di culto ma rinunciò in quanto incompatibile con la carica elettiva) ma che non inficia la qualità della sua riflessione, che offre diversi spunti di carattere giuridico che riteniamo utili ai nostri lettori per meglio inquadrare la vicenda.

Fabio Papalia

La riflessione su Facebook dell’ex consigliere comunale, avvocato Massimo Canale

Conosco Massimo Ripepi, è un personaggio particolare, a tratti può sembrare bizzarro: naturalmente proteso al bene della propria comunità e, allo stesso tempo, capace di vedere il diavolo e arguirne i perversi disegni in ogni ambito del vivere quotidiano, anche nei propri avversari politici.

Rammento, se la memoria non mi inganna, di essere stato tacciato anche io di satanismo (o giù di lì, siate indulgenti…) allorquando provai a fare approvare dal Consiglio comunale di Reggio Calabria il registro delle unioni civili, tentativo fallito a quel tempo a causa del voto contrario di buona parte del Consiglio comunale (Ripepi in testa) a difesa della famiglia “tradizionale”.

Lo rammento ancora dall’altra parte degli scranni di palazzo San Giorgio arringare i propri colleghi contro di me, definendomi un buffone in quanto colpevole di essermi spinto al punto di rilevare un possibile conflitto di interessi su una questione amministrativa che, se non sbaglio, riguardava la sua confraternita nel settore della protezione civile di competenza comunale.

Ciò posto, credo che la vicenda che lo riguarda vada affrontata con strumenti e approcci adeguati, l’etica non coincide mai con il diritto, guai se fosse così in uno stato laico.
Sul piano giuridico Ripepi non aveva obbligo di denuncia delle circostanze apprese nell’ambito del suo ufficio di padre spirituale della comunità PACE; la denuncia di un reato all’autorità giudiziaria è una facoltà e nessun privato cittadino – salvo casi particolarissimi – ne è obbligato.

A maggiore ragione, un ministro di culto come Ripepi, (può piacere oppure no che egli lo sia), non può essere obbligato nemmeno a testimoniare su fatti o circostanze apprese nell’esercizio delle proprie funzioni di capo della propria comunità confessionale.

Per tale ragione le reazioni politiche seguite alla triste vicenda di cui si parla in queste ore le ho trovate in molta parte fuori luogo.
C’è almeno un procedimento penale in corso e Ripepi potrebbe essere testimone o anche indagato e ciò basterebbe per ritenere inopportuna ogni considerazione pubblica sulla questione.

Al netto delle dichiarazioni dell’On. Wanda Ferro che avrebbe preteso una denuncia da parte di Ripepi in ragione dei modelli di riferimento del partito suo e di Ripepi anche gli avversari politici dovrebbero distinguere l’ambito giuridico da quello morale: il primo, per fortuna è soggetto a rigide regole, l’ultimo è sempre legittimo ma sempre ed esclusivamente a secondo del proprio punto di vista.

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