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Lettera aperta di Massimo Ripepi: «Non mi pento delle mie azioni»

La versione del pastore-politico che si difende: «La magistratura avrà modo di accertare le verità e restituirmi quella dignità che alcuni titoli di giornale mi hanno (ma solo momentaneamente) tolto»

by newz
9 Dicembre 2020
in Città, Primo Piano
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Massimo Ripepi

Massimo Ripepi

di Massimo Ripepi *

Voglio innanzitutto precisare di essermi determinato a scrivere questa lettera aperta, in luogo dell’annunciata conferenza stampa, per dare una immagine oggettiva della verità dei fatti per come io li ho vissuti scevra anche da condizionamenti emozionali dovuti, in questo momento, all’afflizione che questa vicenda ha causato a me ed a tutta la mia famiglia, vittime di una sconsiderata e scellerata macchina del fango, fondata sulle sole affermazioni di una parte, che sono purtroppo scaturite, anche sui social, in minacce di morte nei miei confronti e offese di gravità inaudite. Sulla base degli avvenimenti da me vissuti poi ognuno avrà modo, stavolta sì, di determinarsi in merito a quanto accaduto.

In attesa di acquisire gli atti processuali che mi coinvolgono direttamente (sui quali allo stato non vi è ancora alcuna certezza) e poter verificare se e quali siano gli aspetti che potrebbero incidere sul corretto svolgimento delle indagini avviate dalla Procura della Repubblica, presso la quale, già diverse settimane fa (ossia ben prima che scoppiasse il caso mediatico) mi sono volontariamente sottoposto ad interrogatorio per chiarire la mia posizione, ritengo doveroso rendere note e fare alcune precisazioni che potranno offrire spunti di riflessione su questa brutta vicenda e facciano luce sulla mia condotta, che al di là della gogna mediatica di cui sono oggetto, sono certo essere stata priva di censure.

Ricordo a tutti, qualora ce ne fosse bisogno, che l’iscrizione nel registro degli indagati da parte del PM procedente costituisce un atto dovuto, al quale cioè la Procura non può sottrarsi a fronte di dichiarazioni così gravi che coinvolgono le sorti e la vita di una bambina che per me resta la vera vittima e alla quale io stesso ero (e sono) legato da sincero affetto e per la quale sono assolutamente affranto nella misura in cui la vicenda processuale dovesse dare conferma alle accuse mosse nei confronti dello zio.

Ricordo tuttavia che l’essere iscritto nel registro degli indagati non equivale né ad essere imputato di reato, né tanto meno essere stato già condannato.

Condanna che invece ho già subito a livello mediatico, sotto tutti i punti di vista: giuridico, sociale e morale, con diretto coinvolgimento non solo della mia persona in quanto tale, ma anche della mia fede, della mia storia di azione sociale e politica.

Sulla vicenda in sé ed in particolare sul contenuto delle dichiarazioni che la madre della piccola avrebbe reso al Pubblico Ministero, così come riportate negli stralci dell’ordinanza (decreto ndr) emessa dal Tribunale per i Minorenni di RC, trascritti in molti articoli di giornale, voglio precisare tutte le circostanze assolutamente false sulle quali io posso riferire perché avvenute alla mia presenza e con il mio diretto coinvolgimento.

I fatti, pur essendo assunti alle cronache in questi giorni, risalgono a qualche anno or sono, e mi hanno coinvolto solo perché da sempre ho orientato la mia vita al sostegno dei più deboli e dei bisognosi, convinto che c’è più gioia nel dare che nel ricevere, pur nella consapevolezza che donarsi agli altri alle volte significa esporsi al giudizio altrui e spesso anche al vituperio.

Nella mia veste cristiana ho ascoltato una donna giustamente afflitta perché incerta che la propria figlia potesse aver subito delle molestie sessuali da parte dello zio, suo fratello. Non potendo restare indifferente né minimamente considerando l’ipotesi di “lavarmene le mani”, principalmente a tutela della bambina, ho ascoltato le parti in un confronto durante il quale, in nessun momento, lo zio ebbe alcun tentennamento nel negare in maniera assoluta le accuse mosse contro di lui.

All’esito di questo incontro nel quale mai si sono delineati i particolari del racconto della bambina che oggi apprendo dai giornali, vista anche l’incertezza della madre, e non essendo stato possibile trovare un riscontro alle accuse da parte del fratello, mi sono limitato, nelle mie funzioni prettamente spirituali e non di ufficiale di polizia, ad avvertire l’interessato che comunque, per tutto il tempo in cui lo stesso avesse scelto di frequentare ancora la nostra comunità cristiana, avrebbe dovuto continuare a tenere una condotta esemplare.

Tuttavia, percependo ancora un conflitto interiore della mamma, combattuta tra la propensione a credere alla figlia oppure al fratello che continuava a negare tutto, non ho potuto fare altro che invitare la consorella a determinarsi liberamente, scegliendo lei, senza doverne dare conto a nessuno, se denunciare nel dubbio il fratello oppure no.

Preciso che tutte le volte in cui ho avuto la certezza che fosse stato commesso un reato, ho espressamente invitato la persona interessata a denunciare immediatamente. Così è recentemente avvenuto con una donna che dopo anni di malversazioni da parte del marito ha trovato il coraggio di confidarsi, ricevendo nel mio appoggio la forza di denunciare. Per questa determinazione ho subìto minacce all’incolumità delle mie figlie. Anche per questi fatti ho sporto denuncia.

Dopo molti mesi da quel confronto la famiglia della piccola decise di frequentare un’altra comunità, e di quei fatti non avemmo più l’occasione o la necessità di riparlarne, mentre i rapporti tra i due fratelli sembravano, a dire di alcune persone informate, essere tornati alla normalità. Se la mia presunta induzione a non denunciare fosse stata vera, la donna, una volta andata via dalla comunità (maggio/giugno 2019), sarebbe dovuta andare senza esitare dalle autorità competenti. Invece, come già detto, così non è stato ma si è recata a sporgere denuncia solo a luglio del 2020 (più di un anno dopo avere liberamente lasciato la nostra comunità e un mese dopo l’arresto del fratello).

In ogni caso non avrei avuto alcun particolare interesse o secondo fine nel proteggere un uomo bisognoso da un così grave reato, qualora ne avessi avuto la certezza, che non ha mai avuto alcun ruolo importante nella comunità.

Ciò chiarito, ritengo altresì opportuno precisare, rischiando di ripetermi, tutte le circostanze che non risultano vere rispetto al racconto che emerge dagli articoli pubblicati negli ultimi giorni.

Non è assolutamente vero che i genitori della bambina si siano rivolti a me per chiedermi di poter loro indicare una famiglia della comunità che potesse ospitare la figlia in quel delicato momento della loro vita in cui la madre si dovette ricoverare mentre il padre non poteva accudirla per ragioni personali.

Così come non è assolutamente vero che sia stato io a consigliare di portare la bambina dalla nonna pur sapendo che con lei viveva anche fratello.

Le scelte degli stessi furono prese sempre in assoluta libertà, senza dare alcuna comunicazione a nessuno (come è giusto che sia, trattandosi di vicende personali sulle quali gli stessi non chiesero alcun consiglio o aiuto). Posso invece dire, per averne avuto espressa testimonianza da altre sorelle della comunità, che almeno una di esse offrì ospitalità alla piccola, ma che la mamma l’avrebbe espressamente rifiutata, adducendo che la figlia stava benissimo dalla nonna, dove lo zio poteva accudirla, visto che solo con lo zio la bambina era serena e riusciva a dormire la notte.

Mai ho detto che “mettere a conoscenza le autorità avrebbe potuto provocare il suicidio dello zio, del cui sangue la mamma sarebbe stata responsabile davanti a Dio”, così come non è assolutamente vero che io abbia dissuaso i genitori dall’andare al più vicino posto di polizia per denunciare l’abuso. Tantomeno ho mai detto alla mamma di far tacere la figlia all’interno della comunità altrimenti sarebbe stata una “madre di merda”. TUTTO FALSO.

Ribadisco che a fronte delle opposte versioni, degli evidenti dubbi della madre rispetto alle stesse parole della figlia e la categorica negazione di ogni addebito di responsabilità da parte dello zio rispetto ad un atto così grave, ho redarguito l’uomo invitandolo a dichiarare la verità. Ma lui ancora una volta ha convintamente affermato la propria estraneità ai fatti.

A questo punto, davanti a due versioni opposte, nel dubbio della madre, ho semplicemente detto alla donna di decidere cosa fare dalla sua posizione di sorella e di madre che aveva vissuto i fatti in prima persona ed aveva il discernimento e la coscienza di chi conosce meglio di me i propri congiunti. Credo che la sua indecisione si sia ritorta contro di lei, che ebbe a denunciare gli accadimenti solo dopo due anni e solo dopo essere venuta a conoscenza dell’arresto del fratello.

Per quanto riguarda il fatto che all’interno della comunità si sia diffusa dopo qualche tempo una voce su tale vicenda, seppur mai nei particolari, posso dire che ho cercato nei limiti delle mie possibilità di preservare la privacy della famiglia chiedendo di non spettegolare su elementi che riguardavano fatti privati di quel nucleo familiare. Non imposi mai nulla né spinsi alcuno a tacere chissà per quale motivo, o per coprire quale scandalo, ma cercai sempre, nel limite delle mie possibilità, di preservare la piccola bambina da ulteriori eventi traumatici e la famiglia da giudizi infondati.

Valutando oggi l’evoluzione dei fatti posso anche capire la disperazione di una madre che correndo il rischio di vedersi sottratta la potestà genitoriale sulla propria figlia, ha evidentemente deciso di addossare a me responsabilità di cui solo ella ed il marito si possono dolere. I nostri rapporti sono sempre stati improntati sulla verità e sull’amore fraterno e seppure oggi io (e con me la mia famiglia) viva un biasimo collettivo, non mi pento delle mie azioni e delle scelte compiute sempre ispirate al bene della piccola e della sua famiglia. Per questo ancora oggi, nonostante l’accaduto, nel mio cuore c’è un bellissimo ricordo della bambina e di questa famiglia.

Sono assolutamente a favore del giornalismo d’inchiesta che ha il dovere di stigmatizzare gli eventi negativi ma non approvo la necessità di sbattere in prima pagina e in testate giornalistiche on line (la cui traccia rimarrà indelebile), nell’intento di colpire un politico, particolari intimi riguardanti il racconto di una bambina che tra qualche anno in coscienza vedrà la propria triste vicenda riportata in modo così crudo con dovizia di particolari, costretta a rivivere il trauma in modo amplificato dalla consapevolezza che è stato oggetto di così tanta diffusione mediatica. Mi sarei aspettato, vista l’ingiusta indignazione fatta emergere nei miei confronti come se non avessi protetto abbastanza la piccola, che i giornali avessero risparmiato in futuro cotanta ulteriore sofferenza ad una innocente.

Né tantomeno condivido l’attacco indiscriminato alla fede di una intera comunità cristiana che si vede privata, a causa della pressione mediatica, della libertà di professare la propria religione senza essere apostrofati come “setta” mentre al contrario trattasi di una associazione estremamente trasparente, aperta a tutti e dalla quale entrano ed escono centinaia di persone senza vincoli né restrizioni. A tal proposito invito tutti coloro che volessero verificare la trasparenza della nostra realtà associativa, a frequentarci e poi trarne i dovuti giudizi.

Nell’assoluta certezza che la magistratura avrà modo di accertare le verità e restituirmi quella dignità che alcuni titoli di giornale mi hanno (ma solo momentaneamente) tolto.

Gesù Cristo è il Signore Unico e Vero Dio

* Consigliere comunale – Capo spirituale della Chiesa “Gesù Cristo è il Signore” di Catona

Tags: Massimo Ripepireggio calabriaTribunale per i Minorenni
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