Reggio Calabria – Appena insediato i giornali nazionali lo raccontavano come “il sindaco senza un euro”. Ogni cassetto di Palazzo San Giorgio, nel 2014, nascondeva un debito imprevisto. Milioni di qua, altri di là, altri ancora chissà. Spuntavano come funghi. Una montagna di soldi che andava a gonfiare la mole del debito “monstre” di oltre 130 milioni di euro ereditata prima e lasciata poi dai Commissari prefettizi, i primi arrivati, nella storia di Reggio Calabria, per lo scioglimento mafioso dell’ente.
Da qui, Giuseppe Falcomatà, è dovuto partire come per scalare l’Everest a mani nude. Oggi, la firma del “Patto per Reggio”, presentata ieri in consiglio comunale dall’assessore alle Finanze Irene Calabrò, ripaga, in un certo senso, un impegno che, negli anni, si è dovuto scontrare con la diffidenza dei Palazzi romani, con le porte serrate degli uffici dei Ministeri ed i sospetti di burocrati ingessati nel pregiudizio di un capoluogo, il primo in Italia, la cui classe dirigente era stata cancellata dalle “contiguità pericolose”. L’amministrazione reggina, fino all’arrivo di Falcomatà, aveva la stessa considerazione di un monatto in tempi di epidemia: figura importante sì, ma sempre meglio stargli alla larga.
Così, quando il premier Mario Draghi, ufficialmente invitato in città per suggellare un accordo da 150 milioni di euro, firmerà l’atto ratificato dal civico consesso, Reggio Calabria potrà finalmente iniziare a raccontare un’altra storia. Che è fatta di piccoli-grandi passi mossi verso un’unica direzione, con straordinaria dedizione ed ostinata pazienza. Giorno dopo giorno, all’interno dei dicasteri, Falcomatà ha costruito un lavoro di mediazione lento, attento, certosino, proiettato a fare uscire Palazzo San Giorgio dalle secche senza incidere sull’economia del territorio e delle famiglie diventando, nel frattempo, esempio e stimolo per numerosi enti locali del Paese.
Dal Decreto Enti Locali nell’estate calda del 2015, alle leggi finanziarie del 2016 e del 2017, passando dai bilanci sistematicamente approvati dalla Corte dei conti e dal Mef, dai servizi essenziali garantiti grazie a fondi extracomunali alle battaglie contro il regionalismo differenziato, che avrebbe tolto fondi alle città del sud per darli al nord, ed ancora il provvidenziale “Decreto Agosto” dello scorso anno, fino al risultato ottenuto due giorni fa, il sindaco ed il Comune reggino si sono confermati interlocutori responsabili, credibili ed autorevoli di un Governo tirato dalla giacchetta, senza grandi fronzoli, e chiamato in causa anche attraverso Anci per salvare i conti dei territori sprofondati sotto il peso del deficit prima e dell’emergenza Covid poi.
Norme scritte in gran parte a Reggio, emendate, discusse, lottate, centimetro dopo centimetro. E poi varate a Roma, utili a tenere a galla le sorti di intere comunità. Come il “Decreto Agosto” che, scontati i giri sulle montagne russe dei veti politici incrociati, è diventato la bombola d’ossigeno per i bilanci disastrati di centinaia di Comuni sparsi su e giù per la Penisola. Qualcuno lo spacciava per “boutade elettorale” ed è diventato, invece, modello da esportare e replicare, in grado di far scuola per tanti Comuni italiani, comprese le blasonate Roma, Torino, Napoli, senza contare qualche decina, forse centinaia di altre città, piccole e grandi, che hanno beneficiato del nuovo trend della finanza pubblica italiana, che proprio a Reggio Calabria ha segnato un pezzo della sua nuova storia.
Insomma, un mattone dietro l’altro che ha legittimato la scelta politica di non dichiarare il dissesto di Palazzo San Giorgio. Una sfida vinta da Giuseppe Falcomatà e dalla sua amministrazione che, prendendo atto della via del Piano di rientro “lacrime e sangue” varato dai Commissari prefettizi e superando i percorsi tortuosi tracciati dalla Consulta che ne vanificavano la rimodulazione, ha evitato il tracollo definitivo e forse irreversibile del tessuto economico e sociale cittadino. Per una volta Reggio Calabria suona nelle stanze ministeriali come un laboratorio virtuoso, capace di trainare, in positivo, le vicende della finanza pubblica in mezza Italia.
Ed è cosi che le stagioni del sacrificio, dunque, sembrano messe definitivamente alle spalle per i cittadini reggini che, dal recente patto siglato con Palazzo Chigi, trarranno i benefici di un lauto trasferimento di risorse per le casse comunali senza che questo possa incidere, minimamente, su nuove tasse o balzelli. L’aumento dell’Irpef, per esempio, programmata dagli altri Comuni (Napoli, Torino e Palermo) che hanno aderito all’accordo, non intaccherà le famiglie ed i lavoratori di Reggio. Piuttosto, la valorizzazione del patrimonio ed il riordino dei tributi saranno gli ingranaggi sui quali si muoverà la macchina attrezzata in Piazza Italia per far fronte agli impegni presi con Roma.
Finalmente i conti sembrano tornare e la sfida impossibile assunta da Falcomatà ormai quasi otto anni fa può definitivamente dirsi vinta, nonostante la temporanea sospensione per effetto della legge Severino. La città può iniziare a guardare con maggiore ottimismo e rinnovato entusiasmo ad un futuro da vivere senza più la calcolatrice in mano.
s.c.