Perché le Città metropolitane sono necessarie

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Ospitiamo volentieri un significativo contributo di Vittorio Ferri. Prima di essere chiamato ad insegnare “Programmazione economico territoriale del turismo” presso l’Università degli studi di Milano Bicocca, Vittorio Ferri ha conseguito il dottorato in “Politiche pubbliche del territorio” presso lo IUAV di Venezia. Ha svolto attività di ricerca presso la Facoltà di Economia dell’Università di Ferrara. Nel 2009 ha pubblicato il volume “Governare le Città metropolitane. Un’istituzione del federalismo”, Carocci editore, Roma. Si tratta dell’opera più aggiornata in materia.

(EC)

Perché le Città metropolitane sono necessarie
di Vittorio Ferri

Dopo la breve apparizione del Ministero per le Aree urbane istituito nel 1987, la legge 8 giugno 1990 n. 142 sull’ordinamento delle autonomie locali ha istituito la Città metropolitana sulla base della forte integrazione delle attività economiche e dei servizi pubblici nelle aree metropolitane. Pur in assenza di una definizione precisa di area metropolitana tale legge riconosceva nei rapporti di stretta integrazione tra il comune centrale ed i comuni confinanti la specificità dell’amministrazione dell’area metropolitana e la ragione dell’introduzione della Città metropolitana nell’amministrazione locale.
Dieci anni dopo, la Città metropolitana è riapparsa nella modifica del Titolo V parte II, della Costituzione (legge n. 3 del 18 ottobre 2001). Le principali innovazioni sono contenute nei seguenti articoli: l’art. 114 sancisce che la Repubblica è costituita dai Comuni, dalle Province, dalle Città metropolitane, dalle Regioni e dallo Stato. I Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni sono enti autonomi con propri statuti, poteri e funzioni secondo i principi fissati dalla Costituzione.
L’art. 117 equipara le fonti legislative statali e regionali, conferma l’assenza di potestà legislativa per gli enti locali, ed introduce un regime di legislazione esclusiva e concorrente tra Stato e regioni che sarà precisato nel 2003.
L’art. 118, riordina l’attribuzione delle funzioni amministrative: al 1° comma, si afferma che i comuni sono titolari primari delle funzioni amministrative, salvo che la legge attribuisca tali funzioni ad altri livelli di governo, sulla base dei principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza. Al 2° comma si afferma che i Comuni, le Province, le Città metropolitane sono titolari di funzioni proprie e di quelle conferite con legge statale o regionale, secondo le rispettive competenze.
L’art. 119 sancisce che Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni dispongono di autonomia finanziaria di entrata e di spesa, stabiliscono e applicano tributi ed entrate proprie, dispongono di compartecipazioni al gettito di tributi erariali riferibili al loro territorio. Lo Stato destina risorse aggiuntive ed effettua interventi speciali in favore di determinati Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni anche per scopi diversi dall’esercizio delle loro funzioni.
In pratica, pur senza disegnare un modello completo di federalismo, la riforma del Titolo V ha costituzionalizzato le Città metropolitane che risultano sostanzialmente equiparate a Regioni, Province, Comuni ed ha superato la tradizionale gerarchia tra livelli di governo rendendo così impropria l’espressione “livelli di governo superiore”.
Nella nuova logica di pluralismo istituzionale paritario e differenziato introdotta dal nuovo Titolo V il principio di adeguatezza costituisce il presupposto per l’assegnazione delle funzioni alla Città metropolitana per ricercare una maggiore corrispondenza tra area e funzioni metropolitane in una logica di specializzazione dell’azione dei governi che riconosce l’esistenza di specifici problemi del governo metropolitano e l’esigenza, rispetto a quelli del governo locale, di una maggiore capacità di svolgere tali funzioni, anche legati alla dimensione “troppo grande e troppo piccola dei comuni” e all’assenza di una differenziazione del loro regime giuridico.
Così dopo la riforma del titolo V, abbiamo tre enti territoriali, il Comune, la Provincia, la Città metropolitana che, a differenza dei Comuni, delle Province e delle Regioni, sarà costituita senza continuità territoriale e solo in particolari aree metropolitane. In particolare, la principale differenza con le Province in termini di territorio e popolazione dipende dal fatto che esse comprendono territori urbani e rurali.
Dunque, le Città metropolitane non sono più un istituzione eventuale per il governo delle aree metropolitane, ma sono riconosciute come un ente necessario inserito a pieno titolo nell’architettura costituzionale tra i livelli di governo territoriale. Tuttavia, dopo la sua approvazione non sono state attivate iniziative e procedure di attuazione di successo e la pluridecennale incertezza è continuata fino ad ora.
In pratica, gli interessi dei tre tradizionali livelli di governo, oltre ad alimentare il conflitto istituzionale, hanno influenzato l’azione del legislatore centrale, e contribuito a perpetuare la situazione di governo promesso della Città metropolitana. Vediamo per quali ragioni le Città metropolitane sono un innovazione necessaria all’interno di un processo di costruzione del federalismo che dovrebbe essere caratterizzato da efficienza, responsabilizzazione e semplificazione.
Una prima ragione, di ordine generale, è dovuta al fatto che nelle aree metropolitane si concentrano gran parte della popolazione, del prodotto interno lordo, del gettito fiscale e degli investimenti pubblici e privati del paese e nelle quali la frammentazione dell’organizzazione territoriale ed amministrativa è un problema di interesse nazionale ben più rilevante rispetto a quello della razionalizzazione dei piccoli comuni. Di fronte a decisioni di investimento e di localizzazione delle imprese multinazionali, la scala politico-territoriale più efficiente per attrarre investimenti ed assumere le decisioni relative alla tassazione locale e all’offerta dei servizi alle imprese, e quindi per competere, è quella metropolitana. Il vantaggio competitivo di un area metropolitana è legato anche alla capacità di proporsi nella competizione internazionale con le altre città come un attore unitario ed un decisore unico in grado di rispondere, verso l’interno (la popolazione residente e quelle non residenti) e l’esterno (gli investitori), alla domanda chi governa?
Una seconda ragione è dovuta al fatto anche dopo la riforma del titolo V, pur in presenza di una maggiore chiarificazione delle competenze tra Stato e governi territoriali, l’azione pubblica tra amministrazioni e livelli di governo, dovrà ancora dispiegarsi mediante le modalità negoziali, in forma di accordi, intese, contratti che hanno caratterizzato la produzione di politiche pubbliche a partire dagli anni Novanta. Tale modalità d’azione determina una duplice esigenza:
– di una integrazione orizzontale dell’azione pubblica a livello metropolitano, che dovrà costituire la missione principale delle Città metropolitane;
– di una integrazione verticale dell’azione pubblica a livello metropolitano riguardante le Città metropolitane, lo Stato, i suoi enti ed apparati decentrati.
Le Città metropolitane dovranno realizzare tali forme di integrazione, attraverso la ridefinizione delle competenze e delle funzioni, dei rapporti finanziari orizzontali e verticali tra diversi livelli di governo.
Vi è poi una terza ragione. Le Città metropolitane, possono fare meglio alcune “cose”. Per esempio migliorare la produzione e la regolazione di beni e servizi pubblici locali, realizzare una maggiore dimensione delle economie di scala, costruire politiche urbane più integrate ed una pianificazione solidale del territorio, aumentare gli investimenti pubblici e ridurre la loro duplicazione, ed esercitare il loro potere unitario nella negoziazione di accordi con gli apparati dello Stato in periferia nella realizzazione degli interventi di interesse nazionale, ad esempio in materia di infrastrutture di trasporto.
Poiché i vantaggi competitivi delle aree metropolitane dipendono anche dalle risorse istituzionali le Città metropolitane sono necessarie non solo per realizzare quanto disposto dalla Costituzione, ma per migliorare il posizionamento delle principali città nel sistema urbano europeo e in definitiva aumentare la competitività del sistema paese.
Indipendentemente dalla individuazione di confini ottimi l’attivazione delle Città metropolitane è necessario costruire, con modalità differenziate tra le diverse aree metropolitane, un livello di governo eletto direttamente che definisca le strategie e assicuri un esercizio unitario di alcune nuove funzioni a dimensione metropolitana, oltre a quelle della Provincia che andrebbe a sostituire.
È appena il caso di ricordare che i servizi occorrenti in un’area metropolitana differiscono, non solo dal punto di vista quantitativo, ma anche da quello qualitativo, rispetto ai servizi occorrenti ad un singolo comune.
Del resto, pur in assenza di soluzioni generalizzabili, forme di governo metropolitano sono diffuse in tutti i paesi europei.
Tuttavia, affinché la loro azione sia efficiente, l’allocazione dei compiti ad esse affidati dovrà fare riferimento a principi di economicità, differenziazione ed adeguatezza, tenendo presenti i problemi che determinano forti tensioni ed inefficienze nelle aree metropolitane, quali gli squilibri delle popolazioni presenti, di ricchezza e di dotazioni territoriali tra i comuni periferici e quello capoluogo, di risorse finanziarie e fiscali, la frammentazione delle competenze e dell’azione amministrativa e così via.
Il fatto che tradizionalmente esista in Italia un deficit di cultura e di azione di governo a dimensione metropolitana ha condotto ai numerosi fallimenti e “nulla di fatto”, dei tentativi di costruzione dei governi metropolitani. Tali risultati sono imputabili anche alla sottovalutazione del ruolo determinante delle risorse finanziarie e fiscali nel condizionare la nascita e la sopravvivenza dei governi metropolitani. È dunque necessaria la costruzione non della Città metropolitana come sostituzione automatica della Provincia, ma delle Città metropolitane, intese come livelli di governo che realizzino un integrazione dell’azione pubblica metropolitana, dotate di nuove funzioni e nuove risorse finanziarie e fiscali proprie, differenziate a seconda dei diversi ordinamenti regionali e delle aree metropolitane. Perché perdere altro tempo?

(rubrica a cura del Prof. Enrico Costa)

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