Primo giorno sui banchi: ieri, oggi e domani

banchi-scuola

Reggio Calabria. Settembre, è tempo di migrare da mari e monti verso le aule, verso la scuola. Ma, è davvero così? Davvero si continua a custodire gelosamente nello scrigno dei riti sociali quell’appuntamento che, tradizione vuole, segna l’inequivocabile fine dell’ozio estivo? No, non è rimasto nulla della sacralità del primo giorno di scuola perché nulla è rimasto dei segni distintivi di quella che per intere generazioni è stata la vera e, forse, unica agenzia di socializzazione.
Era dai banchi, dal cortile interno, dai capannelli che, anche oggi, affollano le strade adiacenti qualsiasi edificio scolastico, che cominciavano a snodarsi amicizie che sembravano costruite apposta per accompagnarci lungo tutti gli snodi della vita, nella gioia e nel dolore. La curiosità di conoscersi o di riprendere un filo che si era interrotto per mesi, questo era l’esordio del nuovo anno scolastico, uno spartiacque di una forza tale da riportare alla normale quotidianità bambini, adolescenti, famiglie e rapporti sociali. La solidità della tranquilla routine, fatta di complicità e antipatie mal celate, il desiderio di riconoscersi tra simili e di rafforzare quel legame capace di inventarsi un’identità, che discendeva dalla sezione di appartenenza, dalla scuola che si frequentava. L’orgoglio di appartenere ad una tribù, ad un clan che aveva gli stessi valori, le stesse ansie che, per tanti, ha avuto lo sbocco naturale del mare della vita e dell’età adulta da condividere. Era l’età delle timide scoperte e quale luogo dell’anima era migliore dei propri compagni di scuola, che nella corsa verso la maturità del cuore e del pensiero erano sempre o troppo avanti o troppo indietro rispetto a ciò che speravamo e credevamo che fossimo? Nonostante la velocità di crociera delle nostre vite fosse sottoposta ad un continuo tagliando, sapevamo tutti di essere sulla stessa grande nave che dava sicurezze e fragilità, ma era la nostra nave e tale la sentivamo nella sua eterna definitività.
Sono altre le vie che seguono, nella liquidità post-contemporanea, le comunicazioni interpersonali e gli effetti che ne derivano. Interpretarne lo spirito è esercizio che richiede vivacità negli occhi dell’intelletto. La pigrizia delle idee, al contrario, si ferma al moloch della “generazione virtuale”, additando al ludibrio pubblico, vetusto sepolcro dei pregiudizi, i “nativi digitali”, quasi si trattasse di un’ etnia altra da noi. Proprio come le culture, le etnie, i mondi che migrano da civiltà lontane per approdare nel mare magnum della nostra diffidenza, li respingiamo con furore, rifiutando la fusione di valori e orizzonti. Il virtuale è tracimato nel reale, ne ha assunto forme e sostanze. Fluidità, anche nelle relazioni tra simili, è questa la parola d’ordine.
Meglio sarebbe arrampicarsi sull’idea che oggi, come ogni anno, suonerà la campanella, ma non darà inizio a nulla che già non sia, non interromperà il continuo chiacchiericcio di una società che ha perso il gusto di sentirsi comunità e che, dunque, non ha, non può avere alcun titolo per salire in cattedra, un tempo metafora di austere barriere, oggi oggetto d’arredamento neanche tanto utile nell’epoca in cui le lezioni, si dice, dovrebbero essere anche visivamente impregnate di circolarità uguale e democratica.
E’ dall’esterno che non si trasmette più il fluido che consegnava autorevolezza all’istituzione e dall’esterno i messaggi che arrivano in questo avvio di anno scolastico sono carichi di una simbologia che non sa far altro che inquietare: pandemia e precarietà. Si coltiva con cura l’illusione di proteggersi, proteggendo chi non ha bisogno di filtri per non essere anestetizzato dall’ansia globale. La vivace incoscienza dell’età dell’oro di bimbi e imberbi fanciulli non merita di essere ingabbiata dalla paura di vivere degli adulti, loro sì, bisognosi di protezione perché attori protagonisti di un film il cui soggetto è la precarietà nelle sue forme cangianti del lavoro, dell’amore, della cittadinanza, dei rapporti sociali, della vita.

Nicola Martino

Exit mobile version