Il tempo, la storia e la memoria nelle due città dello Stretto

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La costruzione della Città Metropolitana di Reggio Calabria, ed in prospettiva della Metropoli dello Stretto, non può avvenire soltanto con lo sguardo rivolto al futuro, ma deve rappresentare un processo interpretato da una comunità pienamente e criticamente consapevole della storia del territorio e delle proprie profonde radici culturali.
È con tale premessa che questa settimana siamo lieti di pubblicare il recente importante contributo alla conoscenza storico-critica delle due città dello Stretto della Collega Francesca Paolino, valente storico dell’architettura presso l’Università Mediterranea di Reggio Calabria.

(E.C.)

Il tempo, la storia e la memoria nelle due città dello Stretto
di Francesca Paolino*

Il tempo costruisce la Storia e, contemporaneamente, ne distrugge le testimonianze.
Molte e variegate definizioni di ‘tempo’ provengono da pensatori e filosofi, tuttavia ciascun individuo potrebbe elaborare una sua soggettiva definizione di tempo scaturente da molteplici percezioni ed esperienze.
Si crede, tuttavia, che più di ogni altro, lo storico abbia una cognizione del tempo più realistica ed efficace; egli per passione e per mestiere misura il tempo e cerca di neutralizzarne gli effetti distruttivi che esso ha sulla memoria e sulle opere degli uomini: le opere realizzate per essere lungamente durevoli, se non proprio con la presunzione dell’eternità; la memoria affidata a documenti conservati e trasmessi attraverso gli archivi.
Dunque, lo storico ingaggia una singolare lotta contro il tempo che scorre, sbiadisce, scolora, smussa, lima, sfuma i contorni, fa dimenticare, etc. Quest’ultima considerazione è tanto più vera in un contesto territoriale come l’area dello Stretto, che ha perduto a più riprese i sedimenti e le stratificazioni che la Storia aveva impresso su città e territori a causa di terremoti catastrofici (1783, 1908), ma anche per l’incuria e l’ignoranza degli uomini.

Le città di Reggio e Messina unite e divise dal mare dello Stretto hanno avuto una storia comune per molti aspetti, sono state ugualmente colpite dalle catastrofi sopra citate ma si sono anche profondamente differenziate nella loro storia ‘singolare’.
Le due sponde dello Stretto e le loro vicende storiche cinquecentesche sono stati e continuano ad essere temi prevalenti e prioritari dell’attività di ricerca di chi scrive.
Il tema proposto per questo “evento” 2009 sollecita ovviamente uno sguardo all’indietro che riporti alla memoria l’estensione e la ricchezza di talune esperienze del passato, la cui conoscenza aiuta oggi a rendere più consapevole, saggia e illuminata qualsiasi politica culturale attinente il tema della pianificazione urbanistica.

Non può esserci comprensione profonda di una città, né dominio della sua forma urbis se non se ne conosce con accurata puntualità la storia, la sua evoluzione, i traumi che ha sofferto e ne hanno alterato la facies e, talvolta, ne hanno cancellato estesi brani ovvero la sua totalità. Anche in questo caso, la memoria sopravvive: per Reggio è Messina è stato così.
Quasi sempre la memoria può essere recuperata attraverso gli strumenti peculiari della storia (scavi archivistici, fonti letterarie, iconografie,…) che consentono una ricostruzione virtuale dell’insieme delle strutture componenti, del carattere complessivo della città, etc.; questo particolarissimo percorso che consente il recupero della memoria può diventare patrimonio culturale allargato e condiviso e non solo luogo e tema per esercitazioni intellettuali di pochi specialisti.

Messina raggiunge una straordinaria notorietà dopo la battaglia di Lepanto (7 ottobre 1571), poiché è dal suo porto che salpano le navi della flotta cristiana verso Oriente per combattere la flotta musulmana. Lepanto si rivela luogo di gloria per l’Occidente cristiano e momento di esaltazione per i condottieri: primo fra tutti Don Giovanni d’Austria e, a seguire, Marcantonio Colonna.
Dopo tale data, in molte iconografie storiche che celebrano l’evento, realizzate in modi e luoghi diversi e disparati vengono tratteggiati i caratteri peculiari della città (fisico-geomorfologici) e del suo porto naturale entro il quale sono raffigurate le navi della flotta cristiana.
A partire dal 1572, il Senato messinese promuove ed avvia un progetto ambizioso di rinnovamento della facies della città, una sorta di renovatio urbis che interesserà alcuni luoghi speciali dell’impianto urbano: la creazione di un percorso più ampio e rettilineo congiungente la piazza del palazzo reale e la piazza del duomo (sulla traccia dell’antica via Amalfitana, poi chiamata via Austria), la strada del Molo intitolata al viceré di Sicilia Marcantonio Colonna (anch’egli fra gli eroi di Lepanto), i lavori di sistemazione della piazza di San Giovanni di Malta e dei suoi dintorni, e, qualche decennio dopo, la cosiddetta Palazzata, ovverosia l’unitario e monumentale fronte a mare, distrutto purtroppo dal terremoto del 1783.

Numerose sono le esperienze precedenti che hanno potuto ispirare la concezione di un rinnovamento urbanistico e architettonico della città attuato per brani: qui basterà ricordare i celeberrimi interventi a scala urbana del primo Rinascimento (Pienza, Ferrara e la sua Addizione Erculea,…); mentre per l’ideazione di via Austria, ampia e rettilinea entro fitti reticoli viari medievali, basterà citare gli interventi di Bramante a Roma, commissionati da Giulio II (via della Lungara e via Giulia) avviati durante il decennio di pontificato del Della Rovere. Altri pontefici hanno contribuito con interventi parziali alla razionalizzazione ed al riordino di intere aree attraverso il ridisegno di percorsi di grande respiro, ampi e rettilinei, fino al Piano Sistino, ideato e attuato negli anni di Sisto V (1585-1590) che prefigura e indirizza l’espansione seicentesca della città, a partire da ragioni ideologiche (le strade dei pellegrinaggi alle sante basiliche entro un perimetro più ampio e articolato della città) e da ragioni di opportunità funzionale (la decompressione demografica dell’area entro l’ansa del Tevere).

Ancor prima, il progetto e il susseguente avvio della realizzazione della via Nuova a Genova (Galeazzo Alessi, dal 1551), potrebbe essere stato l’esempio paradigmatico per la ideazione della messinese via Austria, ideata, tuttavia, non solo come arteria lungo la quale dislocare i palazzi della nobiltà cittadina, con quinte stradali architettonicamente uniformi ma, piuttosto, quale percorso di ideale congiunzione dei poteri forti che governavano la città e il mondo occidentale: la Chiesa e l’Impero; simboleggiati egregiamente dal duomo e dal palazzo reale, come sopra accennato.

Un ruolo non secondario potrebbe aver avuto, ancora in funzione di modello, la sistemazione del Cassaro a Palermo (1567-68 e fino al 1581), capitale dell’isola alla quale Messina contendeva il primato dell’economia mercantile e, in buona misura, quello della cultura e delle arti.
Andrea Calamecca, scultore toscano che ricopre la carica di architetto del Senato messinese per circa venticinque anni (1575-1589) conduce il progetto e i lavori di un intervento assai complesso che avrà forse impulso risolutivo quando gli succederà nella carica Jacopo Del Duca (1520 C.-1600), architetto e scultore cefalutano, che torna in Sicilia preceduto da una straordinaria esperienza professionale e umana accanto a Michelangelo Buonarroti, a Roma e nel Lazio. Tra l’altro, egli porta viva nella memoria l’esperienza urbanistica sistina – avviata solo qualche anno prima del suo ritorno in Sicilia – i cui termini egli conosce molto bene, non fosse altro che per aver partecipato al famoso concorso per il trasporto e l’erezione dell’obelisco vaticano (concorso vinto, com’è noto, da Domenico Fontana).
Jacopo torna a Messina nel novembre del 1589; lavorerà alacremente per un decennio (muore nel 1600) nei maggiori cantieri della città e in numerosi altri del suo territorio, lasciando un’impronta di se e del suo magistero straordinariamente alta.
Sembra che, per esaltare il senso del nuovo tracciato di via Austria, Jacopo abbia fatto spostare di qualche metro – attraverso un’accurata opera di smontaggio e rimontaggio, evidentemente – la famosa fonte di Orione, realizzata da Giovanni Angelo da Montorsoli nel tempo della sua permanenza a Messina (1547-1557), affinché essa potesse assumere il ruolo di magnifico fuoco prospettico dell’asse viario per chi guardasse e procedesse lungo la strada Austria dal palazzo reale verso il duomo. Percorrendo all’opposto la strada, sarebbe stata la statua bronzea di Don Giovanni d’Austria, posta su uno slanciato basamento ornato di pannelli bronzei narrativi, a costituire l’altro fuoco prospettico.

Tracce consistenti di quella straordinaria stagione appartengono ancora alla città, nonostante i due grandi terremoti (1783, 1908), a dispetto dei piani di ricostruzione, e dopo le dispersioni finali della seconda guerra mondiale: si può ritrovare il tracciato di via Austria (ancorché privato dei suoi significati originari), si può ammirare la statua di Don Giovanni d’Austria, si può utilmente transitare e accostarsi al mare lungo l’antico percorso della strada del Molo, poi intitolata al viceré Marcantonio Colonna (1577-1584).
Una straordinaria iconografia storica che consente di cogliere le profonde trasformazioni dell’impianto urbano di Messina, a partire dal dopo Lepanto (1571) si ricavano dall’incisione di Placido Donia del 1644 (foto 1).
L’ampliamento ed il rafforzamento della strada Colonna, sono strettamente legate al tempo e all’operatività messinese di Jacopo Del Duca: la costruzione del palazzo Senatorio che rompe la robusta cortina muraria cittadina costruita a difesa della città, imprime una svolta assai significativa alle successive iniziative urbanistiche: il palazzo, forte nella configurazione e innovativo nel linguaggio, costituirà, com’è noto – e come bene illustrano gli studi di Nicola Aricò – il germe progettuale per la edificazione della celebre ‘palazzata’, ovvero il fronte architettonico a mare che per breve costituirà il volto di Messina per coloro che vi giungevano dal mare: ricco nel suo linguaggio unitario, ma non uniforme (il palazzo Senatorio e le due porte urbiche che lo affiancavano erano naturalmente le parti architettonicamente più pregiate), monumentale e unico anche per le premesse naturalistiche entro le quali si collocava (il bacino del porto, il territorio alle spalle della città, la presenza in lontananza dell’Etna,…) . Esso è stato demolito (1810) ma la preziosa e nota incisione di Francesco Sicuro ne ha conservato la memoria.

A Reggio, il XVI secolo, si svolge in sottotono, nonostante una non disprezzabile fioritura economica, che è anche riverbero della prosperità di Messina. La città calabrese e il suo territorio si arricchiscono di opere d’arte importate da dalla Sicilia, da Messina e da Palermo (di Antonello Gagini e della sua bottega, soprattutto) ma per ciò che concerne l’architettura e l’urbanistica, si produce poco: la città, racchiusa entro le mura urbiche, non muta sostanzialmente il suo volto. L’incisione di Francesco Cassiano De Silva (poi ripresa da G.B. Pacichelli, 1703) ne tramanda la configurazione; solo con la ricostruzione di fine Settecento la città avrà la sua “Palazzina” (esemplata sul più ragguardevole modello messinese), ovvero il fronte a mare architettonicamente unitario.

È il territorio reggino, piuttosto, a manifestare taluni episodi forti: basterà qui ricordare la straordinaria vicenda del feudo di Seminara, governato da Carlo Spinelli (m.1572), dal cui operato scaturirà una stagione felice e irripetibile. Di quella fioritura è rimasta una notevole raccolta di sculture di alta qualità e di varia committenza (anch’essa proveniente dalla Sicilia), ma soprattutto la fondazione della città di Carlopoli (oggi Palmi), la cui memoria fondativa e formale è ben conservata in un pannello scultoreo conservato (con altri) nel municipio, che raffigura l’entrata trionfale di Carlo V in Seminara nel 1535 (foto 2).

Questo pannello interessa qui per il suo valore documentale in quanto, con straordinario realismo, ritrae lo Stretto e le sue sponde; esso faceva parte, con altri tre, del monumento al duca Carlo Spinelli e si può supporre ragionevolmente che fosse simile nella configurazione a quello di Don Giovanni d’Austria a Messina, e perciò i quattro pannelli marmorei (bronzei a Messina) erano posti sulle facce di un basamento prismatico, anch’esso marmoreo, sormontato da una statua che ritraeva il duca.

Come accennato, nel quadrante superiore destro del pannello è raffigurata la nuova città (Carlopoli) fondata con caratteri precipuamente difensivi: l’impianto interno a scacchiera non contiene spazi vuoti o gerarchizzazione di strade, ma è circondato da mura che formano una figura quadrangolare, ai cui vertici sono posti quattro robusti baluardi a sperone; più in basso, a questo impianto fortificato posto in prossimità della linea di costa si affianca un insediamento spontaneo che rappresenta l’abitato dei contadini: la città reale (produttiva) e la città “ideale” (difensiva) restano entità concettuali e fisiche disgiunte.

Nonostante le semplificazioni, la cittadella fortificata si riferisce chiaramente al più ampio tema teorico svolto dalla cultura architettonica cinquecentesca (Cattaneo, Scamozzi, …) espresso attraverso modelli complessi, impostati su figure poligonali e con impianti interni molto articolati e gerarchizzati; per tutti basterà ricordare l’esempio di Sabbioneta, città di confine del ducato di Mantova, fondata e realizzata a cura di Vespasiano Gonzaga tra il 1560 ed il 1584 su progetto del senese Pietro Cattaneo.

L’essenza ippodamea di questa città cinquecentesca “ideale” è stata riproposta nell’impianto illuministico della nuova città (Palmi) ricostruita dopo il terremoto del 1783 ed è riconoscibile ancora ai nostri giorni. Comprovando così che, in tutto o in parte, la memoria sopravvive.

In realtà, nell’interessantissimo bassorilievo di cui si parla è concentrata una serie numerosa di temi inerenti il territorio dello Stretto, fra i quali, in sintesi, si indicano:
– l’immagine prospettica di Seminara, racchiusa entro robuste mura fittamente scandite da torri, due delle quali, bugnate, inquadrano la porta di accesso alla città. Entro le mura sono disposte case ampie e ben costruite, nonché un’ulteriore cittadella fortificata, il castello. All’opposto, sul profilo delle case, una torre robusta individua forse la dislocazione della chiesa madre.
– Non meno descritta è la costa siciliana: fra le curve sinuose delle due sponde dello stretto, come un grande fiume, scorre il mare solcato da fitte onde e gorghi. Di Messina è descritto, con essenziale veridicità, il porto falcato, nel quale si riconoscono il prospetto unitario delle mura ad esso prospicienti, la mole del palazzo reale e perfino la celebre Lanterna del Montorsoli. La città mostra il suo perimetro murato di forma quadrangolare irregolare; all’interno delle mura, fra le costruzioni fitte si staglia una torre molto alta e robusta che domina l’abitato ma non ha relazione con il mare ed il porto; in essa è rappresentata forse la torre campanaria del duomo normanno. Lungo la costa, verso nord, è segnata punta Faro con la sua torre e poi Capo Milazzo ed un tratto di costa ulteriore.
– Nell’entroterra, dietro punta Faro, si rilevano i tratti di un insediamento a matrice ippodamea, nel quale si potrebbe riconoscere forse Rometta, centro demaniale di grande importanza strategica nel periodo viceregnale, fungente da cerniera fra il territorio di Messina ed i feudi del suo distretto.

Dunque, in un luogo insospettato si recupera una singolare e illuminante iconografia storica inerente gli straordinari territori dislocati sulle sponde dello Stretto calabro-siculo ritratti presumibilmente negli ultimi decenni del XVI secolo.

*Francesca Paolino è Professore Associato di Storia dell’Architettura presso la “Mediterranea”

Riferimenti bibliografici essenziali:
* Francesca Paolino, Giacomo Del Duca: Le opere siciliane, Società Messinese di Storia Patria Ed., Messina 1990.
* Nicola Aricò, Un’opera postuma di Iacopo Del Duca: il Teatro marittimo di Messina, in “Storia dell’Urbanistica/Sicilia III” (L’urbanistica del Cinquecento in Sicilia), a cura di A. Casamento e E. Guidoni, Edizioni Kappa, Roma 1999, pp.172-193.
* Giacomo Del Duca, L’arte dell’edificare, manoscritto 29 F.V. della Biblioteca Regionale Universitaria di Messina, Trascrizione commento e note di Francesca Paolino, Introduzione di Sandro Benedetti, Società Messinese di Storia Patria Editrice, Messina 2004, 330 pagine.

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