Urbanistica. Copenhagen: tutto cambia a patto che tutto rimanga com’è!

Come anticipato a margine del suo contributo “Cambiamenti climatici e sostenibilità: uno sguardo su Copenhagen” pubblicato il 10 dicembre 2009, prima della Conferenza di Copenhagen sul tema dei cambiamenti climatici (7-18 dicembre 2009), l’Urbanista Federico Curatola (http://federicocuratola.blogspot.com/), Dottorando in “Pianificazione territoriale” all’Università Mediterranea di Reggio Calabria, propone ai Lettori della Rubrica “Urbanistica e Città Metropolitana” un commento sui risultati del summit mondiale.
Si segnala nuovamente l’impegno del Dott. Federico Curatola nel sito web “UrbanistiCalabria: Ambiente, Urbanistica, Pianificazione del Territorio” (http://www.urbanisticalabria.com/) sulle tematiche dell’urbanistica e del governo del territorio, fondato con gli urbanisti Beniamino Cordova ed Antonio Mancuso.

(E.C.)

Copenhagen: tutto cambia a patto che tutto rimanga com’è!
di Federico Curatola

A Copenhagen il Mondo ha salvato le apparenze, ma non il clima. Dopo 12 giorni di trattative tra 193 paesi, l’accordo raggiunto accontenta tutti e nessuno.
A partire da quello che ha rappresentato il simbolo di questa conferenza, Tuvalu, il piccolo Arcipelago nel Pacifico che stando così le cose rischia davvero di affondare sotto l’effetto dei cambiamenti climatici. Accorato l’appello del primo ministro di quell’arcipelago che ha strappato un lungo applauso e commosso ancora una volta la platea dei “grandi del mondo”.
Ma gli stessi “grandi” nell’intesa raggiunta dopo una maratona di conferenze e dibattiti, hanno omesso di far minimamente accenno agli obiettivi di riduzione delle emissioni di gas serra, né a breve, né a lungo termine.
Il documento che è passato è in pratica la bozza preparata da USA, India, Cina e Sudafrica per superare lo stallo in cui era piombato il vertice. E considerando i PIL e le culture di queste nazioni, si può facilmente ipotizzare che non abbiano partorito una strategia “verde” per il futuro del Pianeta.
I punti cardine del documento sono la soglia dei 2°C come aumento massimo delle temperature e i fondi che verranno stanziati per incrementare le tecnologie “verdi” nei Paesi in via di Sviluppo: 30 miliardi di dollari tra il 2010-2012 fino ad arrivare a 100 miliardi di dollari entro il 2020. Calcolando che la prima bozza messa sul piatto dalla Danimarca all’inizio della Conferenza parlava di 10 miliardi, non si può negare il passo avanti.
Ma un forte fortissimo dubbio rimane sul vero punto cruciale della Conferenza: l’obiettivo di riduzione di CO2. Su questo fronte tutto è stato rimandato ad un futuro vertice che probabilmente sarà in Messico.
Ed è qui che emerge la scarsa incisività della Conferenza di Copenhagen. Si era capito dal discorso di Obama che aveva chiaramente ammesso che era necessario “accettare un accordo imperfetto”, lasciando intendere che alla fine del vertice non sarebbero arrivati nuovi impegni e neanche il tanto atteso miracolo che in molti speravamo.
L’epilogo ha visto un incontro fuori programma tra Usa, India, Cina, Brasile e Sudafrica dal quale è scaturita la bozza poi presentata al Mondo.
Ma l’Europa? Delusa. Molto delusa di un accordo che non ha tradotto in pratica le speranze degli Stati Membri. Ma la diplomazia è d’obbligo in questi casi, così un portavoce fa sapere che “l’accordo raggiunto è meglio di nessun accordo e mantiene vive le speranze”.
Anche per le associazioni ambientaliste, l’accordo giunto alla fine del vertice danese è deludente poiché non in un solo punto si parla di “obbligatorietà degli accordi”, il che in pratica non vincola nessun Paese a rispettare quanto stabilito.
E l’Italia? Un caso davvero singolare. La stampa italiana ha riportato che il Ministro dell’Ambiente Stefania Prestigiacomo ha battuto i pugni sui tavoli della Conferenza di Copenhagen battendosi per un accordo più incisivo sull’abbattimento della CO2 e sugli altri impegni.
Ma c’è un’autorevole voce che afferma che l’Italia a Copenhagen abbia fatto tutto il contrario. Greenpeace infatti ha denunciato le posizioni assunte dal nostro Paese nel contrastare la decisione europea di innalzamento degli impegni unilaterali al 30%.: “Regno Unito, Germania e Francia hanno chiesto il miglioramento dell’obiettivo, ma si sono scontrate contro il muro dell’Italia”, è quanto si legge in un comunicato.
E c’è poi un’altra “verità” a confermare che all’Italia, degli accordi o del vertice mondiale, non importa più di tanto, ed è la concessione, in dirittura d’arrivo, dell’autorizzazione ambientale integrata per la Centrale a Carbone di Saline Joniche.
Tonnellate di CO2 che di certo non aiuterebbero l’Italia a raggiungere gli obiettivi di riduzione fissati e che, in chiave locale, sarebbero una iattura per una Città Metropolitana come Reggio che ha come obiettivi il turismo e la sostenibilità ambientale.
In questo particolare momento la governance locale è chiamata alle sue responsabilità: contrastare questa imposizione calata dall’alto come i disastrosi interventi a pioggia degli anni ’70 (Liquichimica-Gioia Tauro) che hanno stravolto l’assetto-socio-culturale ed ambientale di un’intera provincia, oppure lasciare che si continui a mortificare il territorio e che si disprezzi la vita, tradendo nuovamente le speranze delle nuove generazioni che immaginano Reggio Calabria, Città Metropolitana, polo culturale e turistico d’eccellenza nel Mediterraneo, piuttosto che vederla morire sotto un cielo plumbeo in cui svettano ciminiere, tralicci e fumi densi e nocivi.

(rubrica a cura del Prof. Enrico Costa, ecosta@unirc.it)

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