Considerazioni giuridiche sull’Area Metropolitana dello Stretto

Abbiamo chiesto a Giuseppe Lombardo, Avvocato del foro di Reggio Calabria, Docente di Diritto processuale civile presso la Scuola di Specializzazione per le Professioni Legali dell’Università degli Studi “Mediterranea”di Reggio Calabria ed Assessore tecnico presso il Comune di Bagnara Calabra, Autore del pregevole saggio dal titolo “La natura giuridica della Città e dell’Area Metropolitana: l’Area Metropolitana dello Stretto?”, pubblicato in AA. VV., a cura di Felice Manti,“Reggio Calabria crocevia del Mediterraneo”, Città del Sole Editore, Reggio Calabria 2009, di riproporre il proprio interessante punto di vista ai Lettori di “Urbanistica e Città Metropolitana”.

(E.C.)

Considerazioni giuridiche sull’Area Metropolitana dello Stretto
di Giuseppe Lombardo

In base all’impianto originario della legge n. 142/90 (oggi abrogata) e in particolare, all’art. 18, l’amministrazione dell’Area Metropolitana si articola in due distinti livelli di governo, uno dei quali è costituito dalla “Città metropolitana” e l’altro dai “Comuni” dell’area medesima.

Posto che sino all’entrata in vigore della Costituzione il sistema delle Autonomie locali è stato imperniato solo sui Comuni e sulle Province, l’Area e la Città metropolitana non costituirebbero un nuovo ente. Tuttavia le opinioni espresse in letteratura in ordine al modello discendente dall’assetto di governo prescelto dal legislatore nazionale non sono unitarie, oscillandosi tra la posizione di chi ritiene che si tratti di un ente nuovo e quella di chi, all’opposto, lo esclude. E non è mancato chi ha prospettato anche dubbi di costituzionalità. La Corte costituzionale, nel pronunciarsi sulla costituzionalità degli artt. 19, 20 e 21 legge regione Sicilia 6 marzo 1986 n. 9, con sentenza n. 286 30/7/97, ha ritenuto che il modello di governo dell’Area Metropolitana prescelto dalla Regione Sicilia sia di tipo “funzionale”. Un modello, dunque, basato su di un coordinamento funzionale delle competenze di enti già giuridicamente esistenti – senza, dunque, che ne siano istituiti di nuovi – sicché la gestione di materie rilevanti di interesse sovra-comunale nell’ambito di «una vasta area», viene affidata ad una istituzione già esistente. Ove si trasponga sul piano della legislazione nazionale il criterio enucleato dalla consulta, dunque, l’assetto prescelto dal legislatore nazionale potrebbe essere reinterpretato nei termini di un mero “riassetto istituzionale”.

Ma in senso opposto vi è chi sostiene che la legge n. 142/90 abbia prescelto una soluzione di tipo “strutturale”, creando pertanto un ente locale nuovo, non previsto dalla Costituzione. In quest’ottica la Città Metropolitana costituirebbe una nuova istituzione, di «secondo livello», alla quale, oltre alle funzioni di competenza provinciale, sono attribuite anche altre funzioni, normalmente esercitate dai Comuni.

Altri ancora – sebbene si siano pronunciati prima della entrata in vigore della L. cost. 18 ottobre 2001, n. 3 – hanno sostenuto che già dalla lettura congiunta degli artt. 114, 118 comma 1° e 2° (rectius 3°) e 130 Cost. si potesse ritenere ammissibile la esistenza di un nuovo ente territoriale, non rinvenendosi in tali norme alcun divieto in tal senso.

Di conseguenza le Città Metropolitane potrebbero essere qualificate come enti locali di secondo grado, strumentali all’esercizio di funzioni amministrative delegate a Province e comuni, rappresentativi di interessi aventi il proprio punto di riferimento nel territorio, al pari di quanto avviene per le Comunità Montane.

Alla luce di quanto fino a qui sintetizzato, va altresì precisato che in seno al secondo indirizzo richiamato, vi è chi individua nell’Area Metropolitana, così come nella Città Metropolitana, semplicemente un nuovo ente locale, senza ulteriori qualificazioni, mentre altri più esplicitamente lo qualificano alla stregua di nuovo ente locale territoriale.

La vera novità, in effetti, interviene solo con il T.U. delle leggi sull’ordinamento degli enti locali, approvato con D. lgs. 18 agosto 2000 n. 267, il cui art. 2 classifica, sia pure ai soli fini del T.U. medesimo, «le città metropolitane» come enti locali. Sono tali, nell’ordine, “Comuni, Province, Città metropolitane, Comunità montane, Comunità isolane ed Unioni di Comuni”.

Tale definizione offerta dal legislatore, sebbene non sia certamente idonea a fornire sul piano formale un contributo decisivo al fine di inquadrare la nuova istituzione nel sistema, quantomeno ha rappresentato un passo apprezzabile compiuto nella direzione di una vera e propria qualificazione giuridica. Ossia la qualificazione cui si può ritenere di essere giunti con la riforma costituzionale di modifica del “Titolo V della parte seconda della Costituzione”. Riforma, questa, nell’ambito della quale il testo novellato dell’art. 114 qualifica espressamente le «Città metropolitane» come “enti autonomi con propri statuti, poteri e funzioni”, ponendole sullo steso piano di “Comuni, Province, Regioni e Stato”. Più esattamente, esse sono situate ad un livello intermedio tra Province e Regioni, riconoscendo loro, tanto autonomia statutaria, tanto poteri e funzioni – sia proprie, secondo principi fissati dalla Costituzione, sia delegate – quanto, infine, autonomia finanziaria “in armonia con la Costituzione e secondo i principi di coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario” e “compartecipazione al gettito di tributi erariali riferibile al loro territorio”.

È evidente, dunque, la completa parificazione con Comuni e Province, sia a livello formale che sostanziale, ma è altresì chiaro che il modello di governo delle arre metropolitane prescelto in Costituzione sia di tipo strutturale e che i relativi organi di governo sono da qualificare come “enti pubblici territoriali forniti di personalità giuridica di diritto pubblico” anche ai sensi della seconda parte dell’art. 11 c.c. Si è, in conclusione, in presenza di un ente locale territoriale del tutto identico, sotto il profilo della qualificazione giuridica, a Comune e Provincia, ma nuovo e distinto rispetto ad entrambi in rapporto alle funzioni che esso è destinato ad esercitare.

Ciò posto, se si volge lo sguardo specificamente all’Area Metropolitana dello Stretto, al fine di interrogarsi sulla effettiva possibilità di una costituzione della stessa, apparirà come indiscutibile il fatto che le città di Reggio di Calabria e Messina, con i relativi hinterland, siano caratterizzate da una serie di elementi che ne fanno un’area vasta nel senso specifico che è proprio dell’area metropolitana. E tuttavia la possibilità concreta di una sua costituzione appare ancora lontana.

Le caratteristiche ambientali delle due città, che si specchiano entrambe sul mare, sono del tutto similari e la contiguità territoriale, dato indiscusso, vede le due città separate da un tratto di mare di pochissimi chilometri, già da tempo di “facile” attraversamento e di cui si prevede il collegamento stabile attraverso la realizzazione di un «ponte», primo concreto prodromo della creazione di un’unica area. Peraltro, oltre ai sempre più intensi intrecci sociali e culturali, gli scambi tra le due città si estendono alle professioni intellettuali e, più in generale, ad ogni aspetto della vita economica e sociale, al punto che lo sviluppo delle due città è stato per anni individuato da ambo le parti nella loro “conurbazione”.

Ma, di fatto, il progetto non ha mai conosciuto una fase attuativa, forse perché l’appartenenza geografica a Regioni diverse, sia pure con importanti tratti di storia in comune, le colloca su versanti comunque diversificati, pur se non contrapposti. Regioni, queste, dotate invero di diversa autonomia – reale punctum dolens nell’ottica del realistico progetto giuridico di unificazione – in quanto la Regione Calabria rientra tra le autonomie regionali a statuto ordinario, mentre la Sicilia fruisce di potestà legislativa esclusiva avente valore di fonte super-primaria. Autonomia speciale, ovviamente, tenuta presente anche in sede di legislazione in tema di ordinamento degli Enti locali e di “aree metropolitane”.

È innegabile che la differente caratura della fonte primaria regolatrice dei poteri istituzionali abbia costituito – e ancora costituisca – un significativo elemento di differenza rispetto a qualsiasi altra “area vasta”, che incide sul sistema progettuale e attuativo con riguardo alla concreta possibilità di una costituzione giuridica dell’area dello Stretto.

Non si vogliono qui tacere gli sforzi comunque profusi in questa direzione – si pensa, in particolare, al disegno di legge regionale calabrese n. 142/2006, ma anche al disegno di legge (statale) n. 1464 del 2007 – tuttavia, la nascita di un sistema istituzionale integrato dello Stretto sconta palesemente il peso di tale elemento.

È da auspicare che le due città si sappiano rendere protagoniste di un percorso di tipo associativo, magari sul modello spagnolo (in particolare, di Barcellona), capace di sfociare in un coordinamento funzionale dei servizi d’interesse comune affidato ad un organo di rappresentanza indiretta da esse stesse espresso in forza di una legge conforme delle due Regioni.

E, come ultima alternativa, dovendosi necessariamente salvaguardare l’autonomia speciale siciliana, non resterebbe che il riconoscimento all’area dello Stretto di uno status speciale, da disciplinare non solo con legge dello Stato – come già si è previsto per Roma – ma con legge costituzionale.

Si ritiene di potere concludere con un’ultima annotazione che, si vuol credere, stigmatizza lo spirito propulsivo, per i motivi sopra esposti, che coinvolge anche le sfere istituzionali centrali: la previsione contenuta nella legge delega n. 42 del 5 maggio 2009, della Città Metropolitana di Reggio Calabria – la quindicesima – in aggiunta a quelle precedentemente individuate.

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