Trasporto pubblico e pianificazione urbana: problema di governance

Questa settimana abbiamo il piacere di offrire agli attenti lettori della Rubrica “Urbanistica e Città Metropolitana” il prezioso contributo dell’Ing. Vincenzo Filardo, oltre che attento osservatore dei fenomeni territoriali in generale e dell’agglomerazione reggina e del “sistema stretto” in particolare, autentico protagonista, pur se in mezzo a mille immaginabili difficoltà, del trasporto pubblico urbano, quale Direttore Generale A.T.A.M. SpA (Azienda Trasporti per l’Area Metropolitana) di Reggio Calabria.

(E.C.)

Trasporto pubblico e pianificazione urbana: problema di governance
di Vincenzo Filardo

Finalmente riesco a sciogliere un pesante debito verso il prof. Enrico Costa, quello di essermi impegnato sin dallo scorso mese di agosto a fornire una riflessione sul tema del trasporto pubblico nell’area urbana di Reggio Calabria, che, come è noto, ambisce ad assumere, sia pur in un ambito più vasto che è quello provinciale, la funzione di Città Metropolitana.
Ne parlammo assieme in una piacevole serata ospiti di un dibattito in riva allo Stretto. E d’altra parte il mondo del fare, anche del fare servizi pubblici come nel mio caso, che eviti di misurarsi con il mondo della conoscenza e della ricerca rinuncia per definizione all’innovazione, va in obsolescenza, perde in competitività, entra nel tunnel della crisi ed è destinato a scomparire oppure, per sopravvivere, ad essere attaccato e dipendere dal circuito sempre più esile della contribuzione di stato, che non possiamo più permetterci.
Mantenere invece acceso il confronto tra questi due mondi rappresenta una delle possibili chiavi per superare una crisi complessa con cui ampi territori di questo Paese e del Mezzogiorno stanno già facendo i conti (vedi i casi Fiat di Termini Imerese o della Medcenter a Gioia Tauro), una crisi che sia pur in misura diversa tocca il settore privato e quello pubblico e che in questa fase viene a sommarsi ad un generale decadimento dei comportamenti della politica e dell’amministrazione che, a loro volta, producono disorientamento e sfiducia. È in questo clima che occorre interrogarsi, parlare, discutere, creare le condizioni per recuperare e valorizzare il patrimonio civico dei nostri luoghi, difendere e tenere in piedi la rete delle infrastrutture educative e scientifiche, dei pochissimi plessi produttivi migliorandoli e connettendoli di più con il resto del mondo. Ed è giusto per queste ragioni – mi sia permesso di aggiungere – che ho sempre apprezzato lo spirito e lo stile di Enrico Costa e la sua presenza nell’Università di Reggio.
E veniamo al tema. Quest’area dispone di un sistema di trasporto comprendente tutte le modalità di spostamento (aereo, terrestre e marittimo) ma la sua collocazione geografica (una delle aree a maggiore rischio sismico posta al centro del Mediterraneo) genera una forte interdipendenza del suo sistema socio-economico con il livello di vulnerabilità e/o di efficienza del sistema di accessibilità, di persone e di merci.
In occasioni anche recenti, ad esempio nel corso delle celebrazioni del centenario del terremoto del 1908, abbiamo avuto modo di valutare i notevoli rischi a cui sarebbe esposto il nostro sistema infrastrutturale ed insediativo rispetto ad un sisma: le prime zone soggette a collasso sarebbero giusto quelle a ridosso degli svincoli della tangenziale di Reggio con conseguente isolamento della città rispetto alle comunicazioni stradali.
Un altro esempio significativo di vulnerabilità – e mi è capitato di richiamarlo in diverse occasioni – interverrà all’atto del trasferimento del deposito dell’ATAM nel complesso polifunzionale di Mortara che comprende anche il mercato ortofrutticolo, a sud della città. Ebbene in presenza di un’unica asta di collegamento ad elevato livello di congestione nelle fasce di punta, la S.S.106, un qualsiasi blocco della circolazione impedirà ai mezzi pubblici di raggiungere l’area urbana con la conseguenza di privarla di regolari servizi automobilistici.
E l’elenco potrebbe continuare: basterebbe ripercorrere le scelte/non scelte insediative e infrastrutturali degli ultimi 40 anni, dagli anni ’70 ad oggi, per rappresentare ancor più efficacemente come il declino di un sistema territoriale si è venuto ad accompagnare con una progressiva riduzione, e a volte abbandono delle reti e dei servizi di comunicazione: si pensi rispetto ai piani di FS dei primi anni ’70 con lo stabilimento per la grandi riparazioni di Saline Joniche al successivo smobilizzo del compartimento ferroviario di Reggio Calabria iniziato dagli anni ’80 e pressoché completato, alla forte riduzione dei collegamenti ferroviari sulla linea ionica e di quelli marittimi con la città di Messina, alle condizioni di disagio e di rischio venutesi a creare in tutti questi anni e tutt’ora in atto per il protrarsi dei lavori sull’A3, da Salerno a Villa San Giovanni.
In un panorama nient’affatto lusinghiero non possiamo trascurare alcuni episodi, sia pur limitati ma significativi di politiche di sistema. Il primo, all’inizio degli anni ’90, riguardò un accordo di programma tra il Ministero dei Trasporti, le FS, i comuni di Messina, Reggio e Villa San Giovanni per la razionalizzazione e l’ammodernamento degli attraversamenti marittimi e che purtroppo si esaurì con alcune opere stradali a Messina (svincoli di Annunziata e di Giostra) e a Reggio (allungamento della pista dell’aeroporto) per l’assenza di adeguate iniziative progettuali a livello locale e per una scarsa disponibilità di risorse a livello centrale.
Il secondo, molto più recente, di qualche anno addietro ha riguardato l’istituzione nella finanziaria del 2007 (governo Prodi) di un fondo per la cosiddetta Emergenza A3 su iniziativa dell’allora Ministro Bianchi: circa 100 milioni di euro destinati al potenziamento del trasporto ferroviario e marittimo nell’area dello Stretto per alleggerire i volumi di traffico, soprattutto merci, che interessano il tratto autostradale da Villa a Rosarno sottoposto ad interventi di ammodernamento di notevole entità. In quest’ambito, ad esempio, hanno trovato spazio il potenziamento dei servizi ferroviari sulla linea Melito-Reggio-Gioia e la cosiddetta metropolitana del mare per i collegamenti tra le due sponde.
Molte sono le ragioni di una nostra storica difficoltà a sviluppare politiche e progetti di sistema anche nel comparto delle comunicazioni e dei trasporti; vorrei invitare il prof. Enrico Costa a immaginare qualche occasione di confronto e di approfondimento del tema. Ho riflettuto a lungo rispetto ai diversi tentativi con cui mi sono cimentato nella pubblica amministrazione alle varie scale, da quella nazionale a quella locale e non è facile trovare una sintesi.
C’è sicuramente un problema di approccio all’idea stessa di piano (ho visto sovente circolare significati ed usi impropri), c’è inoltre un problema di governance (un piano va interpretato, va tradotto in scelte coerenti), e la governance, come sappiamo, attiene alla sfera politica e al sistema di regole che si assumono. Ma, a mio avviso, andrebbe posta l’attenzione su di una circostanza, tutta locale che ha contribuito ad inibire nel tempo un progetto organico d’integrazione di quest’area, a partire dai trasporti: la lunga disputa tra favorevoli e contrari al ponte e soprattutto l’idea che l’attraversamento stabile fosse la chiave di volta per realizzare un integrazione.
Posso dire invece che il miraggio del ponte ha pesato non poco negli anni passati nel derubricare iniziative e progetti legati al miglioramento-adeguamento del trasporto locale tra le due sponde con gli oltre 12.000 pendolari tra Reggio, Villa San Giovanni e Messina. E oltre al ritardo di servizi pubblici nel frattempo accumulato, la conseguenza è che i livelli di governo e la società locali si sono posti in una condizione di netto svantaggio in termini di riparto tra costi e benefici, rispetto a scelte e a decisioni che, in caso di un’effettiva realizzazione dell’opera come più volte prospettato dall’attuale governo, verranno ad essere prese in sede nazionale.
La storia del grande porto di Gioia Tauro non può non averci insegnato niente: una grande opera pensata per una prospettiva di crescita della siderurgia nazionale, idea del tutto estranea al contesto produttivo locale e al mercato, riconvertito dopo anni di abbandono e affidato ad un imprenditore genovese per attività di solo “transhipment”: un cospicuo investimento pubblico che, al netto dei 1200 posti di lavoro in questo momento a rischio essendo già in atto la cassa integrazione per 300 unità, rimane sostanzialmente estraneo rispetto all’economia e alla società calabrese, almeno a quella sana. E la costruzione del ponte sullo Stretto, anche in ragione della sua elevata complessità (non si dispone al momento del progetto esecutivo dell’opera!) non può essere la replica di una storia sofferta come quella prima riportata e già vissuta.
Ma allora urge avanzare una proposta che rompa questa sorta di attendismo e di dipendenza da decisioni prese in alto. Urge un progetto integrato per le comunicazioni in quest’area che sia capace di anticipare e di comprendere la prospettiva dell’attraversamento stabile, che per la sua effettiva funzionalità richiederà un contesto di servizi, di attività e di organizzazione sicuramente ben diverso da quello attuale, se non vogliamo che sia l’ennesima “cattedrale nel deserto”.

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