Domani l’associazione Anassilaos rende omaggio a Jean Michel Basquiat

Reggio Calabria. “Jean Michel Basquiat, tragedia di un artista ‘maledetto’ nella Grande Mela” è il tema dell’incontro promosso dall’associazione culturale Anassilaos che si terrà martedì 26 ottobre alle ore 18,00 presso la Sala di San Giorgio al Corso in sostituzione della manifestazione dedicata alla figura di Gramsci rinviata, per indisponibilità del relatore, a martedì 23 novembre. L’associazione Anassilaos Giovani, con la realizzazione di un video, curato da Giacomo Marcianò e l’intervento di Stefano Iorfida e Tito Tropea, rende così omaggio, nel 50° anniversario della nascita (22 dicembre 1960), ad uno dei più controversi artisti statunitensi della seconda metà del Novecento, la cui tragica morte per overdose di eroina (12 agosto 1988) ad appena ventisette anni ne ha fatto il prototipo di artista maledetto al pari di quei musicisti che egli amava (Charlie Parker, Jimy Hendrix, Janis Joplin). Al di là, comunque, del cliché dell’artista dalla vita dissipata, trascorsa tra eccessi d’ogni genere che lo hanno condotto ad una morte tragica e prematura, restano oggi l’uomo e soprattutto l’artista che, più d’ogni altro, ha contraddistinto la vita e la cultura della New York degli anni Ottanta. Basquiat con la sua pittura, coincidente con una esistenza tragica, nella quale confluivano elementi sia caratteriali e familiari che razziali (il contrasto con il padre, nativo di Haiti e il positivo rapporto con la madre, di origine portoricana, il suo esser nero in una società dove ancora vigeva il razzismo), si è trovato ad operare nel momento in cui la pop art, che aveva in Andy Warhol il suo rappresentante più conosciuto, era entrata in crisi e dall’Europa giungeva una pittura, poi definita “neoimpressionismo”, più attenta ad esprimere attraverso il colore le emozioni e le crisi esistenziali dell’individuo, in aperto contrasto con le forme, ormai algide, della Pop Art. Nello stesso tempo l’affermazione, nel 1980, di Ronald Reagan e della sua politica economica, improntata alla più assoluta deregulation (reaganeconomics), creò una enorme ricchezza, sia pure effimera, che indusse molti a investire in maniera cospicua sull’arte che diveniva una merce di scambio al pari di un qualsiasi altro prodotto. In tale contesto si innesta anche il ruolo di alcuni geniali galleristi che, operando tra le due sponde dell’Atlantico, intercettano sia il nuovo nell’arte che l’opportunità di convogliare su di essa cospicui investimenti. Nasce così un giro vorticoso di arte e affari di cui Basquiat diviene una vittima consapevole. Emilio Mazzoli, che per primo realizzò in Italia una mostra di Basquiat, Annina Nosei, Bruno Bischofberger, Mary Boone, furono coloro che lanciarono l’artista e ne rappresentarono le fortune, gestendone sia l’ascesa che la caduta. Essi non i vendevano soltanto le sue tele ma l’artista stesso, con la sua genialità e gli eccessi caratteriali. La Nosei conduceva gli acquirenti nello studio di Jean Michel, ospitato per qualche tempo sotto la stessa Galleria d’Arte, per mostrare il prodotto e nello stesso tempo l’artefice. “Non si tratta più di collezionare arte- scriveva Rene Ricard- ma di comprare individui”. Così Basquiat, che aveva talento e il desiderio di sfondare (“Da quando avevo 17 anni, ho sempre pensato che sarei diventato una star”), dopo la sua esperienza di ‘graffitaro’ per le strade di New York dove si firmava Samo (“SAMe Old Shit” cioè, “la solita vecchia merda”), dopo le cartoline vendute per un dollaro, la miseria e saltuariamente anche la prostituzione, diviene improvvisamente la stella dell’arte americana in quella New York brillante di vita notturna e di club esclusivi cui Andy Warhol aveva imposto quel tono mondano e glamour che univa arte, moda, musica. Il ragazzo nero, figlio di un haitiano, che già famoso non osava fermare per strada un taxi, si trovò così al centro di un giro vorticoso, più economico che artistico, che ne sfruttava il talento e da cui egli tentò, ma vanamente, di districarsi; un giro nel quale tutto ci consumava in fretta, arte, moda e uomini e si rischiava soprattutto d’essere abbandonati e dimenticati non appena il pubblico e gli acquirenti avessero cambiato gusto. Ciononostante Basquiat riuscì a trasferire nelle sue opere il suo mondo, le sue radici haitiane, il disagio esistenziale, l’attenzione alla condizione dei neri d’America, la sua ossessione della morte e insieme gli elementi di quella stessa cultura americana, i suoi miti e i suoi stereotipi. Gli ultimi anni furono duri. Il suo amico Vincent Gallo, che lo incontrò nel luglio del 1988, pochi giorni prima della morte, scrisse “che aveva piaghe aperte su tutta la faccia. Aveva un aspetto veramente tremendo”. Alla morte seguì una sorta di oblio critico anche se le sue opere continuano ad essere battute nelle diverse aste a milioni di dollari. L’anniversario della nascita sta comunque producendo un rinnovato interesse verso la sua opera. Dal 15 ottobre 2010 al 30 gennaio 2011 il Museo d’Arte Moderna de la Ville di Parigi dedica a Basquiat una mostra alla retrospettiva dalla quale è lecito aspettarsi un inquadramento della sua arte al di là degli eccessi collezionistici. “I saw the best minds of my generation destroyed by madness, starving hysterical naked, dragging themselves through the negro streets at dawn looking for an angry fix” (Ho visto le menti migliori della mia generazione distrutte dalla pazzia, affamate, nude isteriche , trascinarsi nelle strade, all’alba in cerca di droga) scriveva Allen Ginsberg nella poesia Howl e sono versi che rendono ragione di una tragedia generazionale che ha travolto gli Stati Uniti offendo però al mondo un’arte, una letteratura, una poesia autentica capace di frugare negli abissi dell’uomo.

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