Lo spazio rurale quale nuova centralità metropolitana

Giuseppe Bombino, docente presso la Facoltà di Agraria e ricercatore universitario presso il Dipartimento di Scienze e Tecnologie Agro-Forestali ed Ambientali dell’Università “Mediterranea” di Reggio Calabria ci invita a riflettere sui nuovi termini del rapporto città campagna nell’innovativa e dinamica prospettiva del processo di costruzione della città metropolitana.

(E.C.)

Lo spazio rurale quale nuova centralità metropolitana

di Giuseppe Bombino

Il rapporto città-spazio rurale ha avuto una sua connotazione paradigmatica sin dai primi “sinecismi” urbani (dal greco syn-oikismós che indica, letteralmente, “l’elezione di un domicilio comune” e sintetizza tutti quei processi che hanno condotto alla fondazione di residenze collettive da parte delle diverse popolazioni).

In passato lo spazio rurale (dal latino rus = campagna coltivata) costituiva il luogo della produzione agricola, della comunicazione e del trasferimento dei prodotti verso l’aggregazione urbana, essenziali al sostentamento di quest’ultima. L’agricoltura assunse, a partire dai primi “sinecismi urbani”, un’importanza fondamentale per la sopravvivenza della città; quest’ultima, divenuta politicamente più stabile, impose, in cambio del controllo dei territori rurali, la produzione di eccedenze agricole a fini commerciali, stabilendo, seppur con un rapporto di dipendenza, la supremazia sulle aree rurali circostanti. Gli studiosi sono tuttavia concordi nel ritenere che i motivi che hanno determinato la prima crisi del rapporto “città-spazio rurale” (dai più indicata come “prima rivoluzione urbana”) sono da ricercarsi proprio nell’aumento delle produzioni agricole che, grazie all’introduzione di nuove tecniche come l’irrigazione, hanno permesso a intere classi sociali della popolazione urbana (non più dedite alle attività rurali) di utilizzare a scopo alimentare le risorse agricole prodotte (“extra moenia”) da un numero sempre inferiore di persone (riducendo il rapporto tra produttore e consumatore di più ordini di grandezza).

Più  tardi, nella fase storica immediatamente precedente la rivoluzione industriale il rapporto “città-spazio rurale” subì una marcata complessificazione: cominciò ad affermarsi il predominio della città sulla campagna che porterà, in epoca industriale, al totale disequilibrio socio-economico, culturale e idrogeologico.

Nel meridione d’Italia, negli anni in cui si verificò il passaggio dal regime borbonico allo Stato Italiano, seppur in un quadro complessivo di arretratezza strutturale legato ad una agricoltura prevalentemente montana, nello spazio rurale risiedeva l’apparato produttivo del Regno. Con l’unità d’Italia, il miglioramento delle vie di comunicazione, la lotta al brigantaggio (che aveva reso deserte vaste campagne), il trasferimento di una consistente proprietà terriera (che permetteva l’acquisto a poco prezzo dei beni demaniali ed ecclesiastici svenduti dallo Stato per risanare il bilancio) e l’ammodernamento dei sistemi colturali lasciavano intravedere una fase di espansione dell’agricoltura e i terreni di collina fino alle prime pendici montane erano interessati dalle coltivazioni erbacee ed arboree. Ma poco più tardi la congiuntura negativa preannunciava altri elementi che avrebbero definitivamente condotto le regioni meridionali verso la crisi agraria e trascinato con essa fenomeni di ben più ampia portata. L’emigrazione, tra questi, rappresentò non solo una drammatica disgregazione sociale e demografica ma anche un fattore di innesco dei processi di dissesto idrogeologico a causa dell’abbandono dei territori rurali e montani più vulnerabili.

Gli ambiti rurali intorno alle città, da luoghi eletti per l’agricoltura, divennero spazi di espansione urbanistica, spesso caratterizzata da insediamenti “spontanei” e disordinati avvenuti al di fuori (o in assenza) degli strumenti di pianificazione urbanistica. Si avviava quindi quell’immensa opera di “erosione” dello spazio rurale, i cui suoli, un tempo produttivi, ora giacciono sotto quell’opera di urbanizzazione, avulsa per forma e struttura sia alla città primigenia, sia al contesto rurale, le cui complesse tessiture idrogeomorfologiche subiscono ancora profonde “correzioni” e “assoggettamenti”.

Se si opera una analisi degli eventi alluvionali degli ultimi decenni verificatisi nell’area dello Stretto, si evidenzia come, a parità di evento meteorologico, la risposta del territorio sia stata nel tempo sempre più intensa e severa; da una parte, le aree collinari e montane che avrebbero dovuto costituire il principale presidio per la regolazione delle acque meteoriche e i deflussi, non sono più in grado, a causa dei fenomeni di abbandono e del repentino cambiamento di uso del suolo, di sopportare le sollecitazioni idrologiche più intense e, dall’altra, le infrastrutture e le reti di deflusso urbane sono incapaci di contenere e smaltire il surplus di deflussi e produzioni di sedimenti provenienti dai territori sovrastanti. Il bilancio degli ultimi decenni e la complessa natura dei problemi idraulici ed idrogeologici evidenzia, quindi, la vulnerabilità di un territorio su cui si è intervenuti in maniera irrazionale più frequentemente ed estensivamente di quanto necessario ed utile.

La crisi della città, dal nostro punto di vista, si manifesta allorquando l’impianto urbano si dimostra “incapace” di sopportare le sollecitazioni idrogeologiche che provengono da ciò che “città non è”. Alla definizione di città si contrappone, come è noto, quella di spazio rurale e di sistema pseudo-naturale, che rappresentano porzioni estremamente eterogenee di territorio in cui possono riscontrarsi fenomeni di abbandono delle attività connesse con l’agricoltura, di disgregazione socio-economica e di instabilità fisica, ecologica e funzionale delle aree forestali e degli idrosistemi. Nei territori morfologicamente complessi, quali quelli che caratterizzano gran parte delle regioni del mezzogiorno d’Italia, lo spazio rurale e i sistemi pseudo-naturali interessano, generalmente, le aree collinari e montane, e delimitano (spesso sormontandoli) i centri urbani che insistono nelle esili pianure costiere. In tali situazioni, la razionale pianificazione delle aree marginali e dei sistemi agricoli e forestali rappresenta un fattore strategico non solo per lo sviluppo socio-economico di questi fragili contesti territoriali, ma anche per la difesa idrogeologica dei territori vallivi in cui si sviluppano i centri urbani.

In tale quadro la consapevolezza del rischio naturale e l’adozione di misure di difesa richiedono più che mai un approccio razionale e multidisciplinare, da esercitare attraverso una profonda revisione delle politiche di pianificazione territoriali, finalizzata, da un lato, al riassetto idraulico dello spazio rurale e dei sistemi pseudo-naturali, dall’altro, al riequilibrio del rapporto tra la città e lo spazio peri-urbano che costituisce il suo intorno.

Il “corpus normativo” vigente è costituito da questi capisaldi:

Tale “corpus normativo” ha posto a più riprese l’attenzione sui problemi della difesa del suolo e della regimazione delle acque, ha ribadito come una pianificazione efficace ai fini della sicurezza idrogeologica non può prescindere dall’attuazione di azioni e interventi coordinati alla scala di bacino idrografico (unità territoriale indipendente da limiti amministrativi) nell’ambito del Piano di Bacino (sovraordinato a tutti gli altri piani). Ciò consente di individuare, con un approccio unitario e integrato, le misure estensive ed intensive più idonee da attuarsi soprattutto nelle aree agro-forestali e periurbane cui è demandata la funzione di presidio delle aree urbanizzate poste a valle.

Riguardo alle aree agro-forestali e periurbane, è utile questo esempio: i) il contenimento dell’incremento del consumo di suolo e l’adozione di misure (anche in ambito urbano) che favoriscano l’infiltrazione delle precipitazioni; ii) l’adozione, nelle aree agricole, di modelli colturali a basso impatto idrologico ed erosivo aumentando la capacità di invaso superficiale dei suoli; iii) la valorizzazione del ruolo protettivo della vegetazione conseguibile con la ricostituzione degli ecosistemi naturali, i rimboschimenti e l’impiego di tecniche naturalistiche di protezione dei versanti; iv) la stabilizzazione di scarpate artificiali e pendii in prossimità dei centri abitati e di infrastrutture (autostrade, strade provinciali, comunali, ecc.); v) la realizzazione di sistemazioni agrarie e la manutenzione di quelle già realizzate; vi) la manutenzione delle opere di sistemazione idraulica, ecc.

È necessario inoltre risolvere il rapporto tra la città e lo spazio rurale attraverso una programmazione dello sviluppo economico del territorio agro-forestale che preveda: i) la permanenza della popolazione nelle zone agricole e rurali (esigenza è richiamata anche dalla Legge Urbanistica calabrese, L.U.R 19/02) anche mediante misure indirette di incentivazione, ii) il recupero del patrimonio edilizio rurale a scopi di turismo ed agriturismo, iii) la tutela delle colture agricole tradizionali e l’incentivazione sia dei processi di trasformazione, sia di realizzazione di piccoli impianti; iv) la conservazione e valorizzazione del patrimonio forestale presente e il miglioramento della sua efficienza ecologica ai fini della protezione del suolo e della regimazione delle acque, della riduzione della frammentazione dei biotopi forestali e ricostituzione della continuità ecologica e biologica delle comunità vegetali; v) l’incremento della copertura vegetale nelle aree peri-urbane non idonee all’agricoltura (anche con funzione di connessione bio-ecologica), vi) la creazione di zone cuscinetto e fasce vegetazionali nelle aree peri-urbane finalizzate alla difesa del suolo e alla regimazione delle acque per ridurre l’input idrologico nelle aree urbane.

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