Premi Rhegium Jiulii 2010. Intervista a Massimo Teodori: «Non c’è futuro se non c’è memoria»

Reggio Calabria. Da oltre quarant’anni il Rhegium Julii muove i suoi passi sulla strada della creazione di scambi culturali “tra coloro che adoperano la parola quale strumento di conoscenza e di libertà”, una formula vincente premiata con l’attribuzione all’associazione reggina, di un ambìto riconoscimento per la promozione del libro e della cultura, da parte del Ministero per i Beni e le Attività Culturali. Anche quest’anno, nell’ambito dei Premi letterari di novembre, uno spazio significativo e ormai irrinunciabile è stato riservato agli incontri con l’autore, una due giorni dalle positive ricadute sull’offerta formativa degli studenti delle scuole superiori della città e della provincia, e dell’Università di Messina. Il Festival della Letteratura Contemporanea ha visto protagoniste numerose scuole cittadine: Liceo Artistico “Mattia Preti”, Istituto Commerciale “R. Piria”, Liceo Classico “Campanella, Liceo Scientifico “Da Vinci” e “Volta”, Istituto Magistrale “T. Gulli”, Istituto per Geometri “Righi”, insieme al Liceo Scientifico “Fermi” di Sant’Eufemia d’Aspromonte, Istituto Superiore “Nostro” di Villa San Giovanni, Istituto Superiore “Pizi” di Palmi, che hanno ospitato gli scrittori Arrigo Petacco, Massimo Teodori, Luca Desiato, Giovanni Russo, Gian Luigi Beccaria, Maria Luisa Spaziani, Marta Morazzoni, Roberto Alajmo, Sergio Zoppi, Raffaele Nigro e Pino Aprile. Tra gli incontri più significativi di sabato scorso, quello al Liceo Scientifico “Volta” con Massimo Teodori, vincitore per la sezione saggistica intitolata a Italo Falcomatà, con il libro “Pannunzio. Dal ‘Mondo’ al Partito radicale: vita di un intellettuale del Novecento”.

Al termine del confronto dibattito, alla presenza del Dirigente Scolastico Leo Stilo, della prof.ssa Anna Borrello che ha curato la preparazione degli studenti e di due rappresentanti del Rhegium Julii, abbiamo rivolto qualche domanda a Massimo Teodori. Di origini marchigiane, storico, giornalista e critico, dal 1971 insegna Storia americana e, dal 1979, è professore ordinario alla facoltà di Scienze Politiche dell’Università di Perugia. Ha insegnato negli Stati Uniti, alla University of California-Berkeley, alla Columbia University di New York, e alla Harvard University di Cambridge, Mass. Ex parlamentare del Partito Radicale, si è interessato di politica fin da giovanissimo ed è stato tra i fondatori del primo e del secondo Partito Radicale, nel 1955 e nel 1962 e per un trentennio è stato uno dei principali esponenti di osservanza liberaldemocratica. Lo stesso Mario Pannunzio fu tra i fondatori del primo Partito Radicale dei Liberali e Democratici Italiani, insieme a Nicolò Carandini, Leo Valiani, Eugenio Scalfari ed altri.

In memoria di Mario Pannunzio lei ha curato una relazione nell’ambito del convegno “Mario Pannunzio cent’anni dopo”, promosso dalla presidenza della Camera dei deputati e tenutosi il 9 marzo scorso alla presenza del Capo dello Stato Giorgio Napolitano. Cosa l’ha spinta a scrivere una biografia sul giornalista e politico lucchese? Quale obiettivo si è proposto?
Il senso di questo libro è fortemente legato alla celebrazione del 150° anniversario dell’Unità d’Italia, che stimola una riflessione sul nostro paese, su chi siamo, sulla nostra identità. E’ necessario ripensare alla storia d’Italia, interrogarci sulla storia della Repubblica dopo la caduta del fascismo e la fine della guerra; porsi delle domande sul senso dell’appartenenza ad un’entità repubblicana e ritengo che questo mio lavoro ne offra l’opportunità. Molti pensano che la Repubblica italiana sia nata da due mondi, quello cattolico e quello comunista. Ma c’è una parte importantissima della storia d’Italia, il Risorgimento, fin troppo trascurato ma che ha avuto un peso significativo nella costruzione dell’Italia repubblicana, quella corrente laica, liberale e democratica che dal 1861 al 1920, ha reso il nostro Paese unito e democratico. Scrivere una biografia su un Pannunzio inedito, grande amico di Luigi Einaudi a cui il nostro Presidente Napolitano si rifà, ha significato voler fare parlare l’uomo che dal 1940 al 1960, ha espresso quella terza corrente della democrazia liberale che ha rivestito un ruolo importante nella rinascita dell’Italia, contribuendo allo sviluppo e alla modernizzazione. Questo filone liberal-democratico che ha trasformato un Italia vecchia e piegata in uno dei primi paesi del mondo, è una realtà dalla quale i nostri giovani non possono prescindere, soprattutto in un momento così difficile per la nazione. Ho ricordato agli studenti che non c’è futuro se non c’è memoria e per questo motivo ho voluto riportare alla luce un passato che non va messo nel dimenticatoio e che anzi deve servire da stimolo per crescere ed andare avanti.

Nel libro c’è un riferimento importante ad Alexis de Tocqueville che rappresentò un punto di riferimento sul piano degli ideali per Pannunzio, che nel 1943 scrisse un saggio autobiografico Le passioni di Tocqueville. Cosa possiamo trarre oggi dalle riflessioni e dai testi dello storico e politico francese che studiò la democrazia americana, per migliorare la nostra società e la politica?
Tocqueville è un classico del pensiero liberale che ha prodotto la rivoluzione del mondo moderno – non dimentichiamo che i diritti civili nascono dal pensiero liberale del ‘700. Si applicò all’analisi di ciò che era avvenuto in America, studiò sul posto il sistema carcerario e tornò in patria con due volumi sulle funzioni di quella forma di governo d’oltreoceano. Tocqueville ci insegna a non partire da ideologie astratte, ma dalla realtà del nostro tempo, da come funzionano le istituzioni, dall’analisi del rapporto tra vita pubblica e privata. In definitiva egli affermava che la dittatura della maggioranza non deve uccidere i diritti individuali. Gli attuali governanti fanno invece, il gioco di una maggioranza che spesso travolge il rapporto tra politica e giustizia, tra stampa e politica. E’ importante garantire un rapporto sano tra democrazia, libertà e diritto dell’individuo, un valore autentico del nostro Occidente che ci distingue dall’integralismo. Il pluralismo delle idee e all’interno delle istituzioni è alla base della convivenza civile ed è garanzia di democrazia.

Si può parlare di eredità pannunziana oggi?
Non ritengo che ci sia oggi nessuno nel mondo politico e intellettuale che possa richiamarsi a Pannunzio e alla sua eredità. Nelle ultime pagine del mio libro parlo di lui come di un unicum, poiché ha incarnato la convergenza di tre elementi: politico, culturale e della moralità pubblica. In un articolo del “Mondo” egli sosteneva che un politico senza cultura è un politicante e quest’affermazione riassume il suo modo di essere. Pannunzio e il suo gruppo perseguivano un obiettivo, quello della responsabilità civile che significava subordinare l’interesse particolare a quello generale. Oggi, soprattutto nel mondo politico italiano domina invece la scissione tra cultura, politica ed etica pubblica.

Lei si è occupato del dibattito sul testamento biologico. Da quale prospettiva e con quale motivazione ha affrontato l’argomento?
Mi sono interessato al discorso generale su quei temi etici che hanno determinato lo scontro tra laici e clericali integralisti e ne ho parlato nel mio libro “Contro i clericali. Dal divorzio al testamento biologico, la grande sfida dei laici” del 2009. Ritengo che uno stato non debba fare leggi integraliste in materia etica, al pari degli integralisti islamici che impongono decisioni anche nelle materie più delicate.

Teresa Scordino

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