Una vision di integrazione per le aree metropolitane che si affacciano sullo Stretto di Messina

Monica Incardona, messinese, si è recentemente laureata in Architettura presso l’Università IUAV di Venezia, con una interessante Tesi dal titolo “Lo Stretto necessario. Una vision di integrazione per le aree metropolitane che si affacciano sullo Stretto di Messina”, Relatore la Prof. Paola Viganò.
Un lavoro indubbiamente interessante, che meriterebbe di essere pubblicato e diffuso, e che è stato trasmesso al responsabile della Rubrica “Urbanistica e città metropolitana” con un ringraziamento “per la Rubrica su Newz.it che ho seguito (e continuo a seguire), e che mi ha aiutato a capire le dinamiche del territorio dello Stretto”.
Un complimento sincero che ci giunge da una giovane e promettente studiosa e che credo, così come ha fatto piacere al sottoscritto, farà anche piacere ai nostri fedeli lettori oltre che, naturalmente, anche a Fabio Papalia, Direttore della testata Newz.it.

(E.C.)

Una vision di integrazione per le aree metropolitane che si affacciano sullo Stretto di Messina

di Monica Incardona

Vorrei proporre una nuova visione per questo territorio che parta da una riflessione intorno all’immagine territoriale che Lucio Gambi propose nel 1965 per l’area dello Stretto. Tale immagine individua una singolare conurbazione dello Stretto rispetto ad altre presenti in Italia in quanto originata dalle funzioni di giuntura tra la penisola e la Sicilia.
Questa conurbazione è cresciuta in un paesaggio il quale suggerisce una certa unità, una continuità ambientale tra la Sicilia orientale e l’estremità calabrese.

La conurbazione dello Stretto fu oggetto dei piani degli anni sessanta-settanta redatti da Giuseppe Samonà per Messina e Ludovico Quaroni per Reggio Calabria. Entrambi fondarono la città-regione dello Stretto sulla costruzione del collegamento stabile definita da Samonà come “indispensabile” e “indifferibile”. La mancata costruzione del ponte rese perciò le loro previsioni territoriali e il conseguente rilancio economico dell’area molto deboli.

Interessante è proporre una rilettura di questi piani dove si possono individuare dei temi che possano essere riabilitati con logiche e mezzi contemporanei, in un’ ottica nuova che veda in parte decadere l’idea di città-regione concepita negli anni sessanta per fondarsi in un’ottica territorialmente più ampia che mette a sistema le diverse risorse del territorio.

Il primo tema è innanzitutto la mobilità, l’ossatura su cui basare le altre previsioni. Samonà propose nel suo piano un nuovo sistema portuale, incentrato sulla costruzione di un nuovo grande porto accentratore di funzioni, principalmente terziarie, a nord di Messina, mentre Quaroni completò l’ossatura del piano con lo sviluppo aeroportuale, che garantirebbe l’internazionalità dell’area dello Stretto.

Un secondo tema, fortemente contemporaneo è la visione ecologica, seppur implicita, del piano di Quaroni, dove prevede che l’elemento naturale entri a far parte del piano e non resti solo un bene da tutelare al di fuori del territorio urbanizzato.

Il terzo ed ultimo tema è il turismo, che può essere visto nella più ampia declinazione di infrastruttura sociale che sia avvale del modello diffuso proposto per il turismo dal piano di Samonà, che si fonda sulle risorse materiali ed immateriali del territorio dello Stretto.

Tre temi che nella costruzione della vision di integrazione per il territorio dello Stretto diventano tre infrastrutture che interagiscono tra loro avvalendosi di progetti ed elementi già presenti sul territorio, costituendo delle dinamiche sostenibili e prendendo in considerazione dei germi che vanno attentamente considerati nella formazione dell’immagine del futuro.

Un’immagine del futuro che si basa su un’importante alternativa di sviluppo, due diverse immagini di sfondo, che propone Osvaldo Pieroni nel suo libro “Tra Scilla e Cariddi”: metropoli o rete di città?

L’idea di metropoli si basa su un’idea di accentramento che deriverebbe da un’azione congiunta nella gestione delle dinamiche territoriali, prevedendo inoltre un superamento delle difficoltà di dialogo tra le due realtà costiere, l’altra ipotesi, quella di rete, è un sistema sicuramente più adatto alla realtà territoriale in esame.

Il modello di rete presuppone un decentramento, una messa a sistema di diverse polarità che manterrebbero le loro specificità, funzionando sia singolarmente sia nel più ampio sistema della rete, consentendo una più semplice governabilità e una gestione che partirebbe dal basso e in modo diffuso senza andare ad intaccare la struttura tipologica del luogo e il senso di appartenenza dei suoi abitanti.

I tre temi, precedentemente individuati nei piani, possono essere riproposti in un masterplan dell’area dello Stretto dove vengono applicati all’idea di rete e all’elemento che domina il luogo, l’acqua, intesa come vuoto generatore dello Stretto, avremmo quindi: una rete di città porto, piastre e reti verdi e una rete sociale.

Nel masterplan, che considera questa nuova regione di territorio, risultano fondamentali alcuni elementi. Innanzitutto le fiumare, vettori di naturalità che lavorano trasversalmente alle coste, rappresentando delle vie di connessione tra costa e retroterra; il progetto della Metropolitana del Mare, necessaria per offrire una mobilità domestica sia lungo le coste che tra le coste e infine tutti i beni sociali e culturali presenti nell’area.

L’unione di questi elementi fa emergere delle aree strategiche presenti lungo le coste, che, usufruendo della nuova accessibilità e opportunamente progettate rispettando i tre temi descritti, potrebbero ospitare delle nuove funzioni di terziario avanzato, dei parchi scientifici che rispettano le vocazioni economico-culturali dell’area.

Infine, una riflessione sul territorio dello Stretto credo non possa prescindere dall’esporre delle considerazioni rispetto al tema della discussa costruzione del collegamento stabile. Sono convinta che il maggior rischio per quest’area sia ospitare un’infrastruttura che lavori solo a scala globale, senza costruire delle sinergie con il territorio che la ospita, con il pericolo di invadere frazionando ancor più un territorio che ancora non ha trovato una sua identità nell’unione delle due realtà.

Occorre invece, se questa infrastruttura fosse realizzata, che il territorio che la ospita vivesse già una sinergia comune, che si sentisse rappresentato in un’immagine territoriale unitaria, all’interno appunto di una rete che funzioni prima di tutto senza ponte, che questa porzione di territorio sia individuabile come unità di sistema, ribaltando il senso comune di lembo d’acqua che divide, ma che questo tratto di mare possa diventare la struttura di una nuova immagine di città dello Stretto.

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