Itinerario barocco: la provincia di Reggio Calabria nel panorama calabrese

Marisa Cagliostro e Dario Puntieri, noti studiosi di storia dell’architettura, forniscono ai lettori della nostra rubrica un affascinante itinerario barocco fra le architetture della provincia Reggina, futura Città metropolitana. Un itinerario che sicuramente concorre ad individuare un’identità sempre più precisa del nostro territorio.
Il prezioso contributo scientifico “Itinerario barocco: la provincia di Reggio Calabria nel panorama calabrese”, ricco di note e di apparati, e destinato alla pubblicazione come saggio a stampa, viene qui presentato in forma “alleggerita” per i lettori del web.
Questa settimana offriamo all’attenzione dei nostri fedeli lettori la prima delle due parti del saggio.

(E.C.)

Itinerario barocco: la provincia di Reggio Calabria nel panorama calabrese

Prima parte

di Marisa Cagliostro e Dario Puntieri

Tra gli obiettivi che gli studi relativi alla storia dell’architettura e dell’arte barocca in Calabria si sono prefissati si collocano gli sforzi impiegati per dare la giusta attenzione a un fenomeno artistico sino a qualche decennio fa marginale sia nel contesto regionale che nel quadro più ampio della storiografia italiana. Deve essere, inoltre, riconosciuta l’importante fase di indagine condotta in modo capillare sul territorio che ha portato alla realizzazione di un Atlante, fondamentale strumento di conoscenza, aprendo la strada ai successivi contributi sino a quello più recente sul viceregno spagnolo in cui si è tentata fondamentalmente una rivisitazione storiografica del periodo vicereale, evocato in Calabria come età di oscurantismo, nonostante l’appartenenza politico-amministrativa ad una delle potenze europee del tempo.
Le espressioni artistiche e architettoniche riflettono, in qualche misura, l’immagine di una società che ha tentato di rappresentare se stessa, soprattutto in quelle realtà in cui le possibilità economiche, la disponibilità dei mezzi hanno contribuito a creare condizioni di sviluppo artistico, grazie anche ai contatti che era possibile stabilire con i centri culturali egemoni come Napoli o Roma. In questo contesto è significativo l’intervento a Rossano di Giovanni Maria Baratta per la realizzazione di un altare nella chiesa di S. Nilo, commissionato nel 1661 da Olimpia Aldobrandini, principessa di Rossano, oppure il coinvolgimento di Cosimo Fanzago che ha lasciato in Calabria tracce considerevoli come l’altare della chiesa certosina di Serra S. Bruno, uno dei manufatti artistici più rappresentativi del barocco calabrese, senza considerare la lunga scia lasciata dai suoi epigoni che ha influenzato gran parte della produzione artistica della regione. E ancora, il complesso monastico di S. Domenico di Soriano che vede protagonisti Martino Longhi o Bonaventura Presti, coadiuvati da tante maestranze, che hanno contribuito alla crescita culturale della regione in cui giungevano le più aggiornate espressioni artistiche.
Alla luce degli studi che hanno ampliato e, in molti casi, migliorato la conoscenza, accrescendo l’attenzione su un’importante stagione artistica anche per la Calabria, è possibile in questa sede proporre un itinerario barocco, almeno per quanto riguarda la provincia di Reggio Calabria, che attraverserà i centri più rappresentativi del territorio provinciale partendo dal versante ionico.
La chiesa conventuale di S. Francesco di Assisi di Stilo è senza dubbio uno degli esempi significativi di architettura barocca ricadenti nella zona, soprattutto per la definizione della facciata a doppio ordine qualificata dalle sinuosità delle forme che anticipano l’apparato decorativo in stucco della navata, arricchito dalla presenza di altari marmorei settecenteschi e dagli arredi lignei come il coro, dai preziosi intagli, e l’altare della Madonna del Borgo della fine del Seicento, caratterizzato da colonne tortili e da un tabernacolo a forma di tempio a pianta centrale, impreziosito da elementi fitomorfi e figure di angeli.
Di un certo rilievo è la tavola raffigurante la Madonna, opera di un seguace di Antonello de Saliba, di grande interesse è anche la Madonna d’Ognissanti, custodita nella Collegiata, opera di Battistello Caracciolo che raffigura la Vergine circondata da santi, secondo il canone trionfalistico dei dettami controriformistici.
Contrapposto al convento francescano è il monastero di S. Giovanni Teresti, qualificato dalla facciata della chiesa inserita tra due torri campanarie. In forte rilievo è il portale impostato su colonne composite sostenenti un timpano curvilineo. Altari marmorei e arredi lignei di ambito serrese decorano l’interno che si presenta a pianta longitudinale con copertura a volta.
Il linguaggio tardo barocco del S. Francesco è rinvenibile nella vicina villa Caristo dove il corpo centrale, al quale si innesta la scala a tenaglia, genera l’asse trasversale del giardino su cui si articolano più componenti come la fontana che scaturisce dal battesimo di Clorinda morente, l’hortus conclusus, definito da una recinzione dagli esuberanti motivi ornamentali, e il viale tra gli aranceti che si spinge sino ad una terrazza ottagonale, occupata da una fontana a stele di marmo bianco. L’intero organismo si presenta con un impianto programmatico di grande raffinatezza, legato probabilmente alla volontà di una committenza colta, espressa attraverso l’opera di artisti che sembrano aver acquisito linguaggi e procedimenti derivanti dai principali centri culturali. La villa non solo rappresenta un esempio architettonico di grande interesse, ma accresce la bellezza paesaggistica, evocando il mito settecentesco dell’aspetto bucolico della natura e del “luogo di delizie” in cui godere dell’amenità del paesaggio, celebrato anche dalla cultura illuministica e dagli ideali dell’Arcadia.
Recentemente è stata proposta una comparazione con villa Mesiti di Stilo, un piccolo edificio a pianta irregolare, con funzione probabilmente di dépendance del palazzo cittadino della famiglia, concepito come una sorta di gartenhaus inserito in un’area verde, rivolta verso la valle dello Stilaro che in origine doveva essere parte di un giardino più vasto di cui, purtroppo, si è persa ogni traccia.
Se la villa suburbana rappresentava, nel sistema delle residenze nobiliari, un luogo in cui godere della bellezza della natura e di un clima salubre, il castello esprime ancora nel Settecento una forte attrazione simbolica e di affermazione del potere feudale.
Il vicino castello di Roccella Jonica costituisce un esempio rappresentativo in cui la riconversione di alcuni ambienti della fortezza, che nel corso dei secoli ha dovuto assolvere a una funzione prettamente difensiva, in spazi residenziali riproduce simbolicamente la volontà di rinnovamento del legame tra feudatario e territorio, in ottemperanza anche alle esigenze di maggiore rappresentatività.
Fondato in epoca angioina divenne possedimento, dopo vari passaggi, della famiglia dei Carafa della Spina a partire dalla seconda metà del Quattrocento sino all’eversione della feudalità. Il complesso, attualmente in restauro, versa in pessimo stato di conservazione, tuttavia si possono cogliere gli interventi effettuati in particolare intorno alla prima metà del Seicento, quando fu eretta anche l’attigua chiesa dedicata a S. Vittorio, antica matrice che conserva al suo interno diversi altari in pietra locale, connessa al palazzo da un passaggio che conduceva a un soppalco ligneo dal quale la famiglia poteva assistere alle funzioni religiose.
Gli apprezzi del 1707 e del 1726 hanno permesso di comprendere, attraverso la descrizione di alcuni locali del palazzo, l’impianto planimetrico e più in generale la configurazione che ha assunto l’edificio, interessato da una fase di trasformazione, come testimoniano le ampie sale del primo e del secondo piano raccolte attorno ad una corte centrale e in particolare la sala ottagonale e un grande ambiente di rappresentanza in parte crollato.
L’irregolarità planimetrica, dovuta essenzialmente alle diverse fasi di realizzazione dell’edificio, sembra essere rettificata dalla corte quadrangolare dalla quale, attraverso lo scalone principale, è possibile raggiungere gli spazi residenziali dei piani superiori, collegati, inoltre, da una scala a chiocciola con accesso dal cortile.
Alla stessa fase di ampliamento si possono datare anche i mascheroni in pietra che si conservano nelle scuderie. Spicca fra gli elementi proto-barocchi il balcone sovrastante il portale d’ingresso, con mensole in calcare scolpite e figurate, la cui apertura è sormontata da un timpano ad ali di farfalla, di matrice buontalentiana, che ospita, nello spazio centrale, un oculo.
Il centro storico di Gerace, tra i più interessanti centri della regione, è noto principalmente per la cattedrale romanica che conserva al suo interno presenze barocche come il rivestimento a tarsie marmoree della cappella, dedicata alla Madonna Odigitria, nella cripta in cui è stato allestito un piccolo spazio museale che custodisce principalmente argenterie sacre di manifattura siciliana e napoletana. Tra gli arredi della cattedrale citiamo il monumento funebre di Ottavio Polizzi, realizzato da Lorenzo Calamech intorno al 1599. Della prima metà dello stesso secolo è il bassorilievo marmoreo raffigurante l’Incredulità di S. Tommaso, opera di scuola gaginesca.
Nella chiesa medievale di S. Francesco si conserva un altare barocco di raffinata fattura, eseguito tra il 1651 e il 1664 da maestranze siciliane, chiamate dal committente Frate Bonaventura Perna. Per la sua struttura compositiva è stato comparato al noto altare fanzaghiano della certosa di Serra San Bruno, in particolare per la definizione del ciborio e delle portelle laterali espresse con una ridondanza decorativa, dovuta alla ricchezza dell’intarsio marmoreo che offre un complesso artificio decorativo, dichiarato dal gioco dei motivi fitomorfici.
Non meno importanti sono gli edifici civili, connotati principalmente dal portale lapideo che rimane l’elemento caratterizzante, e alcune chiese in cui sono presenti peculiarità formali tipiche dell’arte barocca. Esempi rappresentativi sono la facciata del S. Martino, segnata dall’alternanza di sporgenze e rientranze che rendono dinamica l’intera superficie, e il prospetto della chiesa, a croce greca, di S. Maria del Mastro sul quale compare un ordine gigante e un portale lapideo aggettante. Altre chiese conservano al loro interno opere pregevoli come quella di S. Anna che ospita: una tela seicentesca raffigurante l’omonima santa in gloria, un altare in marmi policromi, realizzato nel Settecento da maestranze messinesi, un dipinto raffigurante S. Caterina d’Alessandria, di Giovan Angelo D’Amato e il figlio Giovan Antonio, opera che presenta caratteri tardo manieristici napoletani, e le statue cinquecentesche della Madonna e di S. Giovanni.
Sui resti di un preesistente edificio seicentesco sorge a Bova il santuario di S. Leo, ricostruito dopo il 1783; sul portale principale è iscritta la data del 1606. Realizzazioni settecentesche di maestranze messinesi sono sia l’altare maggiore che l’altare della cappella di S. Leo sul quale è collocato il busto argenteo del santo, commissionato ad un argentiere messinese nel 1635. La chiesa del Carmine presenta, invece, una facciata scandita da due lesene e conclusa da un timpano triangolare, il portale lapideo è sormontato da uno stemma con gli emblemi della famiglia Mesiano. Appartenevano alla cattedrale i dipinti seicenteschi di S. Rocco e S. Leo, ora nel palazzo arcivescovile di Reggio Calabria e il settecentesco altare in marmi policromi, rimontato nella cappella dell’Assunta, mentre la statua marmorea della Madonna della Presentazione, opera datata 1584, si trova tuttora nella sua collocazione originaria.

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