Attilio Funaro (Confcommercio): «Non solo mafia, vigilare anche su criminalità comune»

Reggio Calabria. Scontate ma veramente sentiti i sentimenti di vicinanza e solidarietà ai titolari delle Gioiellerie Modafferi e Giordano ma altresì a Tino Versace, storico Presidente dell’Associazione Commercianti sino alla fine degli anni 90, che ha inoltre ricoperto prestigiosissimi incarichi a livello organizzativo nazionale, oltre ad essere stato presidente della locale Camera di Commercio e oggi vittima anch’esso di questo sciame di criminalità comune che sta imperversando in Città e Provincia.
Resta il fatto che, episodi criminali come quelli occorsi a tre gioiellerie storiche della città , stanno sempre più divenendo cronaca ordinaria ma anche annunciata quando, anche dalle pagine del giornale, esprimemmo tutte le nostre preoccupazioni per altri simili “colpi” portati a segno sia in Città quanto in Provincia.
Atti criminosi consumati con il classico metodo della banda del buco ma, troppo spesso armi in pugno, con l’arroganza tipica della tipologia di reato, senza lesinare maltrattamenti alle vittime, sia pure al fine di intimorirle ulteriormente e che, oltre che chi commercia in preziosi, oltre l’ormai scontato colpo ai danni di tabaccai e ricevitorie, stanno colpendo anche semplici commercianti per mettere le mani sugli incassi giornalieri.
Quelle ultime, spesso rapine che, nella consistenza finanziaria del bottino, non giustificano il rischio criminale, l’uso delle armi, il pericolo che, prima o poi, succeda l’irreparabile.
Insomma la Città, malgrado l’egregio lavoro di Forze dell’Ordine e Magistratura, sembra non riuscire a trovare un proprio equilibrio di calma e, meno male, come successe qualche anno fa dinanzi ad una analoga ondata di criminalità comune, che questa volta non c’è stato, come in quelle circostanze, il politico di turno che le definì : “malattie esantematiche di una città che cresce”, dando a quegli episodi quasi un crisma di positività.
Certo ed è innegabile, un cosi accurato repulisti delle varie cosche ‘ndranghetiste, è stato un fatto storico che i reggini, siano essi del Capoluogo o della Provincia, essendo tutti gli arrestati personaggi noti, quasi quanto le loro imprese, le loro zone di potere e di influenza, i loro sistemi intimidatori e di infiltrazione nella “res publica”, attendevano da tempo.
Oggi, su quelle che speriamo siano solo macerie, vediamo crescere una specie di gramigna criminale che non vorremmo diventasse infestante, come è tipico di quel tipo di pianta.
Ecco perché, a gran voce, chiediamo si assicurino tutti quegli interventi utili a sradicarla.
Le rapine, cosi come l’assurda situazione denunciata a Modena – Ciccarello – V.le La Boccetta, il tentativo di specifiche comunità di appropriarsi di fette del territorio, una prostituzione dilagante che, certamente fa capo ad una gestione ben precisa e che hanno reso invivibili alcune zone centrali del capoluogo, non sono solo specifiche espressioni di malavita.
Siamo partiti dalle rapine alle Gioiellerie Modafferi, Versace e Giordano, per giungere ad altri aspetti di questa nostra Provincia dove, le categorie attendono confrontarsi o vedere attuate programmazioni strategiche.
Parlando dopo i fatti con Tino Versace, ci esprimeva tutta l’angoscia, non solo della vittima, quanto della certezza che simili episodi torneranno a ripetersi perché troppa è la sete di danaro che c’è in giro, troppe le difficoltà.
Sia ben chiaro che non crediamo che il disoccupato di turno, si ricicli rapinatore ma, altrettanto vero è che si registrano sempre maggiori difficoltà economiche che, sommate alla carenza di scrupoli, possono dare luogo a gesti inconsulti.
Se la rapina in quanto tale si può combattere con adeguati sistemi di allarme, altre situazioni influiscono, non solo sulle vittime di scippi, danneggiamenti, ecc., ma sull’intera economia dove, quelle azioni o il via vai di giovani e meno giovani prostitute e loro protettori, incide su criteri di vivibilità e sicurezza di vie o quartieri, fa crollare il mercato immobiliare, sia esso abitativo/residenziale o destinato ad uffici, desistere da insediamenti commerciali.
Una Provincia, che ancora non vede profilarsi o resa possibile da interessi di campanile o d’altra natura, comuni e risolutive filosofie di renderla entità economica nel campo turistico.
Una Provincia dove assistiamo ad un continuo, costante dilapidarsi delle nostre maestranze lavorative, travolte dalla debacle di decine di imprese.
Carenza ed ignoranza imprenditoriale che porta poi a disoccupazione e desertificazione economica del territorio?
Sì, in tanti casi!
Ma, in altrettanti, se non nella maggioranza dei casi, espressione e risultato finale di una miope pregressa programmazione, che ha voluto distruggere, scientemente, un solido nucleo composto dalle piccole e medie imprese, commerciali ed artigiane.
Una politica economica, ma anche pseudo sociale, che ha svenduto una chance industriale come quella del Porto di Gioia Tauro, alla acquisizione di piccoli (ma proficui) posti di potere, qualche assunzione pilotata, qualche appalto di fornitura o di servizio favorito, a scapito di una scommessa che dava un senso ad una aspirazione di industrializzazione della Provincia.
La stessa politica miope che oggi ci consegna voci ricorrenti di pregiudizio per 700 lavoratori della Grande Distribuzione, che vede in pericolo centinaia di posti legati alle aziende subappaltanti o fornitrici delle imprese dei lavori dell’A3.
Chiamiamole come vogliamo ma, senza passamontagna e pistola in pugno, anche quelle sono delle rapine.
Rapina, altro termine non troviamo nella nostra ignoranza e capacità limitata di analisi, quale quella portata vanti da una azienda del nord anzi, di quel nord – est sano, lavoratore ed esente dal marciume mafioso, con appalti in Italia e all’estero, a capo di un gruppo con diverse società, anche quelle in Italia e all’estero, di cui è proprietaria con quote che vanno dal 50 al 100% e fatturati di cui riportiamo uno stralcio che ottiene l’appalto per uno dei tratti strategici della A3 e, guarda caso (ma non è l’unica di quelle imprese che hanno ottenuto analoghi appalti), rasenta un fallimento che cerca dribblare con un tentativo di concordato.
Un concordato che, nel risultato, equivale ad una vera rapina decine di piccoli imprenditori locali esponendoli, loro si, al fallimento.
Imprenditori, a loro volta indebitati, con altre piccole aziende sempre calabresi e che oggi si ritrovano in pregiudizio di esistenza in vita, con guai bancari seri, con impossibilità di approvvigionamento, ecc.
Basta navigare su internet, vedere cosa rappresenta quel gruppo e fare sorgere la domanda se, ad essere mafiosi, cosi come conviene fare apparire, siamo noi calabresi o, per equità, solo noi calabresi.
Ci sa che, in mafiosità, ci sono anche buone, anzi ottime università anche in altre parti del Bel paese e la verità, quella che come sempre sta sul fondo di un liquame sordido, è che, legge dalla loro parte, quello che abbiamo riportato sinteticamente è solo l’ultimo esempio di aziende “pulite” del nord che scendono in una colonia denominata Calabria, trattando i calabresi come indigeni con l’anello al naso.
Questo è il quadro della nostra attuale situazione dove, e la domanda e d’obbligo, coloro che si trovano e si troveranno senza lavoro, quelle aziende che incorreranno in guai simili a quelle coinvolte sulle vicende dell’A3, quei lavoratori espulsi dal quella falsa chimera che è stata la grande distribuzione o quelli che perderanno il lavoro per la mancata tutela dei valori e degli investimenti immobiliari, alla fine cosa dovranno fare?
Forse anch’essi andranno a scippare o rapinare?
Non sappiamo rispondere.

Come Confcommercio non possiamo fare altro che stare accanto alle imprese e agli imprenditori, aiutarli e sostenerli nella denuncia e nella battaglia, cercare evitare che cadano in usura ma, questa guerra, non è e non può essere solo la nostra.
Sicché, che la magistratura vegli e verifichi se, per il principio fisico dei vasi comunicanti, qualcuno non abbia pensato bene, a spese dei “terun” di spostare capitali e risorse su altre componenti societarie e tagliare un ramo d’azienda improduttivo.
Che la politica vigili e valuti, senza paura, che non tutto ciò che è “made in Calabria” e solo mafia e di ciò se ne convincano altri che continuano a vedere di questa terra solo alcuni aspetti.
Se è vero che siamo cresciuti, si adegui a ciò la vigilanza sulla criminalità comune, quella che a Milano, è parte caratterizzante di quella società, ma non porta il marchio “mafia”.

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