Quale estetica per la città (metropolitana)?

Oggi la città, ed a maggior ragione la metropoli, debbono aspirare ad una propria dimensione estetica. La costruzione della Città Metropolitana di Reggio Calabria comporta quindi, soprattutto in Calabria, un’attenzione finora poco sentita e affatto praticata nei confronti della qualità urbana. Su questo tema occorre a nostro avviso un deciso cambio di rotta. Il Prof. Ettore Rocca, docente di Estetica presso la Facoltà di Architettura della “Mediterranea”, e studioso di fama internazionale, offre questa settimana ai lettori della rubrica “Urbanistica e Città Metropolitana” un prezioso contributo su questa affascinante tematica.

(E.C.)

Quale estetica per la città (metropolitana)?

di Ettore Rocca

Il dibattito su Reggio Calabria “città metropolitana” si pone all’incrocio di molte competenze, coinvolge saperi e modi di riflettere sui saperi. La filosofia, e in particolare l’estetica, non è un sapere esatto, bensì uno sforzo di riflettere sui saperi, di comprenderli. La riflessione estetica – che si è soliti mettere in rapporto con le domande sul bello e sull’opera d’arte – può allora contribuire alla comprensione di Reggio come città metropolitana.

Negli ultimi anni due libri non possono non destare l’attenzione di chi si voglia occupare di estetica applicata alla città, La città come opera d’arte di Marco Romano (Einaudi, Torino 2008) e Cities for People di Jan Gehl (Island Press, Washington 2010). I due volumi presentano tuttavia punti di vista teorici all’apparenza opposti, il cui confronto può forse insegnarci qualcosa riguardo a una riflessione estetica sulla città.

Il coinvolgente libro di Romano sostiene la tesi che la città europea, sviluppatasi tra il mille e la metà del secolo scorso, sia un’opera d’arte. Ciò perché è frutto, come ogni altra opera d’arte, di una consapevole intenzione artistica e, d’altro canto, perché ci sono individui che la considerano e la fruiscono come un’opera d’arte. Queste due condizioni, la volontà artistica e la considerazione artistica, sono per Romano le condizioni necessarie e sufficienti affinché si possa parlare di un’opera d’arte. Chi è però il soggetto che ha consapevole intenzione d’arte per la città? È chiaro che non può essere un singolo individuo, come nel caso di una poesia, e neppure un gruppo di individui, come per uno studio di architettura o per l’atelier di molti artisti anche dei nostri giorni. Deve essere un organismo collettivo che abbraccia numerosi secoli. È la civitas europea, impegnata nella costruzione di una urbs democratica e tendenzialmente ugualitaria. La civitas europea è dunque quel soggetto collettivo e trans-epocale che possiede un’autonoma volontà d’arte. Negli ultimi cinquant’anni questa volontà di forma artistica della civitas si è rotta a favore di una città macchina, una città che segrega anziché unire funzioni e abitanti, perdendo così la capacità di realizzare l’urbs come opera d’arte unitaria – argomenta Romano. Il futuro della città europea passa dunque attraverso il recupero della città come opera d’arte, con i suoi temi: le facciate delle case, gli edifici pubblici, le strade e le piazze, e così via.

Il volume di Gehl ha come tema la dimensione umana della città. La questione per Gehl è quella di come progettare e pianificare una città viva, sicura, sostenibile e sana. Viva, dove la gente sia invitata a camminare, trattenersi, incontrarsi, andare in bicicletta. Sicura, dove queste attività possano essere fatte in modo confortevole, senza che la vita sia messa a repentaglio a ogni crocicchio. Sostenibile, dove la maggior parte delle necessità di trasporto possano verificarsi come “mobilità verde”, dunque ancora cammino e bicicletta. Sana, perché proprio la promozione di queste attività è un antidoto alla vita sedentaria e accresce la salute di tutti. A tal fine è decisivo ritornare sempre al corpo umano, ai suoi sensi, alla sua capacità di movimento eretta, al suo campo e alla sua altezza visuali, alla sua scala, alle distanze e alle velocità che possano permettere le migliori opportunità di sentire ed esperire. Il metro dovrà essere il corpo che vede, sente, parla, ascolta, cammina, si ferma, si siede, si appoggia, si sofferma, riflette.

È singolare che una considerazione esplicitamente estetica sia totalmente assente dal libro di Gehl. La parola “opera d’arte” è bandita dal suo discorso, e così pure “stile”, o considerazioni meramente formali. Perché allora ho detto che il suo libro ha rilevanza per una riflessione estetica sulla città?

La città come opera d’arte e Cities for People sembrano porsi agli antipodi. Lì la prospettiva artistica è onnipresente, qui brilla per la sua assenza. Forse però una genuina istanza estetica per la città deve porsi tra i due discorsi.

A mio avviso è dubbio che la città europea dal mille in poi sia un’opera d’arte, a differenza di quella greca, romana, iraniana, indiana, precolombiana. Se si applica il concetto di volere artistico alla città, lo si deve fare per le città di ogni epoca e di ogni luogo. Il volere artistico (il Kunstwollen di Alois Riegl, 1858-1905) è una volontà di forma propria dell’essere umano come tale, e per questo non può esserci per alcuni e non esserci per altri. Può certo portare talvolta a risultati alti, talvolta a risultati non riusciti o perfino fallimentari, ma non può essere attribuito alla sola civitas europea. La volontà artistica della civitas, accoppiata a degli spettatori che considerano quella particolare città un’opera d’arte, non basta per annoverare la città europea tra le opere d’arte. Posso considerare il disegno complessivo di una città come se fosse un’opera d’arte, mettendomi nella posizione di uno spettatore che guarda alla città come se fosse un romanzo, un quadro, un’istallazione, ma credo possa essere pericoloso che degli amministratori o dei pianificatori pensino di poter fare della loro città un’opera d’arte. Inoltre, voler costruire una città secondo democrazia e giustizia non dà alcuna certezza di poterne fare un’opera d’arte. Di molte città europee ammiriamo l’impianto basso medievale o barocco, senza che in quei periodi siano però state fari di democrazia. Di contro, ideali democratici e ugualitari, per esempio nelle città nordeuropee degli anni Settanta del secolo scorso, non hanno assicurato bei risultati, benché ci sia stata in quel periodo una indubbia crescita democratica di quelle società nel loro complesso.

Quanto a Gehl, proprio mettendo al centro del suo discorso il corpo umano nelle sue capacità percettive e motorie, egli ha, senza accorgersene, già introdotto una prospettiva estetica nel pensare il progetto della città. L’estetica è una filosofia della percezione, e, se si occupa di arte e bellezza, è per tornare sempre a interrogarsi sull’enigma della percezione umana.

Pertanto una riflessione estetica sulla città, e sulla città metropolitana, deve collocarsi tra Romano e Gehl. In breve, nel progettare e pianificare una città contemporanea, e tra di esse la città metropolitana di Reggio Calabria, dobbiamo cercare di dare forma a una città viva, sicura, sostenibile, sana, giusta, libera; una città nella quale gli individui sentano di aver spazio per esplicarsi insieme agli altri. Forse, senza volerlo, diventerà una città bella.

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