Il senso religioso. Intervista sul libro di Don Giussani al responsabile piemontese del Banco Alimentare Nino La Face

Il 19-Agosto 2011a Palizzi Marina è stato presentato il libro di Don Giussani: Il Senso Religioso dal prof. Nino La Face, Responsabile per il Piemonte del Banco Alimentare, e figura ormai storica di Comunione e Liberazione soprattutto come educatore. Il libro è costituito dalle lezioni che don Giussani tenne come insegnante di religione al liceo Berchet di Milano e successivamente come docente all’Università Cattolica di Milano.  Le diverse edizioni, che sono state tradotte in 27 lingue, con centinaia di presentazioni,di cui la più significativa l’11 dicembre, 1997 a New York, per iniziativa dell’Osservatore permanente della Santa Sede all’Onu.  Il libro è un emozione in crescendo: Quando miro in cielo arder le stelle; / Dico fra me pensando: / A che tante facelle? / Che fa l’aria infinita, e quel profondo / Infinito seren? che vuol dir questa / Solitudine immensa? ed io che sono?». Questa poesia di Leopardi Canto notturno di un pastore errante dell’Asia, esprime in modo esemplare l’esperienza in cui il senso religioso si svela all’uomo attraverso lo stupore. Le tre premesse a cui Don Giussani si richiama sono uno strumento metodologico perché per conoscere se stessi occorre realismo. Il metodo di ogni ricerca non nasce da uno schema precostituito, ma è imposto dall’oggetto è dettato dall’oggetto stesso. Poiché l’esperienza religiosa è un fenomeno umano, è necessaria una indagine esistenziale. Non uno studio di particolari libri, ma l’esperienza che può fare ciascuno di noi in quanto uomo.  Ma l’esperienza va anche giudicata, «La natura lancia l’uomo nell’universale paragone con sé stesso, con gli altri, con le cose, dotandolo – come strumento di tale universale confronto – di un complesso di evidenze ed esigenze, (esigenza di felicità, di verità, di giustizia, di bellezza, di amore, ecc.) la scintilla dell’azione umana. Il metodo corretto per valutare l’esperienza umana è quindi il realistico confronto con l’esperienza elementare, con ciò che Giussani chiama, seguendo la tradizione cristiana, cuore. In secondo luogo è necessario una fedeltà alla propria natura: avere una passione della ragionevolezza, come capacità di afferrare e affermare la realtà nella totalità dei suoi fattori. Ed infine una moralità, una disponibilità ad amare la verità più di quanto non si amino le proprie immagini e i propri pensieri.

Prof. La Face che cos’è il senso religioso?
Il senso religioso rappresenta la natura dell’essere umano, in quanto si esprime in alcune domande fondamentali quali:
Qual è il senso ultimo dell’esistenza?
Perché c’è il dolore e la morte?
Per che cosa in fondo val la pena vivere?
Qual è il destino ultimo della mia vita?
Di che cosa e per che cosa è fatta tutta la realtà?
Il senso religioso coincide con quel radicale impegno del nostro io con la vita, che si documenta in queste domande. Domande intelligenti, inevitabili, drammatiche, anche se il clamore o l’ottusità della vita sociale sembrano volerle tacitare (è necessario un lavoro ascetico per avere una moralità nel conoscere).

Come si destano le domande ultime: itinerario del senso religioso?
Le domande ultime si destano nel rapporto con la realtà. Se uno nascesse all’età della piena consapevolezza… Il primo sentimento che l’uomo prova di fronte al reale è lo stupore “I concetti creano gli idoli solo lo stupore conosce” (San Gregorio di Nissa). Lo stupore destato dal fatto di trovarsi di fronte a qualcosa che c’è indipendentemente da lui. L’essere, come presenza imponente, è una realtà altro e distinto dall’uomo, una cosa data, o meglio un dono. L’uomo poi si accorge che la realtà ha un ordine (cosmos) e un’armonia da cui deriva la sua bellezza.
Un’ulteriore constatazione è quella che la realtà si muove in modo provvidenziale, cioè secondo un disegno favorevole all’essere umano. In un ulteriore momento l’uomo si accorge di se stesso, prende coscienza di se stesso come cosa distinta dalle altre. Da questo itinerario risulta evidente che l’uomo non si fa da sé e che quindi il suo essere gli è dato. L’io è quel livello della natura in cui essa si accorge di non farsi da sé. L’uomo scopre di dipendere da Altro, per cui la sua definizione ultima è : ”io sono Tu che mi fai”. Tu che mi fai è quello che la tradizione religiosa chiama Dio. Sono perché sono fatto. L’io è creatura sempre: un fiotto che nasce da una sorgente che lo alimenta in continuo.

Cosa significa “Vivere il reale”?
L’unica condizione per essere sempre e veramente religiosi e vivere sempre intensamente il reale. Quello che blocca la dimensione religiosa autentica è una mancanza di serietà con il reale, di cui il preconcetto è l’esempio più acuto.

Ci sono domande che l’uomo si pone, che esigono una risposta totale, ma ci si ferma come innanzi ad un muro bianco.
Quanto uno più s’addentra nel tentativo di rispondere a quelle domande, tanto più ne percepisce la potenza, tanto più scopre la propria sproporzione rispetto ad una risposta totale. L’inesauribilità delle domande esalta la contraddizione fra l’impeto dell’esigenza e la limitatezza della misura umana nella ricerca. L’inesauribilità della risposta alle esigenze costitutive del nostro io è strutturale, cioè così inerente alla nostra natura che ne rappresenta la caratteristica dell’essere.L’uomo, se è leale in questa sua ricerca, ammette che la risposta alle domande fondamentali sta sempre oltre il limite cui arriva con le forze della sua ragione.

L’uomo spesso non accetta di potersi bloccare innanzi al mistero.
L’insondabile mistero cui l’uomo tende, ma che non riesce ad afferrare.“Chi non ammette l’insondabile mistero non può essere neanche uno scienziato” lo dice Einstein a colloquio con il matematico Francesco Severi. Questa dinamica esistenziale ha un riverbero di tristezza, si esprime cioè come desiderio di un bene che rimane inafferrabile. Strutturalmente l’uomo attende, strutturalmente è mendicante, strutturalmente la vita è promessa. Solo l’ipotesi del Mistero come realtà è risposta adeguata al tipo di domanda che esprime il senso religioso dell’uomo. Solo l’esistenza del Mistero insondabile (termini negativi: in-finito, im-menso, in-effabile, ignoto; termini positivi: onnipotente, onnisciente, onnicomprensivo) è adeguata alla struttura di mendicanza che l’uomo è. Per questo la preghiera come domanda è il gesto più umano che si possa concepire.

Come coniugare ragione e Mistero?
La ragione, capacità di afferrare e affermare la realtà nella totalità dei suoi fattori, è esigenza di spiegazione totale e adeguata dell’esistenza. Se si vuol salvare la ragione , il suo stesso dinamismo ci costringe ad affermare quella risposta esauriente al di là dell’orizzonte della esperienza umana. La risposta c’è, perché grida attraverso le domande costitutive del nostro essere, ma non è rintracciabile nella nostra esperienza. Il vertice dalle conquista della ragione è la percezione di un esistente ignoto: è l’idea di Mistero. Come afferma Papa Benedetto XVI a Ratisbona.

Infatti, il nostro cuore è inquieto finché non riposa in Te, San Agostino
Il Mistero non limite della ragione, ma l’esistenza di qualcosa di incommensurabile con essa. Il Mistero è intuito come segno dell’apertura senza fine della ragione.

La libertà
Non sarebbe umano un compimento dell’uomo se non fosse libero. Il destino è qualcosa di fronte al quale l’uomo è responsabile: raggiungere il suo destino è frutto della libertà.

L’idolo
Chiunque prenda sul serio la propria umanità si troverà così in una posizione vertiginosa, nello struggimento di voler penetrare il Mistero di cui non vede il volto: in questa soglia drammatica l’uomo sarà sempre tentato di eliminare la vertigine, identificando il significato totale con qualcosa di comprensibile: riduzione inevitabile del mistero alla propria misura, è il proprio punto di vista, la propria misura, fino all’esaltazione di quello che la Bibbia chiama idolo (il particolare con cui la ragione identifica il significato totale) che, a differenza del segno che rimanda al tutto, riduce e corrompe la realtà.

La rivelazione
Ma, al culmine della coscienza sofferta e appassionata dell’esistenza, si sprigiona il grido dell’umanità più vera, un grido di implorazione e mendicanza, la domanda che il significato si sveli e si faccia conoscere: è la grande ipotesi della rivelazione. “Pare a me, o Socrate , e forse anche a te, che la verità sicura in queste cose nella vita presente non si possa raggiungere in alcun modo, o per lo meno con grandissima difficoltà. […] Perché di questo cose, una delle due: o venire a capo di conoscere come stanno; o se a questo non si riesce, appigliarsi al migliore e al più sicuro tra gli argomenti umani e con questo, come sopra una barca, traversare il pelago di questa vita: a meno che non si possa con maggior agio e minor pericolo fare il passaggio con qualche più solido trasporto, con l’aiuto cioè della rivelata parola del dio.” Fedone di Platone 5 sec. a.C.
L’ipotesi della rivelazione, del tutto confacente alla suprema categoria della ragione (quella della possibilità), non può essere distrutta da alcun preconcetto o da alcuna opzione, perché essa pone una questione di fatto, cui la natura del cuore è originalmente aperta. «Negare la possibilità di questa ipotesi – annota l’Autore – è l’ultima estrema forma di idolatria». Il destino del senso religioso è totalmente legato ad essa, come dice, Kafka, citato alla fine del testo: Anche se la salvezza non viene, voglio però esserne degno a ogni momento. Don Giussani davanti al papa Giovanni Paolo II incontro dei movimenti 31 Maggio del 98

Il vero protagonista della storia è il mendicante: Cristo mendicante del cuore dell’uomo, il cuore dell’uomo mendicante di Cristo.

Fabio Arichetta

Exit mobile version