Il 50° anniversario della lettera enciclica “Pacem in terris”

Reggio Calabria. Cinquanta anni fa, l’11 aprile del 1963, pochi mesi prima della morte che lo colse il 3 giugno dello stesso anno, Papa Giovanni XXIII dava al mondo la sua ultima Lettera Enciclica, la “Pacem in terris” che già nel suo incipit richiamava quella pace che la moltitudine delle milizie celesti aveva invocato, lodando il Signore, nella notte in cui nacque il Redentore “Gloria in altissimis Deo, et super terram pax in hominibus bonae voluntatis”. A tale anniversario l’Associazione Culturale Anassilaos dedica un incontro che si terrà l’11 aprile –esattamente cinquanta anni dopo- alle ore 17,30 presso la Libreria Culture con l’intervento del Dr. Salvatore Saffioti e dello stesso Presidente di Anassilaos Stefano Iorfida. La voce del Papa Buono, grave e solenne, risuonò forte in un mondo che aveva da poco superato la grave crisi politico-militare di Cuba (1962) che lo aveva portato sull’orlo della III Guerra mondiale. “Come vicario di colui che il profetico annuncio chiama il Principe della pace – scrisse il Pontefice – abbiamo il dovere di spendere tutte le nostre energie per il rafforzamento di questo bene. Ma la pace rimane solo suono di parole, se non è fondata su un ordine fondato sulla verità, costruito secondo giustizia, vivificato e integrato dalla carità e posto in atto nella libertà”. Per tutto il Novecento, del resto, secolo di grande sviluppo scientifico ma anche di inenarrabili sofferenze per l’umanità, la voce della Chiesa e dei Successori di Pietro si era levata alta, come voce di profeta disarmato in mezzo al tumulto della battaglia e delle armi, ad invocare la pace. “Coraggioso e autentico profeta di pace” fu Benedetto XV che in occasione del primo anno del Primo Conflitto Mondiale, nella esortazione apostolica “Allorcchè fummo chiamati” (28 luglio 1915), invocò, con voce paterna, i governanti “a porre termine finalmente a questa orrenda carneficina, che ormai da un anno disonora l’Europa” attirandosi le critiche, anche in Italia, di quanti andavano blaterando di una guerra igiene del mondo. E più tardi, alla vigilia di un’altra guerra mondiale, ancora più distruttiva, Pio XII disse, anzi quasi gridò, nel radiomessaggio del 24 agosto 1939, pochi giorni prima della catastrofe, “Nulla è perduto con la pace. Tutto può esserlo con la guerra”. Nel solco di Giovanni XXIII si mosse poi Papa Paolo VI, istituendo dal 1° gennaio del 1968 la Giornata Mondiale della Pace, e che già nella mirabile Populorum Progressio, aveva ben colto il nesso inscindibile tra pace e giustizia. “Le disuguaglianze economiche, sociali e culturali troppo grandi tra popolo e popolo provocano tensioni e discordie, e mettono in pericolo la pace…. La pace non si riduce a un’assenza di guerra, frutto dell’equilibrio sempre precario delle forze. Essa si costruisce giorno per giorno, nel perseguimento di un ordine voluto da Dio, che comporta una giustizia più perfetta tra gli uomini” . L’intero Pontificato del Beato Giovanni Paolo II, come la Sua vita di sacerdote e vescovo, è stata consacrata alla pace. Nel messaggio per la Giornata Mondiale della Pace del 1° gennaio 2005 –pochi mesi prima del Suo ritorno al Padre- Egli ancora una volta aveva ribadito che “La pace è un bene da promuovere con il bene: essa è un bene per le persone, per le famiglie, per le Nazioni della terra e per l’intera umanità; è però un bene da custodire e coltivare mediante scelte e opere di bene”. Sul solco tracciato dai predecessori, che Egli ha definito “ illuminati operatori di pace”, si è mosso Papa Benedetto XVI e lo stesso, di certo, farà Papa Francesco che già nell’assumere il nome del Poverello di Assisi ha delineato, prima ancora di ogni parola o atto, il programma del Suo Pontificato.

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