“Sommersi e salvati”. Tra scuola, diritti e disabilità: l’intervista ad Anna Borrello

Reggio Calabria. Jim Morrison scriveva che “la mente mette i limiti, il cuore li spezza”. Accade spesso così con la disabilità: accade che i “limiti” fisici e mentali di un ragazzo con disabilità diventino una ricchezza all’interno di una piccola comunità, all’interno di una scuola ad esempio.
La pensa così Anna Borrello, preside vicaria del liceo scientifico “A. Volta” di Reggio Calabria che ospita ben quattro ragazzi disabili: uno affetto da sindrome di Down, un altro con problemi uditivi, visivi e linguistici e due con autismo. Uno di loro, Giacomo, è recentemente passato agli onori della cronaca nazionale grazie alla sua storia raccontata dalla madre in un articolo pubblicato da Corriere della Sera e ripresa poi, proprio in questi giorni, da due programmi televisivi della Rai (La vita in diretta – Rai1, Fuori Tg – Rai3). Giacomo – 16 anni, con autismo ed epilessia – è testimone di una scuola pubblica votata alla cultura dell’inclusione degli studenti con disabilità proprio qui, a Reggio Calabria. Quest’anno è stato iscritto e ha da poco iniziato a frequentare il liceo scientifico “A. Volta”. La sua storia ha suscitato particolare interesse perché raccontata proprio nei giorni in cui venivano portate alla luce le vicende che hanno visto protagonista la scuola elementare “G. Sequino” di Mugnano (Napoli) dove alcuni genitori di una classe hanno ritirato i propri figli a causa della presenza di un bambino autistico che, a detta dei genitori, avrebbe causato rallentamenti nel regolare svolgimento del programma didattico. E’ proprio di ieri, inoltre, la notizia secondo cui le sei maestre di Mileto (Vibo Valentia) che – secondo quanto emerso dalle indagini del 2011 dei Carabinieri – avrebbero maltrattato un bambino disabile sono state rinviate a giudizio dal gup di Vibo. Sono storie – quelle di Mugnano e di Mileto – che di primo acchito lascerebbero pensare che questo non sia un Paese “a misura di disabile”. Ed è proprio questo il motivo per cui la bella storia di Giacomo e delle scuole reggine che lo hanno accolto è importante: mostrano l’altra faccia della medaglia che spesso viene taciuta in favore di altra cronaca. Così Newz.it si è recato al liceo scientifico “A.Volta”, un esempio di scuola virtuosa sotto il profilo dell’inclusione, dove la professoressa Borrello ha di buon grado accettato di rispondere ad alcune nostre domande.

Cos’è successo secondo lei nel napoletano?
E’ successo che è ovvio ed è giusto che davanti alla presenza di ragazzi portatori di disabilità sorgano delle perplessità, siamo noi che abbiamo il dovere di mediare e di creare un ambiente in cui tutti si sentano a proprio agio. I ragazzi soffrono sempre un po’ quando all’interno della loro classe ci sono compagni con problemi di questo tipo: le classi vengono costituite all’inizio dell’anno scolastico su misura degli studenti con disabilità e spesso sono classi più piccole. I ragazzi normodotati magari vorrebbero anche loro una classe numerosa e chiassosa, come le altre, e sta sempre a noi educarli all’accoglienza. Nel corso degli anni ho sempre visto un po’ di incertezza all’inizio rispetto alla disabilità, ma ho anche visto nel tempo ragazzi e genitori accettare la presenza all’interno delle classi di ragazzi con disabilità quest’ultimi diventare una vera e propria ricchezza.

Qual è la politica di questa scuola per quanto riguarda l’inclusione dei ragazzi con disabilità?
I genitori dei ragazzi con handicap, fino a non molti anni fa, iscrivevano i loro figli soprattutto negli istituti professionali che, infatti, erano diventati quasi dei ghetti. Oggi fortunatamente stiamo assistendo ad un’inversione di tendenza. Ho assistito in diverse occasione ad una certa resistenza ad accettare i ragazzi con disabilità all’interno dei licei, ma per me è una cosa inaccettabile: è come porre un ulteriore limite sulle “limitazioni” della disabilità. Sono prima di tutto i deboli che devono essere aiutati dalla scuola, stimolare solo gli studenti migliori sarebbe sin troppo facile. Ho visto e sentito negli anni un certo snobismo intellettuale circa i licei. I genitori mandano i loro figli al liceo perché reputano che sia il meglio da offrire ai ragazzi. Io ritengo che anche per questo è importante che i licei inizino ad occuparsi in misura sempre maggiore di inclusione dei disabili: saremo migliori, come scuola, solo se riusciremo a creare un ambiente che riesca ad accogliere veramente tutti. La scuola pubblica semanticamente “esclude l’esclusione”, è inclusiva con il mondo: la scuola è il mondo.

Purtroppo ancora non tutte le scuole posseggono gli strumenti culturali e le risorse umane necessarie per potersi permettere di essere inclusive nei confronti degli studenti con disabilità…
Non solo, ma alcune scuole purtroppo tendono anche a speculare su questi studenti. Ho saputo, ad esempio, di una ragazza rimasta alle scuole medie fino a 18 anni e poi iscritta alle superiori. La legge prevede che il ragazzo che viene iscritto dopo il compimento della maggiore età perde l’insegnante di sostegno che è una figura essenziale all’interno del percorso scolastico dei ragazzi con disabilità. Senza di loro per questi ragazzi la scuola diventerebbe un “parcheggio” e sarebbero tolti loro degli strumenti indispensabili per la vita.

La famiglia che ruolo gioca all’interno del percorso scolastico degli studenti con disabilità?
Un ruolo importantissimo: la scuola pubblica di qualità può e deve esistere, ma solo se c’è anche il supporto delle famiglie. Ricordo ancora quando i genitori di Giacomo hanno bussato alle porte del “Volta” e ci hanno chiesto “ma voi potete prenderlo?”. C’era un velato timore ma anche grande dignità e umanità nelle loro parole. C’era la volontà di questi genitori di cercare e trovare il meglio per loro figlio. Per questo la qualità e la funzionalità della scuola pubblica si gioca sul lavoro di squadra.

Si fa un gran parlare della scuola pubblica, tra tagli, problemi di varia natura e cattiva gestione delle risorse pubbliche. Il “Volta” è una scuola “virtuosa” da questo punto di vista. Qual è il segreto?
Partire sempre dagli ultimi, da quelli che Primo Levi avrebbe definito “i sommersi e i salvati”. Don Lorenzo Milani diceva che la scuola che perde i ragazzi difficili non è più scuola: è un ospedale che cura i sani e respinge i malati.

Giulia Polito

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