“Voglio poter dire ai miei colleghi che denunciare conviene, aiutatemi”. Bentivoglio in audizione alla Commissione antimafia

Reggio Calabria. Riportiamo di seguito l’intervento integrale di Tiberio Bentivoglio in audizione alla Commissione parlamentare antimafia:
Trentaquattro anni fa, insieme a mia moglie, ho avviato una attività commerciale, il cui fatturato sin dall’inizio è stato ottimo, permettendomi di assumere diversi dipendenti e di ingrandire più volte la superficie di vendita. La mia era una fiorente attività conosciuta e apprezzata in tutta la provincia, ma tutto questo è stato interrotto quando circa 20 anni fa si sono presentati i mafiosi a pretendere i miei sacrifici. Mi sono opposto con determinazione e senza mai pentirmi ed è proprio per questo motivo che sono stato più volte punito.
Furti, incendi, bombe e distruzione di automezzi hanno messo in crisi la mia piccola ma sana azienda. Tutti gli attentati di evidente provenienza estorsiva e intimidatoria, sono stati da me sempre denunciati: ho infatti fornito e continuo a fornire ampia collaborazione alle autorità inquirenti, ma nonostante abbia scelto lo Stato come alleato, oggi sto per chiudere la mia attività perché tutti gli eventi delittuosi e tutte le minacce ricevute hanno comportato un esponenziale indebitamento ed uno svilimento della mia attività commerciale.
I miei numerosi clienti di un tempo non ci sono più, forse per la paura di farsi vedere con me nel mio locale, mentre i pochi coraggiosi che continuano a frequentarlo si ritrovano spesso costretti, loro malgrado, ad acquistare altrove dal momento che io non sono economicamente in grado a rifornire di merce la mia sanitaria. Questa di certo non è la mia volontà imprenditoriale.
Questa è una delle tante conseguenze per aver denunciato i miei estortori. Ma questa purtroppo è anche una conseguenza delle lungaggini burocratiche del nostro Stato. Non si può e non si deve aspettare tre o quattro anni prima di ricevere i risarcimenti previsti dalla legge, che nel mio caso non sono stati sufficienti né a risanare i debiti contratti né a mantenere in vita l’attività. La Sanitaria S. Elia è per me e la mia famiglia l’unica fonte di sostentamento.
Nonostante l’agonia della mia attività, non ho mai pensato di trovare strade alternative come quella dell’usura, ma ho continuato, come ho sempre fatto, a presentarmi nelle aule dei Tribunali per testimoniare contro i mafiosi e contro chi tenta di favorirli con la falsa testimonianza. Persone che in tutti i modi cercano di ostacolare la mia scelta di vita, la mia voglia di libertà di verità e di giustizia. Oltre la denuncia mi sono anche costituito parte civile nei miei processi. E tre anni fa, a seguito alla condanna dei malavitosi da me accusati, sono rimasto vittima di un tentato omicidio, solo il caso ha voluto che il proiettile, probabilmente quello fatale, si fermasse nel marsupio di cuoio che quel giorno portavo a tracolla sulle spalle. Gli autori, del tentato omicidio ad oggi restano ignoti, mentre io continuo a trascinarmi su una sola gamba dal momento che l’altra ha riportato lesioni permanenti causati dai proiettili. Ma oltre al danno materiale subito, da quel giorno vivo e faccio vivere mia moglie e i miei figli in un continuo stato di allerta, di angoscia e di tensione. Loro sono cresciuti con l’odore acre dei prodotti bruciati, con i boati delle bombe, con la paura di perdere un padre.
Questa è in sintesi la mia vita da venti anni a questa parte.
Anche per quest’ultimo evento mi sono rivolto allo Stato, chiedendo attraverso la legge 44/99 di potermi supportare per continuare ancora una volta ad alzare, come ogni mattina, la saracinesca del mio negozio, ma ha risposto soltanto qualche giorno fa, dopo ben 3 anni di attesa e con immensa delusione, ho scoperto che vivere tutte le situazioni sopra descritte, ed in particolare il tentato omicidio, vale solo 16.000 euro.
Ma vale così poco la mia vita? Vale così poco la tranquillità della mia famiglia? Questa è la somma che lo Stato ritiene congrua ad una vittima che ha denunciato i propri estorsori? Si può quantificare una vita ed un danno alla propria attività imprenditoriale legandolo, come prevede la legge 44, unicamente al reddito dichiarato negli anni precedenti?
Desidero delle risposte, ho bisogno di capire.
Quello che vi posso dire è che il mio guadagno in questi ultimi anni è bassissimo, altrimenti avrei onorato l’erario, pagando puntualmente ontributi, Iva, canoni d’affitto e stipendi dei dipendenti. In 10 anni il fatturato della mia attività è diminuito di oltre 2 milioni e mezzo di euro, e di conseguenza le dichiarazioni dei redditi sono irrisorie. I parametri usati per aiutare un cittadino e la sua azienda vessata e distrutta dai mafiosi non possono e non devono essere basati sul benessere finanziario dell’impresa e occorre, per questi motivi, rivedere le leggi vigenti con estrema urgenza, come più volte ho segnalato. I ritardi, dovuti al farraginoso iter burocratico, hanno determinato la completa paralisi della mia attività ed inoltre quando lo Stato, attraverso Equitalia, ha provveduto ad ipotecare la mia casa ha peggiorato definitivamente la mia situazione. Grazie a questo, le banche mi hanno detto di non essere più un cliente desiderato, togliendomi ogni affidamento e facendomi rientrare con urgenza dagli sconfini. Da qui anche i miei fornitori, temendo in un mio possibile fallimento, hanno deciso di rifornirmi solo con pagamenti anticipati. A mio parere, i debiti che un commerciante si ritrova ad avere a causa dei suoi estorsori devono essere sanati dagli stessi mafiosi attraverso le confische, condannandoli a risarcimenti considerevoli. Questi infatti, non sono debiti causati da una dissennata attività imprenditoriale ma sono conseguenza della voglia di legalità e di libertà, del vivere e lavorare onestamente nella propria terra.
Ma la legge 44/99, ha ancora altri punti deboli, come per esempio l’articolo 20 che prevede il blocco dei provvedimenti esecutivi, ad esempio gli sfratti, ma il suo tempo di applicazione scade prima ancora d’aver ricevuto l’aiuto economico, altrimenti non saprei dare altra motivazione alla mia situazione, perché tra meno di un mese dovrò liberare i locali dove è ubicata la mia azienda, a causa di uno sfratto esecutivo.
Da un momento all’altro anche la mia casa potrà essere venduta all’asta, e mi domando: chi la comprerà?
Certamente i mafiosi che ho mandato in galera o i loro prestanome. Ecco il paradosso: da un lato lo Stato confisca i beni ai malavitosi, dall’altro gli stessi si appropriano della casa di quel commerciante che li ha denunciati. Da anni sono alla ricerca, finora vana, di un nuovo immobile da fittare per continuare la mia attività in un’area della città diversa da quella in cui mi è stata fatta terra bruciata attorno. Ma nessuno vuole concedere i propri locali a chi rischia di vedersi saltare in aria la propria attività per la quarta volta. Anche per questo motivo ho già presentato presso tutti gli uffici preposti una istanza per vedermi assegnato o concesso in fitto un adeguato bene confiscato o sequestrato dove poter trasferire la mia attività, una copia di tale richiesta l’ho inoltrata anche alla Prefettura di Reggio Calabria, che ha dimostrato grande apertura nei confronti di questa mia necessità. Se lo ritenete importante, come io spero, potete prenderne visione. Anche questo a mio avviso è un uso sociale dei beni confiscati. Vi è un diritto – dovere, in queste terre così difficili, quello della “resistenza” allo strapotere mafioso ed è per questo che chiedo allo Stato di permettermi di resistere e non morire, di poter continuare a dire a tutta la società e agli imprenditori denunciate perché “la libertà non ha pizzo”. Mi auguro che le mie urgenti necessità potranno essere discusse nelle sedi di competenza, per cui ho anche provveduto alcuni giorni fa a scrivere al Ministro degli Interni On Angelino Alfano per chiedere una Audizione Parlamentare, nel frattempo mi sono incontrato col Vice Ministro On Filippo Bubbico al quale ho lasciato dei documenti più dettagliati inerenti la mia storia.
Voglio essere fiducioso nell’operato di questa Commissione e in particolare in quello del suo Presidente Rosy Bindi che ringrazio per avermi concesso di evidenziare le mie difficoltà. Rimango pertanto a vostra completa disposizione qualora abbiate la necessità di risentirmi per una analisi più approfondita, anticipandovi che rapidamente produrrò alla vostra attenzione una esposizione più dettagliata delle mie vicissitudini evidenziando tutti gli impedimenti e le difficoltà che hanno determinato il mio fallimento.
Aiutare gli imprenditori vittime del racket è un dovere delle Istituzioni, queste in sintesi delle semplici modifiche di legge che potrebbero aiutarci concretamente:
1) cancellazione delle ipoteche dai beni immobili;
2) abbattimento dei debiti prodotti per causa dei mafiosi;
3) la possibilità di gestire un adeguato bene immobile confiscato per il proseguo dell’attività;
4) nel caso di fallimento dell’attività commerciale la possibilità dell’assunzione nella pubblica amministrazione del titolare dell’imprese o dei figli a carico, come previsto dalla legge 407/98 ss.mm;
5) agevolazioni fiscali, come ad esempio il credito d’imposta per i dipendenti;
6) detassazione;
7) modifica dei parametri per il riconoscimento economico delle vittime di estorsione legge 44/99;
8) equiparazione alle vittime della criminalità organizzata per il riconoscimento per ogni punto percentuale di invalidità riconosciuto dalla Commissione Medica Ospedaliera competente per territorio, L. n° 302/1990 ss.mm;
9) esenzione dal pagamento delle imposte e dei tributi per un periodo congruo.
Permettetemi di aggiungere concludendo, che la lotta dichiarata alle mafie, sarà vinta, non solo mettendo insieme tutte le forze, non solo facendo leggi più adeguate, ma anche costruendo gli ospedali da campo, dove vanno curate e sanate le vittime in modo da poterle rimandare al fronte a combattere. Io ho fatto questa scelta, per questo che vi chiedo di sostenermi. Io voglio vincere, per poter gridare a tutti i miei colleghi che denunciare conviene.

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