Giuseppe Falcomatà: “Il senso delle elezioni europee”

Reggio Calabria. Parlare di Europa, oggi, è fondamentale anche per il futuro delle amministrazioni locali. Molto spesso ci domandiamo come si fa a “programmare” il futuro in un Comune, come quello di Reggio, indebitato per oltre 700 milioni di euro. Guardare all’Europa, dunque, significa per un Ente locale guardare a una risorsa, a un’opportunità per realizzare opere e infrastrutture. Quindi sviluppo. Come? Attraverso un utilizzo oculato (in alcuni casi basterebbe dire solo “un utilizzo”) dei fondi strutturali europei che giungono alle nostre regioni e che, puntualmente, tornano indietro a causa del non utilizzo. Sembrerebbe un paradosso ma è una realtà con cui fare i conti. I rubinetti ai quali attingere sono quelli dei FESR (fondo europeo di sviluppo regionale) finalizzati ad eliminare le disparità regionali sostenendo le regioni “in declino” e quelle “in ritardo di sviluppo”. Oggi, tuttavia, i dati ufficiali della scorsa primavera ci dicono che la Calabria non ha ancora capito come spendere il 75,6% di quei fondi, la Sicilia il 72, la Campania persino il 77. Dovremmo prendere lezioni dall’Ungheria, dall’Estonia e dal Portogallo per capire come si utilizzano i fondi comunitari. Ma vi è di più. Se è vero che fino ad oggi, i fondi europei sono stati gestiti (male) a livello regionale le cose cambieranno con l’avvio della città metropolitana. Una delle opportunità, infatti, che nasceranno con la città metropolitana è proprio quella di gestire direttamente i fondi comunitari. E affinché non si faccia la stessa fine della gestione regionale bisognerà adeguarsi per tempo. Con un ufficio apposito, ad esempio, che monitori il flusso di questi finanziamenti, che si occupi dei progetti e attraverso un assessorato alle politiche comunitarie che si concentri in particolare sui progetti per utilizzare i fondi strutturali. Reggio in passato ha dimostrato di essere capace di farlo. Penso al Progetto Urban, per altro ancora in atto, che fece meritare a Reggio la palma di città che ha meglio sfruttato le risorse comunitarie. Il mezzogiorno si trova, oggi più che mai, di fronte a un bivio: o la resa o il sogno. La resa, incondizionata, al meccanismo affaristico mafioso e clientelare. Oppure scegliere di ricominciare da capo. Scommettendo su noi stessi e su rappresentanti istituzionali di qualità e competenza, e facendo in modo che da Roma e Bruxelles inizino, o meglio tornino, a guardare a noi come un esempio da imitare e non dal quale rifuggire perché dannoso. Spezzare, cioè, quel patto scellerato che, per dirla alla Salvemini, ha consentito alla peggiore classe dirigente del nord di accordarsi col peggior ceto dirigente del sud. L’europeizzazione della politica nazionale e locale è la vera rivoluzione culturale che manca negli Stati membri: solo il risveglio di una cittadinanza attiva a livello europeo può costringere in questo momento i leader europei a ridare slancio e ambizione a un progetto europeo che punti ad un’integrazione non solo economica, ma anche giuridica, politica e sociale.

Giuseppe Falcomatà

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