Tabularasa 2015. “Giornalismo, il prezzo della libertà”: ospiti Pino Maniaci, Michele Albanese e Alessandro Russo

Reggio Calabria. Giornalismo e libertà. È il tema della conversazione che si è tenuta sul palco della kermesse Tabularasa (allestita dall’associazione Urba/Strill.it), tra Pino Maniaci direttore dell’emittente televisiva Telejato, Michele Albanese giornalista del Quotidiano del Sud esperto in cronaca giudiziaria e Alessandro Russo giornalista, autore e conduttore di vari programmi di inchiesta. “Gli ospiti di stasera – ha detto Alessandro Russo – rendono onore alla parola colleghi”. Entrambi vivono sotto scorta per aver esercitato la libertà di informazione. “Mi chiedo spesso se esiste ancora il giornalismo in Italia – ha detto Albanese – ormai è una professione autoreferenziale: la notizia viene stiracchiata e se ne perde il senso. Dovremmo riscoprirne il significato assumendoci la responsabilità di ciò che scriviamo”. Secondo Pino Maniaci basterebbe poter fare il proprio mestiere in piena libertà, ma “non accadrà mai finché gli editori – ha sottolineato – fanno affari con i politici”. Anche la figura del lettore è importante “dovrebbe premiare chi garantisce un’informazione corretta” ha spiegato Albanese. Quest’ultimo ha poi raccontato lo shock iniziale causatogli dalla notizia che una potente famiglia ‘ndranghetista progetta di ucciderlo “Ho avuto paura, ma non volevo accettare la scorta. Alla fine ho dovuto dire di sì”. “Infatti – ha spiegato Russo – il giornalista giudiziario lavora grazie a fonti confidenziali che in presenza di una scorta si allontanano”. “Di positivo c’è il rapporto umano che si è instaurato con loro – ha chiosato Albanese – ma il prezzo è la mia libertà. Se lo scopo di chi mi ha minacciato era quello di privarmene, paradossalmente ci sta riuscendo”. Eppure sia Albanese che Maniaci non sono eroi, ma cronisti. Il primo è noto per lo scoop dell’inchino della statua della Madonna al boss di Oppido Mamertina, il secondo per l’emittente televisiva da lui diretta “La cifra di Telejato – ha detto il direttore – è il modo dirompente di parlare. Oggi siamo l’unica televisione che parla di mafia e lo facciamo con irriverenza. Realizziamo inchieste, non ‘copia e incolla’. Diamo direttamente le notizie, tanto che ormai i telespettatori le denunce le portano direttamente a noi”. Di querele, ha raccontato con ironia Maniaci, è ormai un esperto “Ne ho ricevute circa 515. L’ultima da un uomo, un amministratore giudiziario, per stalking, per aver scoperto il business che gira dietro i sequestri dei beni ai mafiosi. Però io non ho il suo numero di telefono, né mi piacciono i maschi”. Ha subito intimidazioni, gli hanno sparato ed è stato malmenato dal figlio di un boss “Ma il gesto peggiore – ha chiosato il giornalista – è stato quando hanno massacrato e impiccato i miei cani. Non mi sono demoralizzato, ma con rabbia ho lavorato più di prima. Infine, però, dopo le minacce di morte ha dovuto accettare la scorta”. “La libertà è fondamentale per un giornalista – ha ribadito Russo – Michele non ha raccontato solo i fatti, li ha messi in relazione tra loro senza usare il condizionale. Lo fanno in pochi e sono lasciati soli”. “Per me – ha detto Albanese – è essenziale essere sul luogo della vicenda, non farmela raccontare. Devo approfondire, capire come la comunità avverte determinati eventi. Dopo l’inchino, ad esempio, sono diventato il nemico di tutti i sacerdoti del territorio. Si tratta di cultura, se la gente non condanna allora può accadere tutto, cadiamo in una normalità agghiacciante”. “Non c’è niente di straordinario– ha concluso Maniaci – È il mio dovere. Borsellino diceva ‘di mafia parlatene’ ed io ne parlo”. Facendosi pessimista, però, riguardo al tema della cultura “Viviamo in una telecrazia, abbiamo riservato alla televisione il compito di formare le coscienze. Non volevo il tesserino – ha detto con sarcasmo –per non essere collega di Emilio Fede. Per me basta l’art. 21 della Costituzione”.

 

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