Rovine sotto Piazza Duomo: Reggio è affamata di memoria

Da sx: Laganà, Agostino e Marcianò

Da sx: Laganà, Agostino e Marcianò

Reggio Calabria. Ha fatto molto scalpore la notizia, diffusa per mezzo dei social network, relativa alla copertura di alcune rovine, presumibilmente antiche, ritrovate durante l’esecuzione dei lavori del progetto di riqualificazione e ripavimentazione della centralissima Piazza Duomo.
Il tam-tam mediatico ha creato molto malcontento in città ma, solo grazie al pronto interesse dello staff della Techne Contemporary Art, è stato organizzato un incontro-confronto, venerdì pomeriggio nella sede della galleria d’arte in via dei Correttori, che ha consentito a un folto gruppo di cittadini di avere alcune risposte.
Al dibattito hanno partecipato l’assessore ai Lavori Pubblici, Angela Marcianò, il funzionario archeologo del MIBACT – nonché direttore del Museo Nazionale di Locri Epizefiri – Rossella Agostino e Renato Laganà, professore associato della Facoltà di Architettura dell’Università degli Studi Mediterranea di Reggio Calabria.
L’iter amministrativo previsto in questi casi è un percorso obbligatorio che nasce dalla preminente volontà del legislatore di tutelare la memoria storica di ciascuno ma che consente, allo stesso tempo, ai diversi enti di interagire ciascuno entro le proprie competenze e per il proprio ambito tecnico professionale.
Finalmente è stato portato in primo piano il tema della valutazione del rischio archeologico e della archeologia preventiva: ciò consente di ottenere un più ottimale bilanciamento nel rapporto tra le esigenze di salvaguardia del patrimonio archeologico e quelle di pianificazione urbanistica e territoriale. In effetti, nell’arco dei decenni, la realizzazione delle infrastrutture, in senso lato, è stata attuata con un altissimo costo in termini di patrimonio archeologico e paesaggistico. Solo l’intervento dei tecnici archeologi nella fase di progettazione poteva in qualche modo riuscire ad arginare l’emorragia che il nostro passato stava subendo a causa del progresso.
Le prime, timide, risposte del legislatore in questo senso risalgono agli anni 80, fino ad arrivare a una previsione specifica all’interno del più recente Codice dei Beni Culturali.
Nel 2012, il MIBACT, con una circolare, ha adottato un protocollo operativo di verifica preventiva dell’interesse archeologico con lo scopo di conferire omogeneità di applicazione in ambito nazionale. La procedura di verifica preventiva si applicava agli interventi sottoposti alla disciplina del Codice Contratti e, successivamente, vennero ricompresi anche i contratti pubblici dei settori speciali.
La normativa prevede che siano le Soprintendenze a vigilare sulla corretta applicazione della procedura in relazione agli adempimenti cui sono tenute le Stazioni Appaltanti in fase di progettazione preliminare. Tale accertamento può essere effettuato anche nell’ambito delle Conferenze di Servizi, verificando che i progetti preliminari e/o definitivi comprendano, come previsto per legge, gli esiti della verifica preventiva dell’interesse archeologico di cui agli artt. 95 e 96 del Codice Contratti.
La mancata applicazione, parziale o totale, della procedura (ai tre livelli: preliminare, definitivo ed esecutivo) può esporre l’intervento a un elevato rischio di rinvenimenti archeologici in corso d’opera, con conseguenti rallentamenti nella realizzazione, aggravi di costi e possibili contenziosi.
Pertanto nel momento in cui si mette in moto la macchina progettuale ci si trova di fronte a una prima fase durante la quale la Stazione Appaltante, prima dell’approvazione del progetto, trasmette al Soprintendente, territorialmente competente, la copia del progetto preliminare dell’intervento corredata da tutta la documentazione utile. Il funzionario MIBACT, responsabile per l’istruttoria, provvederà a valutare la documentazione ed esprimerà un giudizio di valutazione sulla opportunità, o meno, di sottoporre l’area interessata alla verifica.
In caso positivo si apre una fase ulteriore durante la quale vengono effettuate le indagini geognostiche e i saggi archeologici, in misura tale da garantire una sufficiente campionatura dell’area interessata dai lavori. Possono essere approntate differenti tipologie di indagini, nel caso delle indagini dirette – i carotaggi – o delle indagini indirette (prospezioni geofisiche, geochimiche etc.), laddove la scelta verrà effettuata in ragione della natura del terreno, della consistenza e della profondità dei depositi archeologici.
Sulla base dei risultati ottenuti dall’indagine il funzionario archeologo predispone una relazione per il Soprintendente descrivendo gli elementi archeologicamente significativi emersi (la presenza certa di livelli di frequentazione, strutture e/o materiali archeologici) – se sono emersi – solo la presenza di questi elementi giustifica il passaggio alla fase successiva. In assenza di tali elementi la procedura si ritiene terminata ed il Soprintendente rilascia il parere conclusivo.
Ebbene, con riferimento ai lavori nella piazza della Cattedrale, nella relazione generale del progetto esecutivo “Intervento P.I.S.U.: Riqualificazione di Piazza Duomo” – Linea di intervento 8.1.2.1 – POR Calabria, è indicata, al paragrafo 11, la “Campagna di indagini archeologiche” in quanto, in sede di Conferenza dei Servizi, la Soprintendenza per i Beni Archeologici della Calabria, aveva rilevato “la necessità di effettuare una campagna di indagini geo-archeologiche con carotaggi continui con carote di diametro di 10 cm, di profondità fino a 5 metri dall’attuale piano di calpestio, o comunque, fino al raggiungimento dello sterile. (…) nonché mediante ogni altro accorgimento che sarebbe stato ritenuto necessario ai fini di una migliore conoscenza del sito archeologico”.
Solo successivamente, con protocollo del 4 dicembre 2014, viene comunicato che “Esaminando ulteriormente lo stato dei luoghi, valutando l’opportunità di evitare inizialmente un sistema di indagini invasive nel caso di presenze di strutture sottostanti ad una profondità minima, si è ritenuto più utile, nonché più speditivo, effettuare una campagna di prospezioni con georadar”, che è un sistema di indagine del sottosuolo, a piccole profondità, basato sulla riflessione delle onde elettromagnetiche con frequenza compresa tra 10 e 2000 MHz.
Come di consueto in queste circostanze, al fine di consentire un’analisi precisa, la zona è stata divisa in sezioni, come una griglia e, dalle ispezioni effettuate, sono venute fuori tre aree interessanti. Tra l’altro, per i lavori di ripavimentazione la Ditta preposta avrebbe dovuto “grattare” il piano di calpestio solo per 30 cm, spazio necessario per provvedere alla posa dei lastroni, invece, nelle tre aree “rosse”, le ispezioni hanno toccato i 4 metri e mezzo di profondità per la prima, e il metro e mezzo per le altre due.
Dalle risultanze di queste ispezioni, dall’analisi dello stato delle rovine e dei cocci rinvenuti, i funzionari preposti sono giunti alla conclusione che si trattasse di resti risalenti al periodo tardo settecentesco: probabilmente, infatti, si tratta di strutture murarie riconducibili a realtà abitative distrutte in seguito al terremoto del 1783; la presenza di pietrame e laterizi senza pregio di rilievo – se non forse per l’archeologia urbana – i livelli non integri, dal punto di vista stratigrafico, e la difficoltà di individuare un continuum didattico/esplicativo spendibile per il fine primario della fruizione, sono stati gli elementi che hanno indotto i funzionari ad optare per la copertura del sito, posto che l’intera area sottoposta ad esame è rimasta integra.
Ma ogni scoperta ha chiaramente un suo inestimabile valore e in questo caso – evidenzia Renato Laganà – il rinvenimento di quelle porzioni di abitazioni, che è stato ampiamente documentato, ha consentito di allineare in modo abbastanza preciso le mappe storiche della città: questo perché fino ad ora, nonostante la sovrapposizione del catastale ricostruito del periodo Borbonico, al catastale post terremoto, fino alla moderna mappatura, non era stato possibile ottenere dei riferimenti precisi del centro storico.
Fatta chiarezza quindi, dall’ispezione delle rovine emergono anche alcune riflessioni: appare decisamente paradossale, innanzitutto, che ci si sia dovuti affidare alla diligenza e alla preoccupazione dei privati – e delle associazioni – che si sono sobbarcati l’onere di organizzare un incontro chiarificatore, quando l’opinione pubblica accoratamente reclamava risposte; inoltre sebbene tutti gli attori coinvolti abbiano agito secondo le modalità previste per legge, se Reggio è una città a cui nel passato è stata palesemente strappata la memoria, l’amministrazione comunale non ha però considerato che nell’immaginario romantico del reggino ogni sassolino, vecchio o antico che sia, è comunque un tassello insostituibile della sua memoria perduta.

Monica Bolignano

Da sx: Laganà, Agostino e Marcianò
Exit mobile version