A Motta Sant’Agata in viaggio nel tempo nella Reggio medievale

Reggio Calabria. Risale a poche settimane fa la notizia relativa alla conferma dell’esistenza delle onde gravitazionali di cui aveva parlato Einstein, una scoperta che potrebbe aprire nuove frontiere per future applicazioni tecnologiche, non ultima, anche se lontana, l’ipotesi di effettuare “ponti spazio-temporali” per poter finalmente realizzare i viaggi nel tempo.
Eppure, probabilmente, si potrebbe anche non aspettare l’approfondimento scientifico e lo sviluppo di costosi progetti nel momento in cui, a soli 20 minuti da Reggio, e comodamente seduti su un bus, si arriva a Motta Sant’Agata, una deliziosa frazione arroccata a ridosso del torrente Sant’Agata, un tempo navigabile, che oggi mantiene integro tutto il fascino di una cittadella medioevale.
Sebbene si ritenga che il suggestivo borgo sia risalente, con elevata probabilità, all’epoca bizantina, alcuni studiosi sostengono che la città antica venne fondata, addirittura, dagli Ausoni; sebbene la radice della denominazione – Agathè, che in greco significa buono e bello – e conseguentemente anche la fondazione della cittadella, parrebbe ricondurre alla colonizzazione greca, ma per queste ipotesi così risalenti nel tempo non vi è nulla di certo. Altri, invece, fanno derivare il nome del borgo direttamente dalla Santa siciliana, cui era probabilmente intitolata una delle numerose chiese andate distrutte. Non mancano le ipotesi relative al termine Motta posto che la parola motte, in francese, significa castello in posizione elevata.
Dopo l’interessante conferenza stampa organizzata, presso l’Associazione Pro-Loco San Salvatore, per presentare il progetto “Percorso Parco Archeologico della vecchia Motta Sant’Agata” – cui hanno preso parte il sindaco Giuseppe Falcomatà e parte della giunta – è stato effettuato un sopralluogo sul sito di interesse e i resti della fortificazione medioevale, che erano stati mostrati in conferenza stampa grazie all’ausilio di proiezioni, l’escursione ha lentamente assunto un aspetto sempre più avvincente, caratterizzandosi e caricandosi mano a mano di un irresistibile fascino antico.
L’idea che la popolazione reggina, nei secoli, abbia colonizzato preferibilmente le zone montane e collinari, a causa delle ripetute scorrerie piratesche, è una leggenda – racconta il professore Domenico Minuto – al contrario ci si trova di fronte ad una scelta voluta e consapevole, determinata dalla bontà e dalla ricchezza del territorio pre-aspromontano. Dagli studi e dalle ricerche effettuate, infatti, si sono raccolti dati tali che affermano l’esistenza di equilibri economici stabili basati sullo sfruttamento delle risorse del territorio, se, al contrario, si fosse trattato di spostamenti occasionali – dovuti a fughe precipitose dalle coste – probabilmente ci si sarebbe trovati di fronte a tracce di insediamenti temporanei.
Nel caso di Motta Sant’Agata ci si è resi conto che ci si trova di fronte all’esempio – unico sopravvissuto nel suo genere – di un particolarissimo sistema di fortificazione e controllo del territorio; fondata (probabilmente) dai Bizantini, successivamente potenziata dai Normanni ed, in seguito, dagli Aragonesi e dagli Angioini, l’avamposto, insieme a Motta Rossa (nei pressi di Sambatello), Motta Anomeri (la moderna Ortì), Motta San Cirillo (la moderna Terreti) e Motta Sant’Aniceto (che probabilmente si trovava tra Motta San Giovanni e Paterriti) – e si pensa che nel sistema difensivo fosse anche ricompreso il Castello Normanno di Calanna – faceva parte del complesso sistema di fortificazioni destinato alla protezione della città di Reggio.
Motta Sant’Agata è l’unica fortificazione medioevale rimasta quasi integra … anche se ancora parzialmente sepolta.
Attraversando il paese e percorrendo le stradine è sufficiente imboccare un piccolo e quasi anonimo sentiero: dopo una decina di passi si inizia a salire e svoltata una prima curva d’un tratto si lascia indietro il mondo moderno, come un viaggio nel tempo ci si trova catapultati dentro le mura della città vecchia, una vera cittadella medioevale ad un passo da casa, un luogo che sembra immerso dentro una bolla cristallizzata nel passato. Da un lato la lussureggiante vegetazione mediterranea e selvaggia; dall’altro, un panorama mozzafiato che affaccia sulla vallata – adornata con numerosi alberi da frutto – si intravede maestoso il torrente ed in fondo, all’orizzonte, il mare.
Questo tipo di costruzioni – continua a parlare, camminando e senza accennare al minimo affanno, il professore Minuto – venivano collocate strategicamente sui colli, possibilmente scoscesi da tre lati ed accessibili da un solo lato (la porta di Terra, della quale è stata individuata la soglia).
Ciò dava la possibilità di dominare grandi porzioni di territori: se infatti gli assalitori, nel nostro caso, avessero schivato il fuoco del fortilizio di Sant’Andrea, sarebbe stato quasi certamente impossibile superare le mura a strapiombo della Città Castello. Questo rese Sant’Agata praticamente inespugnabile, garantendo ai suoi abitanti – ed a quelli dei borghi limitrofi – stabilità e sviluppo.
Arrivati in cima alla rupe ci si trova di fronte la chiesa di San Nicola da Mira – un santo di tradizione bizantina – e subito dentro le cripte.
Il sito è abbastanza malridotto, ma l’osservatore attento verrà ipnotizzato dal magico silenzio del luogo nel quale, da ogni singola e superba pietra, trasuda l’orgoglio e l’imponenza degli antichi fasti.
La fine della cittadella fortificata, che era riuscita a sopravvivere ad ogni tipo di assedio straniero per diversi secoli, venne decretata da Madre Natura, quando, il 5 febbraio 1793 – paradossalmente il giorno di Sant’Agata – il terremoto, ricordato come il grande flagello, la rase al suolo.
Ed è qui che inizia la storia della moderna Motta Sant’Agata, un racconto fatto di forza di volontà e passione. Perché se oggi abbiamo il privilegio e la possibilità di fare un viaggio nella “Reggio Medioevale” lo dobbiamo ai volitivi ad appassionati abitanti di Motta Sant’Agata ed alle associazioni – come la Pro-Loco San Salvatore – che hanno contribuito, a spese proprie, alla conservazione ed alla tutela delle rovine della cittadella fortificata; piccoli interventi, realizzati nel pieno rispetto dello stato dei luoghi, che hanno consentito di proteggere il sito dall’erosione degli agenti atmosferici. Oggi, ad esempio, il sentiero che si arrampica sui costoni della rupe è stato “messo in sicurezza” con una staccionata in stile – realizzata in legno di castagno a modello croce di Sant’Andrea – grazie alla generosità dell’Impresa Siclari; tutti gli interventi di recupero sono stati effettuati in termini conservativi – utilizzando cioè materiali compatibili: come è di tutta evidenza dall’attenta osservazione dei lavori di riqualificazione dei muretti a secco. Un altro esempio può essere l’installazione dell’impianto di illuminazione, non invasivo, che è stato interamente realizzato a spese della Pro-Loco; ma non è tutto: il servizio di accoglienza e la visita guidata dei turisti così come i numerosi eventi organizzati negli ultimo anni hanno trovato sempre la firma di associazioni: Pro-Loco Varapodio, FAG e sezione CAI di Reggio di Calabria. Ma, evidenziano, in modo davvero accorato, Giulio Carini – presidente della Pro-Loco San Salvatore – e Angela Martino – Presidente di Italia Nostra – gli interventi da fare sono tanti, per prima cosa è assolutamente necessario approntare un piano di studio per le verifiche geologiche per la tutela della rupe stessa e – sottolineano (e sembra davvero incredibile!) – manca addirittura il vincolo archeologico ed architettonico, sussistendo allo stato esclusivamente un vincolo idrogeologico. Così come – continua Angela Martino – parte del sito ricade su proprietà privata! Tanto che per approntare la prima campagna di scavi si è dovuta richiedere un’autorizzazione temporanea.
Ecco che la presentazione del progetto “Percorso archeologico della vecchia Motta Sant’Agata” – presentato dalla RUP Daniela Neri – assume una connotazione assai delicata in quanto ci si trova di fronte, finalmente, alla concreta possibilità di dare inizio al primo vero e proprio piano per il recupero e la valorizzazione di un sito che ha una connotazione potenzialmente unica nel suo genere e per di più all’interno di un contesto paesaggistico che non ha eguali. È anche vero che per portare alla luce l’intero sito, metterlo in sicurezza e creare un progetto sinergico per valorizzarlo, ci sarebbe bisogno di un finanziamento dal peso dirompente, laddove, considerata l’importanza storico-archeologica e lo stato dei luoghi, un finanziamento di 205 mila euro, sebbene sia un buon punto di partenza, debba necessariamente essere considerato soltanto il capitolo introduttivo di un best seller che aspetta solo di essere scritto.

Monica Bolignano
foto di Marco Costantino

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