A Lilia Gaeta, giudice in eterno

È deceduta ieri Rosalia Gaeta, magistrato che, con il sorriso e la tenacia, ha scritto pagine storiche della Giustizia reggina. Il ricordo del giornalista Consolato Minniti

Lilia Gaeta

Giudice Lilia Gaeta

di Consolato Minniti *

Reggio Calabria – Ci sono sorrisi che neppure la morte del corpo riuscirà mai a spegnere. Il Suo, cara presidente Gaeta, è fra quelli che certamente rimarranno impressi negli occhi e nella mente di tutti coloro che, almeno una volta, hanno avuto la fortuna di incrociare il suo sguardo.
La verità, anche se si fa fatica ad ammetterlo, è che mai pensi possa arrivare il giorno nel quale separarsi dalle persone a cui vuoi bene veramente. E con Lei era esattamente così: nonostante una lotta impari, ormai da anni, con un male che non voleva saperne di andare via, avevo imparato a conoscere una donna in grado di combattere la guerra emanando una forza straordinaria. Non era fatta di dichiarazioni roboanti o intenti sbandierati ovunque. Sapeva solo del genuino sapore dell’esempio.

Ho conosciuto una donna che, al dolore di una terapia perenne che scorreva nelle sue vene, alternava giornate intere tra ufficio e aula. E non certo solo per puro senso del dovere. Ma per Amore. Quel sentimento che diviene modo di essere, quando sai di averne così tanto da non poterlo contenere solo per te. E con Lei, cara presidente, accadeva esattamente così.
Non dimenticherò mai gli anni meravigliosi della Corte d’Appello, in cui tra corridoi e cancellerie sembrava sempre di stare all’interno di una grande famiglia. Non dimenticherò – da giovane giornalista appena approdato alla cronaca giudiziaria – il modo in cui trattava tutti coloro che mettevano piede in aula: fossero essi imputati, avvocati o magistrati. E persino giornalisti. Tutti con medesimo rispetto. Vero, non di facciata.
Sarà difficile non tenere impresso nella mente quel metro di giudizio che non riusciva mai a prescindere dall’umanità che il giudice deve possedere, anche quando si trova a dover applicare la legge nel modo più duro.

Quel sorriso riusciva a rassicurare anche i criminali incalliti. Sapevano che certamente non l’avrebbero fatta franca, ma che sarebbero stati giudicati con onestà e senza accanimento.
Ricordo come fosse ieri anche quando, in un processo celebrato in Corte d’Assise d’Appello che lei presiedeva, arrivò una strana richiesta da una delle parti a conclusione di una lunga istruttoria riaperta. Ci guardammo come spesso capitava, mentre io rimanevo seduto tra i banchi del pubblico. Al termine mi avvicinai e Le chiesi se fosse così usuale quella richiesta e Lei, con un’eleganza d’altri tempi, mi rispose con un disarmante sorriso: «Non mi faccia dire nulla, Consolato». E giù entrambi a ridere. Perché noi eravamo così: sapevamo annullare le distanze nel rispetto reciproco dei ruoli.

Porterò con me per sempre quei giorni di settembre di nove anni fa, durante i quali ebbi una delle ferite più laceranti. Lei mi accolse nel suo ufficio dalle pareti colorate e mi tranquillizzò. Mi fece respirare aria pulita e fresca, in un momento nel quale anche respirare sembrava complicato. Terrò per me le parole che mi riservò ed il cui valore riuscì a capire solo pochi mesi addietro, quando venni nel suo ufficio del Cedir.
Dopo anni di presidenza, anche di rilievo, decise di tornare a fare ciò che le riusciva meglio: il giudice. Andò nel settore civile, dopo diversi lustri al penale. «Mi occupo di famiglia, mi piace tantissimo», mi confessò con il suo solito sorriso. Poi si fermò un momento e aggiunse: «Sai, però c’è qualcosa che tengo ancora qui come ricordo dei miei anni in Corte d’Appello». Credevo fosse qualche foto, una sentenza, un quadro. Un regalo. Nulla di tutto ciò. Nel suo ufficio c’era un mio articolo. E non era di cronaca. Era quello scritto di getto per analizzare tutti i retroscena del processo “Crimine”, la cui sentenza d’Appello – spesso alcuni lo dimenticano – fu scritta proprio da lei, che appose la sua firma in un procedimento divenuto pietra miliare nella lotta alla ‘Ndrangheta. Da parte mia, non feci altro che rendere merito ad una Giustizia che funzionò in modo impeccabile, dall’ausiliario al cancelliere, fino al giudice. Non era scontato.

Oggi è il giorno del dolore profondo, cara presidente. Riusciamo a stento a trattenere le lacrime, pur sapendo che adesso starà già volando leggera, con il sorriso di sempre, verso cieli blu. Quello stesso colore che avevano le nuove poltrone utilizzate per la chemioterapia. I Suoi racconti – che spesso evidenziavano le grandi mancanze della sanità calabrese – ci hanno permesso di entrare in punta di piedi in uno dei luoghi dove il dolore diventa profondo come abisso. Ma dal quale si può uscire. E la vittoria non è certo la guarigione, ma il modo in cui si affronta la via crucis della malattia. Lei l’ha fatto nell’unica maniera che conosco: continuando a fare ogni giorno il suo dovere, senza rinunciare al sorriso, all’ironia ed all’impegno.

Avevamo qualcosa di bello che ci accomunava, forse ancor più della passione per il diritto: l’amore per i paesaggi e per lo Stretto in particolare. Ci dicevamo spesso quanto splendida fosse la nostra città, a fronte di una condizione sociale allarmante. Eppure mai abbiamo perso la speranza. Ecco, io ho scelto una foto a corredo di questa mia raffazzonata riflessione, quest’ultima frutto, forse, del bisogno di scrivere per addomesticare il dolore. Ma credo che quella immagine dica tantissimo di Lei: lo sguardo rilassato, alle spalle il nostro amato Stretto, intorno piante e fiori ed un cielo blu, ammantano di nuvole qui e lì, a ricordarci che la vita è un viaggio bellissimo, ma pieno zeppo di nuvole e turbolenze.

Non dimenticheremo nulla di Lei, cara presidente: dall’amore viscerale verso suo marito Luciano e le sue adorate figlie Elisa ed Enrica (a cui va il nostro abbraccio affettuoso), all’eredità di valori e cultura che ci lascia, avendo onorato la toga come meglio non avrebbe potuto. Sino all’ultimo respiro. Ha rappresentato il modello ideale di Giustizia giusta e solidale, che sa coniugarsi con l’amore di moglie e madre.
Da oggi ci sentiremo decisamente più soli e non è una frase di circostanza. Lo saremo davvero, perché quando un’anima così bella vola via, il vuoto che lascia lo si avverte in tutta la sua enormità.
Sapremo non disperdere questo grande patrimonio di valori e d’affetto? Non saprei dirlo. Lei, intanto, continui a volare alto, Lilia. Giudice in eterno.

* Giornalista

anche la redazione di Newz.it si unisce al dolore del Presidente della Corte d’Appello di Reggio Calabria, Dott. Luciano Gerardis, per la perdita della cara moglie Dott.ssa Lilia Gaeta ed esprime il più sincero cordoglio alle famiglie Gaeta Gerardis.

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