Inaugurato il Museo della ‘ndrangheta. Luogo di cultura e legalità

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Reggio Calabria. La benedizione del parroco di Croce Valanidi, don Antonio Vinci, fa da prologo al taglio del nastro. Il varco è aperto. Adesso il museo della ‘ndrangheta è davvero operativo. Un museo che deve essere inteso esattamente al contrario di come si potrebbe pensare. E cioè non un luogo in cui si conservano oggetti polverosi o cimeli del passato ma un posto in cui si lavora e si compiono diverse azioni culturali rivolte a demitizzare il fenomeno ‘ndrangheta. Un luogo che acquista un simbolismo unico proprio perché strappato alla criminalità organizzata che a suo tempo lo aveva edificato con i proventi del crimine, con l’illegalità e probabilmente con il sangue di qualche innocente. Oggi la villa a tre piani che si affaccia sullo Stretto e confiscata ad una delle tante cosche di ‘ndrangheta cittadine, dopo essere stata ristrutturata, rientra in un progetto articolato che, grazie alla Provincia, Comune, Regione, associazione Antigone e Università della Calabria, la farà rivivere nel segno della legalità: aperta ai visitatori di tutto il mondo, agli studenti e ai ricercatori interessati a portare avanti un lavoro di approfondimento sul tema della ‘ndrangheta e della criminalità organizzata. Grande la gioia stamattina per l’avvio di qualcosa che rappresenta una vittoria, una tappa importante nella guerra contro la malavita organizzata. Presenti gli studenti dell’Istituto “Fermi” di Reggio, dell’Alberghiero di Villa San Giovanni, “Alvaro” di Palmi, “Careri” di Taurianova, “Mazzini” di Locri e “Ipsia” di Siderno, ma anche i ragazzi del quartiere e dell’azione cattolica, pronti ad animare una giornata e a far vivere quello che poi costituirà la base vera e concreta di un percorso culturale per il quale molti già predicono risultati assai significativi per smuovere le coscienze e per riacquistare quella dignità necessaria fondamentale per combattere quotidianamente la mafia ed anche la sua subcultura seguendo le semplici regole del vivere civile e vivendo nel segno della legalità e della giustizia. “E’ solo un primo traguardo per un lavoro che dura ormai da circa tre anni – esordisce l’assessore provinciale alle politiche sociali e giovanili Attilio Tucci – e le parole d’ordine di questo percorso sono conoscenza, memoria e azione”. La prima per conoscere fino in fondo questo meccanismo, la seconda per non dimenticare chi siamo, e la terza perché il museo farà da incubatore per progetti di natura culturali e di ricerca. Il progetto “A mani libere” con i ragazzi delle scuole cittadine e della provincia, gli scambi su problemi paralleli con gli studenti di Berlino, e adesso “L’Arcipelago della Memoria” con il coinvolgimento delle scuole delle province di Vibo, Messina e Palermo, rappresentano il primo ventaglio di attività che già stanno dando risultati veramente notevoli. La mostra fotografica curata da Adriana Sapone e con il contributo, per quanto riguarda gli scatti di nera, del fotoreporter Franco Cufari, ripercorre non solo i trent’anni di storia di ‘ndrangheta ma significa anche, così come affermato dal coordinatore del progetto del Museo, Claudio La Camera, “un percorso critico di conoscenza”. “Abbiamo bisogno di una elaborazione problematica non solo del passato ma anche del presente – aggiunge La Camera – e allora noi dobbiamo ricordarci che il primo livello di sudditanza dal quale dobbiamo uscire è quello nostro, con noi stessi”. Per il capo della Squadra Mobile, Renato Cortese, l’apertura del Museo rappresenta una bella giornata. “Vedere i giovani in un territorio di mafia partecipare con gioia ed emozione a questo evento è sicuramente ricco di speranza e di messaggi positivi per il futuro. E’ quello che obiettivamente ci vuole al di là delle tante chiacchiere che si fanno su questo tema”. Soddisfatto anche il sindaco Giuseppe Scopelliti per il quale “adesso occorre rendere questo luogo attraente e sempre più dinamico. Un posato in cui i giovani possano riconoscersi, discutere ed affrontare le tematiche che hanno a che fare con la ‘ndrangheta. Non vuole essere una provocazione – ha aggiunto il primo cittadino – ma dobbiamo lavorare per storicizzare la ‘ndrangheta. Chiaro che non si potrà farlo in pochissimo tempo ma abbiamo gli elementi e gli strumenti per raggiungere questo traguardo”. “Abbiamo subìto lo scetticismo ed in certi casi anche una iniziale derisione per aver attuato questa scelta – sottolinea il vice prefetto Giuseppe Priolo – oggi invece arriviamo ad un traguardo per il quale molti ci hanno creduto, compreso il prefetto Francesco Musolino il quale si è speso molto affinché si raggiungesse questo obiettivo, oggi lodato da tutti”. “La ‘ndrangheta non vuole che si parli di lei – conclude Priolo – oggi siamo qui per vedere quello che di orrido i mafiosi sono in grado di fare e per sviluppare queste conoscenze. Tutte cose che alla criminalità da un enorme fastidio”.

Domenico Grillone


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